2222
9 Ottobre 2004

Dopo Camaldoli. La “questione cattolica” secondo Arturo Parisi

Autore: Sandro Magister
Fonte: l'Espresso

Da politologo prima ancora che da politico, Arturo Parisi ha formulato questa sua analisi della “questione cattolica” al convegno organizzato nel luglio 2001 a Camaldoli dalla rivista cattolica bolognese “Il Regno”.

Quello di Camaldoli è un appuntamento a cadenza annuale giunto quest’anno alla sua quinta edizione, che riunisce il fior fiore del “cattolicesimo democratico” italiano, assieme ad autorevoli uomini di Chiesa. Nel luglio 2002, tra i relatori, c’erano i cardinali Carlo Maria Martini e Walter Kasper. E tra i politici, oltre a Romano Prodi, anche due esterni: Giuliano Amato e Pat Cox, presidente del parlamento europeo.

Il convegno si tiene a porte chiuse e i suoi atti vanno in stampa a cura di “Il Regno” molti mesi dopo. Il che presenta svantaggi. Le indiscrezioni frammentarie trapelate nel luglio 2001 su quanto aveva detto Arturo Parisi a proposito della “questione cattolica” alimentarono polemiche fuorvianti, perché impossibilitate a misurarsi sulle cose dette davvero.

Ecco dunque qui sotto, in due pagine web concatenate, quel suo intervento per intero, ripreso dagli atti pubblicati da “Il Regno”.

I passaggi più originali dell’analisi sono nei punti 3 e 4, nella seconda delle due pagine web.

Parisi così sintetizza la nuova “questione cattolica”, riaperta, lui dice, proprio dal “cattolicesimo democratico”:

«Così come la “questione cattolica” dell’800 fu definita dall’alleanza dell’istituzione ecclesiastica con i cattolici emarginati dalla società, noi rischiamo di dare vita a un altro blocco nel quale il rapporto è tra il potere politico e i cattolici emarginati dalla Chiesa».

Parisi sostiene, infatti, che a riconoscersi nella coalizione vincente capeggiata da Silvio Berlusconi siano, tra i cattolici, soprattutto gli «irregolari», quelli di pratica religiosa saltuaria e di credo incerto, a margine rispetto alla Chiesa ufficiale, all’associazionismo cattolico e alla corrente culturale e politica “cattolica democratica”.

A questa corrente “cattolica democratica” ­ alla quale egli stesso appartiene ­ Parisi attribuisce «la sindrome del figlio fedele, quello restato a casa nella parabola del figliol prodigo», con «quel senso di superiorità intellettuale e morale che spesso ci contraddistingue».

E avverte:

«Se il cattolicesimo democratico fa proprio il criterio moralistico [nel giudicare la coalizione di governo e il “cattolico medio” che vi si ricononosce] esso si condanna a sconfitta politica certa».

Curiosamente, però, lo stesso Parisi cede alla vena moralistica quando sembra dare per assodato che nel centro-destra berlusconiano ci sia posto solo per i cattolici «irregolari» e non anche per una cultura cattolica liberale di qualità.

Impropria sembra anche la definizione di «clericale e agnostica» che Parisi dà alla dirigenza della Casa delle libertà «quanto alla sua relazione con la Chiesa e col pensiero religioso».

Che l’attuale dirigenza del centro-destra sia «compiutamente secolarizzata, sia nelle biografie, sia nel momento della sua legittimazione», è ampiamente vero. Ma quando poche righe oltre Parisi fa cenno al modello americano caro a tale dirigenza, lancia uno spunto che meriterebbe d’essere approfondito. Per il rapporto particolare tra il politico e il religioso che tale modello implica.

Quanto alla definizione di «clericale», meglio sarebbe dire «istituzionale», stando a ciò che lo stesso Parisi spiega:

«Mentre il centro-sinistra, in parte per la propria forza, in parte per la propria debolezza, ha mantenuto aperta un’interlocuzione e una richiesta di legittimazione verso le autorità ecclesiastiche, il centro-destra ritiene di non avere bisogno di alcuna legittimazione e sviluppa una interlocuzione di tipo puramente istituzionale, secondo quelle che sono le risorse di governo di cui oggi dispone».

Nel punto 1 della sua analisi, Parisi fa osservazioni acute anche sulla presenza dei cattolici nei vari partiti. Il suo timore è che dentro ciascuno dei due poli si creino dei vuoti di tale presenza, in corrispondenza con determinati partiti. In particolare:

«La trasformazione dei Ds in una formazione “laicista” sarebbe uno svantaggio per tutti: per il centro-sinistra, per la Chiesa, per tutto il paese».

Nell’ultimo anno, da quando Parisi ha espresso questo timore, i Ds si sono sicuramente ancor più laicizzati.

E la sindrome del figlio fedele? Da come si continuano a organizzare gli appuntamenti di Camaldoli ­ per inviti sempre più circoscritti ed esclusivi ­ si direbbe che il “cattolicesimo democratico” continua a ritenersi, esso solo, il primogenito della Chiesa nel campo politico.