C’è molta poca enfasi nelle parole del ministro della Difesa, Arturo Parisi, che (ha seguito ieri in diretta,) per tutta la giornata si è tenuto continuamente a contato con lo Stato maggiore per seguire le operazioni di sbarco dei primi quattrocentocinquanta soldati italiani della missione Leonte sulle spiagge libanesi di Tiro e Naqoura. C’è, semmai, la consapevolezza della difficoltà che ci attendono. Rischi da anticipare ed errori da evitare perché tutto vada avanti senza intoppi e, soprattutto, senza incidenti in questa missione che sta riportando l’Italia al centro dell’azione politico-diplomatica in Medio Oriente dopo la “sbandata” americana sull’Iraq.
Insomma, ministro, nessun D-Day?
L’attività procede secondo le scadenze programmate tranne alcuni problemi dovuti al difficoltà del mare. Ma, si sa, al mare non si comanda.
E poi non enfatizzerei troppo il termine sbarco: non vorrei che qualcuno lo confondesse con lo sbarco in Normandia. Si chiama sbarco anche la discesa a Civitavecchia dei viaggiatori in arrivo dalla Sardegna. Esso si svolge su una spiaggia di solito occupata da bagnanti perchè le condizioni del porto di Tiro non consentono queste operazioni.
Quanti sono i soldati del primo gruppo?
Nei primi giorni poco più di ottocento uomini, arrivando presto a mille unità . Sommate alle 2000 che operano sul terreno e all’apporto dei francesi, si raggiungerà così quota 3500 che spero possa portarci vicino in qualche settimana a quei 5000 che Israele ha indicato come condizione per il ritiro totale. Nei primi due mesi, con la Early Entry Force, impegneremo mille uomini più 1500 dello strumento navale. Poi, la componente navale rientrerà e arriveranno altre forze. Nella fase successiva, con la Follow On Force, avremo circa 2500 uomini quasi esclusivamente sul terreno.
Tutti dicono che nella prima fase delle operazioni sarà essenziale l’intelligence. Come ci si sta muovendo?
La gente deve capire, e lo dico in un momento in cui l’intelligence è al centro di polemiche, che dire meno armi significa dire più intelligence. Direi, anzi, più intelligenza per consentirci di agire con prudenza e con efficacia. Quello che è certo è che dovremo parlare con tutti. Questo, perchè non ha niente a che vedere con riconoscimenti o legittimazioni che non ci competono.
Semmai, con il realismo. Riconrdando quindi, per quel che riguarda gli Hezbollah che essi sono anche un’entità politica presente in Parlamento e nel Governo.
E’ corretto dire che l’Italia, dopo la sbandata americana sull’Iraq, con la missione in Libano, ritrova il suo ruolo tradizionale in Medio Oriente?
C’è, in questo passaggio, un ritrovato equilibrio che ci vede impegnati come europei e partner affidabili degli Stati Uniti. Un equilibrio che ci chiama a coniugare il nostro impegno per il mantenimento della pace con l’interesse nazionale, che è che certo figlio della nostra Storia ma prima ancora della Geografia.
Non crede che nell’opinione pubblica non sia ancora matura la consapevolezza delle differenze tra missioni e missioni, tra coalition of the willings, Afghanistan e Libano?
Quella che ci manca è una cultura adeguata della difesa e della sicurezza.
E’ questo che non ci consente di valutare le differenze che spesso esistono tra una missione e l’altra.
Con il rischio, magari, di vedere tutto in ottica italo-italiana. Mandiamo più soldati in Libano e allora togliamoli dall’ Afghanistan..
Appunto. Se la discussione vuole essere ragionevole credo che vada innanzitutto evitata la confusione tra il piano dei fini con quello dei mezzi: non possono essere alleati quanti invitano a considerare i costi della missione a Kabul con quanti la contestano per l’obiettivo.
E poi c’è l’Iraq. Ieri un nuovo attentato a Nassiriya ha dimostrato quanto è difficile normalizzare la situazione. Il passaggio dei poteri accelerera il rientro?
L’annuncio del presidente Al Maliki è la prova che il calendario che noi avevamo prefissato si sta svolgendo secondo le cadenze concordate. Una volta trasferita in ottobre la sicurezza del territorio all’autorità locale si avvierà il rientro che abbiamo già pianificato.
Giuliano Ferrara dice il Libano è un successo ma non ci crede. Forse pensa al nodo vero, disarmare Hezbollah…
L’obiettivo dell’intervento è quello scritto nella risoluzione: difendere l’esistenza dello Stato di Israele e rafforzare la statualità libanese. Questo vuole dire riconoscere al Governo di Beirut l’esclusivo monopolio della forza legittima dal quale deriva la necessità del disarmo di tutte le milizie, quindi anche quelle di Hezbollah.
In concreto, cosa significa?
L’obiettivo è chiaro: il contrasto di ogni azione armata che muova dal territorio della missione. Per il contrasto degli attori, ogni iniziativa sarà svolta a sostegno delle forze armate libanesi. Vigileremo contestando la presenza di forze armate o di armi laddove le individueremo.
Contrasteremo ogni singolo atto ostile con una reazione all’altezza dell’azione consentita dalle robuste regole di ingaggio.
Sbarchiamo in Libano, rimaniamo in Agfhanistan, rientriamo dall’Iraq. Un accresciuto ruolo delle Forze armate non accompagnato da adeguati investimenti. Negli ultimi anni il bilancio della Difesa è passato dall’1,45 allo 0,84 del Pil. Si invertirà questa tendenza con la Finanziaria?
La situazione è stata fortemente compromessa dalle scelte del precedente Governo, in particolare nell’ultimo biennio. Scelte rese possibili dalla separazione tra il bilancio della Difesa e il bilancio delle missioni. Mentre si finanziavano le missioni si ponevano le premesse per non svolgerle in futuro. Con la Finanziaria non siamo destinatari di richieste particolari ma ci sentiamo coinvolti in un impegno collettivo. Occorrerà rimodulare la spesa ridefinendo l’incidenza delle spese per il personale (oltre il 70%).
La missione Libano costerà, su base annua, circa 600 milioni. Ma esistono sperequazioni nelle retribuzioni tra Paese e Paese. La situazione che si potrà risolvere?
Per i nostri militari il tema è affidato alle norme sul trattamento di missione previste per i dipendenti dello Stato. In futuro, all’interno di una riflessione più organica, si potrà riproporre il tema. Circa le comparazioni con altri contingenti sarei più prudente. Esistono anche tabelle che vedono l’Italia in posizione migliore rispetto ad altri.
E comunque non dimenticherei mai che a differenza di altre categorie nell’adempimento del loro servizio i militari mettono a rischio il bene più prezioso: la vita.