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14 Settembre 2006

In prima linea per la pace

Autore: Monica Setta
Fonte: Gente

Caorle – Arturo Parisi è un Miistro perennemente in emergenza, ma ha la pacatezza di chi ha le idee chiare. Le missioni italiane all’estero sono sempre state oggetto di grande discussione nella politica italiana e ora, con il governo dell’Ulivo, il dibattito si è acceso ancora di più per la presenza della sinistra radicale nella coalizione guidata da Prodi.
“Inutile parlare di missione umanitaria, si tratta di una missione militare”, annuncia il ministro della Difesa a Gente. “E’ una missione Onu e non italiana. Abbiamo un obiettivo qualificante: il disarmo di Hezbollah. Noi dobbiamo intervenire contro ogni atto che muova dal territorio sotto la competenza dell’Unifi. Se Hezbollah riprendesse le ostilità, il comando Unifil sarebbe chiamato a dar seguito alla propria azione”
Parisi ha appena finito di parlare alla Festa della Margherita di Caorle, ribadendo che l’attenzione del Governo è oggi tutta sul Libano. La Nato chiede più truppe in Afganistan e il ministro ribadisce, con tono convincente: “Noi abbiamo già fatto tanto!”.

1) Professor Parisi lei è in assoluto il primo ministro della difesa ad essere inviato a tenere una conferenza alla sala stampa dei giornalisti stranieri in Italia. Cosa vuol dire questo? E’ il riconoscimento di un accresciuto ruolo politico del ministero?
Nessuno si meraviglierebbe che in tempi di epidemia ad essere in prima linea sia il ministero della salute. In tempi nei quali è a rischio la pace, è perciò comprensibile che in prima linea finisca il ministero che delle pace è posto a difesa. Il ministero della difesa. Soprattutto quando la difesa non si chiude in difesa, ma è alla testa della iniziativa internazionale che si propone di spegnere il fuoco, di promuovere e stabilizzare la tregua come è accaduto in questi giorni in Libano.

 2) Perché si è andati in Libano mentre si torna invece dall’Iraq?
Come era possibile restare indifferenti mentre prendeva fuoco un campo vicino? Quel campo che i Francesi chiamano Vicino Oriente è a noi vicinissimo. Certo il sentimento di solidarietà ma anche la ragione, la preoccupazione che l’incendio coinvolga in qualche modo anche il nostro campo ha sollecitato il nostro impegno, e dato l’esempio affinchè nel tempo più breve l’Onu organizzasse una squadra per spegnere l’incendio. Il solo annuncio del varo della missione ha interrotto l’incendio che in un mese aveva prodotto 1200 morti, una perdita media di quaranta vite umane ogni giorno. Il rientro dall’Irak entro l’autunno che il Parlamento ha disposto in adempimento del mandato degli elettori ci aiuta a far fronte al nuovo impegno che il Paese si è assunto.
3) l’opposizione dopo un iniziale appoggio alla missione in Libano adesso sembra guardarla con scetticismo.
Lei davvero esclude che il ruolo internazionale dell’italia possa uscire danneggiato anziché valorizzato da una missione con tanti rischi e incognite?
Che la missione si prospetti lunga, impegnativa, costosa e rischiosa sono stato il primo a riconoscerlo. Spegnere un incendio non è mai una passeggiata. E’ un dovere, e ripeto anche interesse del Paese. Spero che l’opposizione confermi il giudizio che l’ha indotta a condividere l’approvazione della missione consentendo al Parlamento di esprimersi pressocchè all’unanimità. Un giudizio fondato sulla utilità e doverosità della missione non sulla sua facilità.

4) Il nuovo impegno dell’Italia in Libano può rendere opportuno un alleggerimento della presenza italiana in Afghanistan come ha proposto Mastella?
A darci una mano come le ho detto c’è già il compimento della missione in Irak. Quanto all’Afghanistan possiamo solo ripetere che manterremo fede agli impegni presi con gli alleati dimostrando che l’Italia è un Paese affidabile. Al Generale Jones, comandante della Nato che auspicava un impegno accresciuto da parte dei Paesi della Alleanza, ha già risposto per noi il Segretario Generale della Nato “L’Italia sta dando già molto”.

5) In Afghanistan i militari italiani potrebbero essere coinvolti in vere e proprie operazioni antiterrorismo specialmente nel sud del paese?
Il nostro compito è sostenere la crescita della giovane democrazia afghana e la sua difesa dai colpi di coda e dalla ripresa di azioni terroristiche. Quanto al tempo e al luogo non esistono purtroppo momenti sicuri o luoghi riparati. Il terrorismo ha per sua natura il vantaggio dell’iniziativa. Kabul e l’Ovest, come gli episodi di questi giorni hanno purtroppo dimostrato, non sono più sicuri del Sud. E’ bene che ognuno faccia la parte facendo fronte alle responsabilità che si assunto sulla base delle sue possibilità.

6) Cosa è cambiato nelle missioni di pace dopo l’11 settembre?
La presenza di organizzazioni terroristiche trasnazionali capaci di operare a livello globale resa evidente da quell’episodio e da quelli ad esso succeduti, accresce la necessità di un forte coordinamento della azione di tutti gli stati. Per evitare che questa lotta possa dar luogo a conflitti tra stati è necessario che questa azione sia promossa dalle Nazioni Unite e si svolga sempre a partire da una sua legittimazione e nel quadro della sua organizzazione.

 7) Angelo Panebianco sul Corriere della sera ha scritto che la lotta al terrorismo islamico va condotta anche sul piano interno non escludendo misure di emergenza. Lei cosa ne pensa?
Emergenza è una strada in pendenza. Sappiamo come inizia non come finisce. La questione aperta sotto il titolo di terrorismo non è una questione risolvibile a breve, e men che mai solo e neppure in prevalenza con l’uso della forza. Intelligenza e intelligence sono le parole chiave. E assieme ad esse una comprensione più esatta del fenomeno che chiami religione la religione, fede la fede, e lotta per il potere la lotta per il potere, evitando confusioni e cortocircuiti, e soprattutto evitando di unire sotto l’etichetta di Islam movimenti tra loro radicalmente distinti e spesso contrapposti.

8) Gli impegni in Libano e in Afghanistan rischiano di offuscare le altre missioni italiane all’estero. Vogliamo ricordarle?
L’Italia è impegnata in 29 missioni in 18 paesi, tutte accomunate dal loro svolgimento nel quadro dell’Onu, tutte finalizzate al mantenimento della pace. Nel momento in cui una missione inizia è bene ricordare anche quelle che sono finite. L’Italia ha infatti preso parte nel tempo a 71 missioni. Di esse 42, cioè la maggioranza ha avuto fine perchè esse hanno conseguito il loro fine. Un dato che misura i successi del passato e alimenta la nostra speranza nel futuro.

9) Finanziaria: lo Stato italiano – secondo molti osservatori internazionali – non presta alla Difesa e alla Sicurezza l’attenzione dovuta. Prova ne sono i continui taglia la bilancio. Nel 2001 il bilancio del ministero toccava l’1,45 del Pil nel 2006 è di appena lo 0,84. Come si spiega pur in presenza di un accresciuto ruolo internazionale del ns Paese?
Non si spiega. E men che mai si spiega come nella scorsa legislatura sia accaduto che nel momento in cui si varavano nuove missioni si indeboliva lo strumento che le rendeva possibili. Questa contraddizione appare ora ancora più evidente, e rende urgente la necessità di porvi riparo. Non possiamo pretendere che la nostra sicurezza dipenda da altri Paesi. Nè difronte ad un incendio possiamo limitarci ad auspicare che venga spento da altri, collocandoci tra quelli delle “buone intenzioni, molte parole, e pochi fatti”.

10) Come ha trovato le nostre Forze Armate? Preparate, pronte alle nuove sfide? Lei, professore di sociologia, come spiega il fatto che i ns militari ovunque vadano sone sempre bene accolti e poi rimpianti?
Le capacità delle nostre Forze Armate nelle operazioni di Peace Keeping sono così riconosciute da rischiare di diventare un luogo comune. Dietro questa fama sta una volta tanto una realtà consolidata. Innanzitutto quella cultura di pace fondata sul dialogo e il rispetto, che accomuna nel suo profondo tutto il nostro paese, e ci mette al riparo dalle tentazioni di primato che per altri provengono dal loro passato imperiale. A questa cultura il passaggio delle Forze Armate dal modello fondato sulla leva a quello professionale aggiunge la capacità che viene e deve venire dall’addestramento e dall’ammodernamento nei mezzi. Mano di ferro in guanto di velluto è e deve essere il profilo ideale del nostro soldato. Un abbraccio forte e un sorriso amico al servizio della pace.