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28 Settembre 2013

IL PD DEVE RIFLETTERE SE SIA RESPONSABILE CONTINUARE COSÌ. Europa

Finalmente abbiamo smesso di parlare di regole. Finalmente. Dopo una vita dedicata alla regole e a dire quello che oggi Epifani ha ripetuto. In democrazia le regole sono sostanza. Una proposizione detta per prender commiato da un’ulteriore pagina della storia del Pd che vogliamo dimenticare. Detta, per prendere commiato da essa non guidati dalla illusione di poterla difendere. In democrazia le regole sono infatti sostanza quando sono la traduzione in norme di comportamenti e la guida dei processi chiamati a tradurre una idea in una cosa. Non quando sono ridotte ad uno dei tanti mezzi della lotta politica per danneggiare uno o favorire un altro quando già l’arbitro ha fischiato l’inizio della partita. E tuttavia ripeto: finalmente! Anche se tutti sappiamo che non è che una tregua. Finalmente perchè possiamo da oggi tornare a dedicarci alle cose di tutti. Alle risposte che i cittadini attendono da noi ammesso che attendano ancora qualcosa. Alle domande che su di noi si fanno all’estero, quelli che ancora si fanno domande e sull’Italia non si danno le risposte di sempre. Il governo, che appena una settimana fa proprio su “Europa” Letta chiedeva di tener fuori dal Congresso, occupa così da oggi definitamente il centro della scena. Il governo: cioè la risposta alla domanda su come venir fuori dai problemi comuni. Il governo dell’Italia di oggi, non “quello dell’Italia dei prossimi venti anni”, come ho sentito dire nel confronto tra i quattro coraggiosi che si candidano a guidare i nostri passi. Il governo dell’Italia, non solo “quello dell’Europa”. Il governo non solo i governanti di turno. Perchè questo è, da oggi, dopo quello sulle regole, il punto dell’odg sul quale si è aperto finalmente il dibattito. Non grazie a noi, che ci siamo limitati a chiudere un discorso, ma grazie a Berlusconi che ha aperto il punto successivo, siamo costretti non solo a discutere dei mesi e degli anni futuri, ma a dare un giudizio sui mesi e gli anni passati. Perchè, una volta che il cammino futuro è definito come continuazione o interruzione di quello passato, ogni decisione sul futuro non può prescindere dal giudizio sul passato. Ha ragione Epifani a dire che una crisi di governo “sarebbe da irresponsabili”. Ma non ha torto chi gli risponde se sia responsabile continuare così. Il nodo, lasciato da parte sei mesi fa con l’illusione che a scioglierlo avrebbe provveduto, col passare del tempo, l’opera concorde e la cultura convergente del personale di governo, è infatti venuto definitivamente al pettine. Non volendo concordare un governo di brevissima durata che, con una nuova legge elettorale definita in partenza, portasse il Paese alle elezioni, e non potendo dar vita ad un vero governo di coalizione fondato su un confronto esigente e puntuale, capace di reggere nel tempo, è stata infatti scelta una terza via, che ha pensato di conquistarsi con i fatti dell’oggi la stabilità del domani, e di produrre quella lunga intesa che la formula delle larghe intese si limita ad evocare. È questa la scommessa che ieri è entrata definitivamente in crisi, rendendo manifesti nel suo fallimento i suoi limiti genetici. La recente scelta di rottura di Berlusconi, stigmatizzata con parole inequivocabili dal Presidente Napolitano, inqualificabile nelle forme e nel contenuto, la cultura politica che ne è a monte, e la struttura degli interessi che difende a valle hanno dimostrato d’un colpo i limiti del progetto che ha guidato il governo. Le “intese sulle politiche” sulle quali Letta aveva esplicitamente scommesso, a causa della loro insufficienza quantitativa e inadeguatezza qualitiva, non solo non sono state capaci di produrre quella “intesa politica” che prudentemente il Premier aveva escluso dal suo orizzonte programmatico, ma non son riuscite neppure a neutralizzare le divisioni profonde che erano state rappresentate dentro la stessa campagna elettorale dalla segreteria Bersani. Esclusa all’inizio quella esplicita intesa sulla quale sono in genere fondate all’estero quelle “grandi coalizioni” alle quali ci si limita ad alludere, e fallite per strada le intese affidate nei fatti alla azione di governo, non resta a questo punto che verificare urgentemente la possibilità di dar vita a quel governo di scopo che, muovendo da un accordo previo sulla legge elettorale, e solo sulla legge elettorale, porti il Paese urgentemente alle elezioni. È difficile non condividere la proposizione che dice che “non si può andare alle elezioni col Porcellum”. È esattamente quella sulla base della quale, contro gli orientamenti della segreteria del Pd e gli stessi deliberati dei suoi organi, (lo ricordo con dolore)esattamente due anni furono raccolte 1.700.000 firme. È tuttavia impossibile non sentire che troppi sono quelli che ripetono oggi quella verità non per cambiare urgentemente il Porcellum ma per non andare ad elezioni. È una commedia che non può durare troppo a lungo. Se è vero che il Paese ha bisogno della stabilità del governo come del pane, non è di un governo qualsiasi nè di una semplice continuità dei governanti che può accontentarsi. Se da una parte non possiamo accettare che ministri della Repubblica denuncino come “colpi di stato” atti legittimi e legali, non è neppure accettabile che qualcuno pensi di sanare questa ferita con compromessi che affidano la stabilità del governo ad una riduzione o sospensione della democrazia.