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22 Aprile 2013

IL PD NON E’ MORTO, NON E’ MAI NATO. Barbara Jerkov, Il Messaggero

– Se il Pd non sostiene compatto Prodi, vuol dire che il Pd
non c’è più: lo ha detto l’altro giorno Rosy Bindi sul
nostro giornale. E’ andata davvero così, professore?

Più che morto il Pd non è ancora nato, come partito, come
partito nuovo e se mi consente democratico. Le bocciature
di Prodi, e, ancor di più quella di Marini ne hanno solo
dato la prova. Ricorda Bersani quando alla vigilia del voto
vantava la superiorità del suo Partito come collettivo
legato da una solidarietà che veniva da lontano e andava
lontano, in contrapposizione all’effimero Pdl destinato a
finire col suo padrone? Dopo Bersani ci sarà ancora il Pd,
diceva con orgoglio. E’ questa pretesa che i fatti hanno
messo in discussione. Se una solidarietà esiste non si
chiama Pd, e quel che chiamiamo Pd è ancora privo di una
solidarietà vera.

– L’assenza di solidarietà interna è una denuncia che hanno
espresso anche Bersani e Marini. Quali sono a suo parere le
cause?

Una volta scelto di costruire il partito sulla divisione e
di governarlo attraverso la spartizione lungo la linea
D’Alema-Marini, tutto il resto era inevitabile. Il terrore
delle discussioni per paura delle  divisioni. Le assemblee
concluse alla unanimità quando si vota in modo palese su
decisioni apparenti, e gli inevitabili rivolgimenti quando,
come in questa occasione, si votava in modo segreto su
questioni cruciali. Pensi solo alla drammatica sostituzione
nel 2009 del primo segretario con una assemblea muta mentre
Veltroni passeggiava a Villa Borghese col cagnolino. E
all’ultima fulminea direzione del partito, convocata con
urgenza appunto sulla crisi, e tuttavia ammutolita e chiusa
dopo poche decine di minuti, proprio da Marini che in meno
di 100 secondi invitava ad evitare il rischio di
discussioni divisive e dannose.

– Perché neppure la riconferma di Napolitano è stata in
grado di salvare l’unità dei democratici italiani?

Perchè non è stata pensata per questo ma per fronteggiare
lo stallo nel quale siamo finiti come Paese. Se non
approfittiamo della dilazione offertaci da Napolitano,
questo rinvio potrebbe tuttavia ripresentarci presto con
pesanti interessi il conto che abbiamo rifiutato ora di
pagare. Di fronte alle scadenze è possibile fermare le
lancette, ma non fermare il tempo.   

– C’è chi dice che a condannare il Pd sia stato aver
portato in Parlamento un nuovo ceto politico, tramite le
primarie, che risponde direttamente ai propri elettori – al
mondo di Twitter, alla rete, al vicino di casa… – senza
esercitare alcuna mediazione politica. Condivide?

Il Vangelo sconsiglia di versare il vino nuovo in otri
vecchi. E questa volta di vino nuovo ne abbiamo immesso di
certo in quantità. Ma il problema sono gli otri, non il
vino. La soluzione non è rimettere il 100% delle nomine
nelle mani dei vertici, ma l’elezione di tutti i
parlamentari nelle mani di tutti i cittadini. Delegare alla
periferia la designazione di due terzi dei parlamentari da
nominare è stato certo un passo avanti, ma non ci si è resi
conto che se non si riesce a coinvolgere in questo la
stragrande maggioranza dei cittadini si può finire nelle
mani di piccole minoranze che possono essere non
rappresentative dell’insieme degli elettori. A furia di
restringere la partecipazione per manipolare le primarie i
vertici possono finire manipolati.

– La sinistra radicale ancora una volta ha dimostrato di
non accettare le decisioni prese a maggioranza con gli
alleati. La storia di Prodi e Bertinotti che si ripete?
Un’alleanza che si conferma impossibile?

Questa volta è un’altra storia. L’idea sbandierata alla
vigilia per placare le ansie dei moderati che le decisioni
sarebbero state prese dai parlamentari della coalizione a
maggioranza era insulsa in partenza. Considerato lo
squilibrio di forze equivaleva infatti ad uno scioglimento
immediato di Sel nel Pd. Per prenderla sul serio la
coalizione bersaniana avrebbe infatti dovuto disporre di
una densità ben maggiore di quella assicurata dalla
frettolosa adesione alla carta degli intenti imposta dal Pd
agli alleati. Scelga lei quale dei proverbi popolari si
adatta di più. Presto e bene raro avviene, o, invece
semplicemente che le bugie hanno le gambe corte.

– La storia dell’Ulivo è arrivata definitivamente al
capolinea?

Fin dall’inizio il capolinea dell’Ulivo si è chiamato
Partito democratico. Un partito nuovo capace di accogliere
la maggioranza più uno dei cittadini e perciò aperto a
tutti gli italiani che non appartenevano pregiudizialmente
alla destra. Il guaio è che l’Ulivo è arrivato, ma il Pd
non è ancora “P”artito.  

– Cosa ne sarà adesso del centrosinistra?

Di certo non possiamo riconoscerci in questo campo di
macerie tra Berlusconi e Grillo. Non abbiamo altra
alternativa se non ricominciare. Ricominciare come ventanni
fa da un progetto “per l’Italia che vogliamo”. Ricominciare
da questa domanda di partecipazione e di democrazia diretta
che è esplosa tra i cittadini. Ricominciare a dire parole e
solo parole seguite da fatti.