2222
19 Settembre 2006

Arturo Parisi in difesa contro gli estremisti

Autore: Maurizio Piccirilli
Fonte: Il Tempo

Da ministro della Difesa si è subito trovato in prima linea. Arturo Parisi, uomo di poche e incisive parole come la gente della sua Sardegna, dopo mesi di polemiche può rallegrarsi per una buona notizia:  la costituzione presso l’Onu della cellula strategica per la missione in Libano, diretta da un alto ufficiale italiano.
Tutti sanno e io lo vado dicendo da tempo che in Libano la nostra scommessa principale è l’Onu, l’Onu non solo come fonte di legittimazione, ma come organizzazione per difendere la pace. Ad essa abbiamo affidato i nostri soldati che operano adesso in casco azzurro e sotto il suo comando. Non è una scommessa che abbiamo fatto alla leggera. Avvertiti dalla esperienza proprio perchè credevamo nella missione abbiamo chiesto il superamento di alcuni limiti del tradizionale assetto della catena di comando Onu chiedendo un suo rafforzamento. E mentre continuavamo comunque a prepararci abbiamo fatto di questo una condizione per la definizione della nostra partecipazione. Abbiamo chiesto il rafforzamento dell’organizzazione dell’Onu, non di aggiungere un posto per l’Italia. Questo semmai l’hanno proposto altri.

Come non dichiararci soddisfatti ora che la costituzione della cellula di direzione strategica è finalmente arrivata?
E’ preoccupato per le reazioni del mondo islamico alle parole del Papa?
“Dovremo stare più attenti anche alle parole. Aumenta la delicatezza del contesto, tuttavia non lo cambia, i fondamentalisti erano presenti prima e lo sono ancora. Chi cerca pretesti non ha difficoltà a trovarne: non credo che questo cambierà la struttura della della situazione”.

Lei ha esordito decidendo il rientro dall’Iraq con le relative polemiche del centrodestra. Poi si è ritrovato a dover affrontare l’Afghanistan con le relative polemiche del centrosinistra. Infine il Libano dove non sono mancate le critiche dell’opposizione. Un ministro della Difesa sotto attacco dentro e fuori la maggioranza sin dal primo giorno di incarico. Vita dura la sua?
Le critiche sono il sale della democrazia. Da chiunque provengano, se svolte nel quadro delle regole istituzionali, sono segnali e stimoli che ci aiutano a trovare la sintesi politica, per far crescere l’unità del Paese su una linea chiara e forte capace di tenere nel tempo. Se alla critica delle parole, è seguito nei fatti un consenso che ha visto convergere sulle decisioni di governo quasi l’intero parlamento è anche perchè le abbiamo ascoltate e siamo stati ascoltati. Continueremo a farlo.

Nel programma dell’Unione era sottolineata la necessità di discontinuità con il governo Berlusconi. A parte la decisione di far rientrare i nostri soldati dall’Iraq quali altri segni di discontinuità ci sono nella vostra azione di politica estera?
Intervenendo in commissione Fini ha enfatizzato il fatto che sia noi che il centrodestra assumiamo per la politica estera e di difesa i valori dell’atlantismo, dell’europeismo e del multilateralismo. E io glie ne ho dato atto con soddisfazione. Se penso ai tempi nei quali il paese era diviso in modo radicale e irrimediabile tra fautori e avversari della Nato, europeisti euroscettici e avversari dell’Europa, per non parlare dei giudizi sull’Onu, è una conquista di non poco conto. Ma come non riconoscere che pur sulla base di questo denominatore comune, il centrodestra è stato guidato da un ordine di priorità che vedeva l’Atlantismo, spesso ridotto al solo rapporto bilaterale con l’amministrazione Usa di turno, il motore di tutto con al seguito l’Europeismo e solo in fondo quando ce ne fossero state le condizioni il Multilateralismo. Mentre per noi si potrebbe dire che la seguenza e quella opposta, e l’Atlantismo ha un senso solo se è pensato come un patto paritario tra l’America e l’Europa unita.

In Afghanistan, a Kabul ed Herat, siamo su mandato Onu e in ambito Nato. Come si spiega che in seno alla maggioranza, sia pure circoscritte a pochi elementi si scatenino sempre polemiche?
Guardi che su questi temi sono divise non solo le coalizioni come siamo noi, che sono per definizione pluralistiche, ma anche i partiti. Dia un occhio ai partiti americani o a quelli degli altri Paesi europei. Direi semmai che noi siamo meno divisi. Il problema è che a causa della ristrettezza dei rapporti di forza parlamentari al Senato in particolare anche un solo voto o opinione dissenziente conta e richiama l’attenzione.

Non le sembra che le polemiche politiche indeboliscano il morale di  quei ragazzi in divisa impegnati all’estero in zone pericolose?
Certamente. I nostri soldati sono in missione a nome e per conto della Repubblica. Quando sono all’estero hanno perciò il diritto di sentire alle loro spalle l’Italia unita. Quando tornano a casa hanno il diritto di trovare le loro famiglie, le loro comunità, gli amici del bar, uniti dall’apprezzamento per quello che fanno. Noi abbiamo il dovere di costruire questa unità, ripeto, su una linea chiara e che tenga nel tempo, e di rappresentarla all’esterno evitando di esasperare le eventuali legittime diversità di posizione.

Lei ha sempre auspicato e lavorato per un voto bipartisan per la missione in Libano. Dopo il voto di giovedi in commisione ha tirato un sospiro di sollievo?
Per la verità ho sempre confidato che avrebbe prevalso la ragionevolezza. Per favorire questo esito ho invitato tutti a stare al giudizio oggettivo sulla utilità della missione, senza pretendere di trasformarlo in un giudizio sul governo che ha la responsabilità della decisione e della conduzione. Per questo motivo ho evitato polemiche laterali e ho preferito talvolta mordermi la lingua.

Lunga, rischiosa, costosa  ma tuttavia doverosa così lei ha definito la missione In Libano. Quanto tempo pensa rimarremo?
Spero che la Unifil 2 duri meno, molto meno della Unifil 1 che dura da decenni. Ma soprattutto che la natura militare della missione sia prima integrata poi ridimensionata e superata da una missione di cooperazione civile. Spero che l’affermazione e il rafforzamento dello Stato libanese, consenta di trasformare la tregua in una stabile pace fondata sul definitivo riconoscimento e la salvaguardia dello Stato di Israele.

E in Kosovo e in Bosnia dove lei si è recato già due volte quanto tempo occorrerà per stabilizzare quell’area?
Anche questo è un lavoro di lunga lena. Anche su questo versante spero che l’attenzione civile prenda il posto di quella militare. La conclusione della missione militare non è tuttavia per domani e neppure per dopodomani. L’ansia delle minoranze ci chiama ad una presenza visibile che mentre sostiene il cammino verso un nuovo assetto, le rassicuri circa il rispetto dei loro diritti con una presenza visibile.
 
Missioni e non solo. Servono soldi ma la Difesa continua a subire tagli. Il governo di Destra esaltava le virtù militari ma tagliava i fondi. Questa maggioranza deve fare i conti con l’ala radicale che addirittura vorrebbe <disarmare>. Come pensa di affrontare questo problema?
Ricordando che i tagli del passato hanno già inciso sulla efficienza dello strumento militare oltre il limite di guardia. Se nella vicenda libanese siamo riusciti a prendere l’iniziativa e a mettere la prua verso il largo solo mezzora dopo che il governo aveva varato il decreto questo è stato perchè il Paese disponeva di uno strumento ancora all’altezza del compito. Non vorrei che questa fosse l’ultima volta.
   
Meno soldi vuol dire minore addestramento, quindi minor preparazione.  Meno attrezzature di sicurezza, vedi i 39 veicoli super blindati di cui l’Esercito aspetta l’assegnazione da quasi un anno. E la Finanziaria non sembra dare speranze per il bilancio del suo dicastero.. .
Perchè insistere col dito nella piaga? La Difesa si sente parte dell’impegno comune per la rimessa in ordine dei conti pubblici. Ci attendiamo tuttavia che il senso di corresponsabilità e orgoglio che ha attraversato il Paese in occasione della vicenda libanese non sia un sentimento riservato al giorno della partenza ma sostenga gli impegni del Paese fino all’arrivo. Spero proprio che nessuno pensi che si possa mettere a repentaglio la sicurezza dei nostri soldati tagliando sull’addestramento e sulla qualità dei mezzi.

Dicono che lei stia  studiando la possibilità di fare cassa con la vendita degli immobili della Difesa . Può spiegare questa strategia.
Non è una novità. Quello che si sta cercando assieme al Ministero dell’Economia per la valorizzazione degli immobili non più necessari alla Difesa è una via che superi i limiti passati, e consenta trasferimenti significativi dal patrimonio immobiliare a quello mobiliare.

Nella relazione presentata al Parlamento per gli investimenti 2006 non le sembra ci sia una sperequazione tra le diverse Forze Armate?
É evidente che bisogna evitare squilibri. L’equilibrio va tuttavia cercato in una programmazione pluriennale. Le sperequazioni presenti nel bilancio di un anno sono quindi provvisorie e non espressione di un disegno complessivo.
 
 Nei mesi scorsi ci sono state forti tensioni sui nostri servizi segreti. Si è parlato di nuove nomine e di  riforma. A che punto è la questione? Nuove nomine e riforma in vista?
La riforma dei servizi che ne rafforzi il coordinamento è all’ordine del giorno da anni. Sarebbe tuttavia sbagliato riproporla a partire da episodi occasionali. Credo che sia bene tener distinti il piano dei fatti, da quello della riforma delle istituzioni e questo dall’avvicendamento delle persone preposte alla loro guida. Ognuno di questi piani ha infatti tempi, criteri, e competenze che è bene non confondere tra loro.