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6 Giugno 2013

AVANTI COLPRESIDENZIALISMO. IL FATTORE B: SCUSA PER NON CAMBIARE. Barbara Jerkov, Il Messaggero

Nel programma dell’Ulivo del 1996 lei indicò proprio al primo punto l’obiettivo del sistema semipresidenziale alla francese, se non sbaglio.
Di certo già allora la nostra preferenza era per il modello francese. Prodi l’aveva resa esplicita in quello che era stato il primo confronto pubblico con Di Pietro che con impazienza aveva chiesto rassicurazioni al riguardo. Ma in verità il modello che io esposi in quella che non a caso fu la scheda n.1 del nostro programma non era di tipo presidenzialista. La resistenza dei partiti ci aveva infatti costretti a ripiegare su “una forma di governo centrata sulla figura del Primo Ministro investito in seguito al voto di fiducia parlamentare in coerenza con gli orientamenti dell’elettorato”, resi espliciti dalla indicazione del nome del candidato premier accanto al candidato del collegio uninominale. Quanto al Presidente della Repubblica, pur ribadendo la sua funzione di garanzia, avevamo previsto la revisione della modalità di elezione considerando tra le ipotesi “l’elezione diretta”. Pur convenendo di continuare a muoverci nel quadro di una democrazia parlamentare, per spingere al cambiamento avevamo scommesso sulla investitura diretta, ancorchè con modalità diverse, sia del Premier che del Presidente della Repubblica.
Ma l’Italia, ha detto ancora l’altro giorno D’Alema, ha bisogno di un arbitro. Condivide, professore? Come compenetrare questa esigenza con un presidente eletto direttamente?
 
E’ assolutamente evidente che qualsiasi modifica di rilievo debba essere valutata assicurando che in un nuovo sistema gli squilibri prodotti vengano corretti da pesi e contrappesi. E questo certo vale per il presidenzialismo, ma anche per l’asportazione di un organo come una delle due Camere, della quale si parla come se fosse una cosa da nulla, e perfino, per il dimezzamento dei parlamentari del quale si chiacchera alla leggera.
Lo stesso capo dello Stato in passato non ha nascosto i suoi dubbi sul presidenzialismo. Lei ha avuto occasione di incontrarlo di recente, lo ha rassicurato sull’efficacia di questo modello?
Del contenuto dell’incontro per il rispetto che ho per il Presidente non mi permetterei di riferire alcunchè senza la sua previa autorizzazione. Ho letto oltretutto che in una conversazione con Scalfari prevista per i prossimi giorni il Presidente esprimerebbe le sue opinioni al riguardo. Non resta che attendere qualche giorno. Le posso dire solo che ho verificato di persona quanta e quale sia nel Presidente la preoccupazione, l’ansia, l’impazienza perchè le riforme istituzionali annunciate vedano finalmente la luce. E soprattutto arrivino a conclusione entro i 18 mesi annunciati solennemente da Letta difronte alle Camere, e che l’Italia possa aprire il semestre che la vede alla guida dell’Europa dando assicurazione che quella che Letta ha riconosciuto come la riforma di struttura per eccellenza è a portata di mano.
Romano Prodi ha auspicato proprio dal nostro giornale una “cura francese” per il malato-Italia. Perché sarebbe questa la soluzione istituzionale per i problemi del nostro Paese?
Perchè prima della cura, francese è la malattia che oggi mette a rischio la vita stessa della nostra Repubblica. Se i sintomi della malattia che mise fine alla quarta Repubblica francese, furono la debolezza e l’instabilità dei governi, e la frammentazione partitica, come non guardare alla Francia per curare una malattia molto simile come la nostra? Crisi di sistema, liquefazione delle istituzioni, son diventate parole correnti per descrivere lo stato della nostra Repubblica. Possiamo arrenderci impotenti a questa agonia?
E’ chiaro che le riforme si fanno pensando non ai singoli ma al bene della collettività, ma come non tenere conto della presenza del fattore Berlusconi e del suo conflitto di interessi?

Certamente di questo e di altri fattori, del suo e di altri inaccettabili conflitti di interesse dobbiamo venire finalmente a capo. Ma tenerne conto per fare, non per non fare, o, peggio ancora, per far finta di fare. Era questo l’impegno che come Ulivo prendemmo nel 1996. “Un patto da riscrivere assieme” scrivemmo nella prima riga del programma. E aggiungemmo “a differenza degli altri punti programmatici” sulle regole comuni “il mandato che chiediamo agli elettori è per aprire un confrontro aperto e libero, non per conclusioni unilaterali”.

E, anche se non c’era ancora Grillo, Berlusconi era lo stesso di oggi. All’opposto di allora, in luogo di una contrapposizione con Berlusconi per il governo e di un confronto con tutti sulle regole, siamo invece finiti con Berlusconi al governo e a rischiare uno scontro con tutti sulle regole.