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6 Ottobre 2011

Il referendum propone una linea politica diversa da quella proposta dal Pd

Fonte: l'Unità

Capirsi e’
quasi sempre difficile. Non capirsi facilissimo. Basta non ascoltarsi o
non leggersi. E’ quello che e’ capitato appunto a proposito della mia
richiesta di dimissioni di Bersani.

Quali
dimissioni? Niente di piu’ inesatto. Non foss’altro perche’ nessuno le
ha chieste. E non le ha chieste innanzitutto perche’ nella forma
presidenziale di investitura diretta del Segretario che governa il Pd
non si possono chiedere. E poi perche’ con la solidarieta’ del gruppo
dirigente attuale non si potrebbero comunque ottenere. Non si parli poi
dell’inopportunita’ di farlo in questo momento. Quello che ho detto e’
che se nel partito, invece dell’attuale sistema presidenziale, vigesse
quel sistema di “flessibilita’ istituzionale e politica”, che “di fronte
ad una caduta di consensi” fa cadere i governi riproposto ieri da
Bersani, lui stesso avrebbe dovuto presentarsi dimissionario per
contrastare democraticamente l’accusa di aver inferto un grave danno al
partito con una linea che si e’ dimostrata radicalmente sbagliata”.

Come
si vede ho contestato il modello riproposto dal Segretario proprio
nella Direzione di ieri, chiedendo di
chiudere con la stagione apertasi “quindici anni fa quando davanti al
vuoto ed alla deligittimazione della politica, l’Italia non ha avuto la
forza di scegliere una riforma della democrazia rappresentativa e ha
scelto invece una illusoria scorciatoia populista”. Ho voluto cosi’
sollevare la contraddizione palese tra l’invito al ritorno ad un sistema
fondato sulla delega e la pratica di un sistema aperto alla investitura
diretta al quale anche noi, per nostra scelta, e, non solo Berlusconi,
abbiamo ispirato la nostra azione. Ho colto l’occasione per rilevare la
distanza tra il modello che il gruppo dirigente propone per il Paese e
quello che viene praticato nel Partito. Possiamo mai andare avanti a
forza di primarie e Nuovi Ulivi, esaltare la partecipazione diretta dei
cittadini in tutte le sue forme, evocare come base della legittimazione
della leadership i milioni di elettori votanti, riempire le stazioni di
manifesti col volto di leader che si rimboccano le maniche e allo stesso
tempo rinnovare come “parola d’ordine: via i nomi dai simboli” come ho
appunto sentito ieri?

Questo e’
il problema che ho sollevato. Molto di piu’ e molto diverso di una
banale e velleitaria richiesta di dimissioni. E’ di questo che dobbiamo
discutere.
Semmai, se
proprio una proposta praticabile anche nel quadro delle regole oggi
vigenti, ho lasciato agli atti e’ quella che riguarda me. “In un partito
quale quello che voi pensate di costruire o di avere costruito – ho
lasciato scritto – noi dovremmo essere deferiti agli organi di
disciplina per la grave disubbidienza ai deliberati ufficiali”. Come
infatti definire se non un grave atto di indisciplina il comportamento
di chi, come noi, pur sconfitti nell’ultima direzione da una maggioranza
di 166 persone su 173 con 3 contrari e 4 astenuti, non si attiene alla
delibera che nella precedente riunione del 19 luglio aveva invitato i
dirigenti ad astenersi da ogni inziativa referendaria dichiarando “che
non si possa sostenere contestualmente la modifica della legge
elettorale in vigore da parte del Parlamento e la presentazione di un
Referendum in materia”. Mi dispiace che questo l’Unita’ lo abbia omesso.
Cosi’ come non ha dato conto della sostanziale assenza nella relazione
del Segretario di una riflessione adeguata sul tema che nella stessa
giornata era al centro del dibattito sui giornali. Si puó dedicare, dico
io, in una relazione di 26.300 battute, solo “una parentesi” di sei
righe a qualche minuto dalla fine per rivendicare il merito di essere riusciti ad evitare “che il Pd
finisse diviso tra i sostenitori di diversi referendum” come se il
problema principale fosse salvaguardare l’unita’ del gruppo dirigente e
non invece di battersi in tempo contro la ben piu’ grave separazione tra
Parlamento e Paese, tra eletti ed elettori prodotta da questa legge
elettorale.

Senza riuscire a spiegare perche’, dopo aver
invitato a non partecipare ad alcun referendum, il Partito e’ finito
trascinato in un Referendum promosso da altri partiti che non ha scelto,
e, aggiungo, giustamente, perche’ il referendum e’ sostenitore di una
linea, nella quale io e centinaia di migliaia di cittadini che hanno
votato Pd ci riconosciamo ma che e’ completamente diversa da quella
perseguita dal gruppo dirigente?

Su questo
si’ che mi farebbe piacere che l’Unita’ aprisse un confronto visto che
non e’ stato proposto ne’ sviluppato nella ultima Direzione.
Un dibattito
non fatto di aggettivi e di punzecchiature, di retroscena, di
ricostruzioni capziose come quelle che inevitabilmente si moltiplicano
sui giornali quando, invece di affrontare in modo serio un tema serio
come questo, si preferisce girarci attorno limitandosi ad un generico
invito all’unita’ imputando chi come me non condivide la linea della
segreteria di atteggiamenti polemici “pretestuosi e pericolosi” come,
per firma di Luigi Cancrini, l’Unita’ oggi mi accusa.