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8 Aprile 2013

GOVERNO: PARISI, NO A GOVERNISSIMO, E’ IN CONTRASTO CON MANDATO ELETTORI PD Intervista di Mara Montanari, ADNKRONOS

 

Nel Pd sembra crescere il ‘partito’ di chi vuole un accordo con il Pdl per un governo di scopo o transizione. Lei pensa che questa sia questa la strada giusta?

Basta non giocare con le parole. Che il paese abbia bisogno urgente di un governo è fuori discussione. Che questo governo possa nascere da una alleanza organica tra Pd e Pdl è un’altra cosa.

 

E perchè?

 

Non certo perchè il Pd non possa parlare col Pdl nè convergere con i berlusconiani su questo o quel provvedimento di governo. Lungo tutti questi venti anni, anche prima della maggioranza ABC, non sono mai mancate occasioni di confronto e molti sono stati i provvedimenti che hanno visto i voti del centrosinistra sommarsi a quelli del centrodestra. Ma una alleanza organica di governo è un’altra cosa. Questa alleanza contrasta infatti troppo col mandato che il Pd ha chiesto e ottenuto dai suoi elettori.

 

Qual era dunque questo mandato?

 

Dando per scontato il suo primato e scommettendo sul fatto che il Porcellum avrebbe messo comunque il governo nelle mani del partito, anche se fosse risultato null’altro che il meno piccolo, il Pd ha scommesso tutto sulla mini coalizione progressista escludendo ogni alleanza previa alla luce del sole perfino con i moderati di centro che riconosceva come i più prossimi. E’ così capitato che preoccupati di raccogliere solo i voti progressisti non son stati raggiunti neppure questi. In un sistema proporzionale come quello tedesco e in uno maggioritario di collegio, difronte a quella che è finita per essere una mancata vittoria si sarebbe potuto interpretare il mandato come una delega aperta ad alleanze con partiti dichiaratamente avversari. Non altrettanto in un sistema come quello attuale.

 

Come uscire allora dallo stallo?

 

Solo nuove elezioni potrebbero modificare a mio parere il mandato a partire di un nuovo voto.

Non credo che si possa passare da un accordo politico senza una esplicita alleanza quale è stato quello tra progessisti e moderati, ad una alleanza senza un accordo dichiarato quale finirebbe per essere quello tra Pd e Pdl.
Per il momento non abbiamo perciò altra via che un governo istituzionale per un tempo delimitato e uno scopo circoscritto, un governo che col sostegno del Presidente della Repubblica rassicuri l’Europa e il Mondo e allo stesso tempo consenta ai contendenti di concordare su nuove regole che portino il Paese oltre il pantano nel quale siamo finiti. Ma questo governo non può che essere aperto al voto di tutti ed equidistante dalla contesa. Se non vuol prescindere dalla legittimazione elettorale non può perciò avere alle sue spalle una maggioranza politica circoscritta per quanto provvisoria essa sia. Questo non impedisce, anzi, come dice Bersani, chiama a lavorare contemporaneamente assieme alle regole che riguardano tutti, a cominciare dalla legge elettorale.

Lei ritiene che Bersani dovrebbe fare un passo indietro e permettere una soluzione di governo che prescinda da un incarico a lui, in prima persona?

Se potesse nascere un governo politico, non riuscirei ad immaginare alla guida di esso una persona con più titoli politici di Bersani. Ma la questione del profilo politico del governo viene prima di chi lo guida.

Matteo Renzi si propone come futuro candidato premier, Fabrizio Barca si affaccia in vista del congresso del Pd. Quali previsioni fa per il Partito democratico? C’è chi ipotizza anche uno fosco scenario di scissione…

Se guardo al gruppo dirigente non vedo scissioni future. Quelle che non possiamo tuttavia dimenticare sono le scissioni passate. Come chiamerebbe i 3 milioni e mezzo di elettori che un mese e mezzo fa hanno lasciato il partito? Che sia Renzi o Barca, il futuro del partito dipende appunto da come pensiamo di superare la scissione passata.

Il Quirinale. Quante chances ha secondo lei Romano Prodi di diventare presidente della Repubblica?

Solo un mago, o un idiota, potrebbe lanciarsi in calcoli di probabilità. Come ho detto da tempo, questa è una vicenda il cui esito cambia di momento in momento.

Ieri Casini al Corriere della Sera ha riconosciuto che merita riflettere sul ritorno all’uninominale. Sarà contento…

 

Non si tratta di una scoperta ma di una riscoperta. Nel 1994 Casini fu tra i primi che nella Dc capì che si era aperta una stagione nuova, una stagione che chiamava ogni forza politica a tessere il proprio filo dentro uno schema segnato da una alternativa bipolare. Una stagione nella quale il centro diventava finalmente la linea della competizione tra i due poli, non più un territorio in cui insediarsi per portare la sua rendita all’incasso. Il fallimento dell’ultima iniziativa centrista dimostra ancora una volta che la lezione dei fatti ha contato alla fine più di mille delle nostre parole.