Le elezioni regionali sono una sonora bocciatura per la disastrosa politica economica del governo, per una classe politica che per anni si è concentrata sugli affari privati del Primo Ministro, dentro la quale è nuovamente scoppiata la profonda contraddizione che fin dal 1994 la contraddistingue: un miscela di populismo leghista-antistatale al Nord, di populismo statalista-clientelare al Sud. Il risultato elettorale è allo stesso tempo una vittoria della proposta politica di Romano Prodi: della sua leadership, della compattezza della Federazione dell’Ulivo, della ritrovata convergenza tra tutte le componenti dell’Unione. La «formula magica» per il centrosinistra continua ad essere: una coalizione ampia, un solido baricentro riformista, una leadership autorevole. Ora è venuto il momento di presentare una proposta di governo forte e credibile, che possa essere presentata nello stesso modo, con la stessa credibilità e forza in ogni parte del Paese. |
Le elezioni regionali del 2005 segnano una netta inversione di tendenza negli equilibri elettorali italiani. La geografia politica del paese ne esce radicalmente trasformata. Il centrosinistra ora governa in 16 regioni su 20 e ha largamente superato il centrodestra in numero di voti diventando, per la prima volta dal 1994, maggioranza assoluta nel paese. Ci eravamo abituati a pensare che i due poli fossero elettoralmente impermeabili, che fosse cioè difficile conquistare i voti dei delusi da Berlusconi. Quella che passerà alla storia come «la profezia di Montanelli» si è invece avverata prima di quanto noi stessi potessimo immaginare. La Casa delle Libertà ha perso, rispetto alle elezioni regionali del 2000, un po’ meno di 2 milioni di voti mentre il centro-sinistra ne ha guadagnati più di 2 milioni. Ovviamente non se ne può trarre la conclusione che esattamente due milioni di italiani si siano spostati, né tanto meno stabilmente, da un polo all’altro. Alcuni elettori del centrodestra si saranno astenuti, alcuni elettori del centrosinistra in passato più tiepidi questa volta sono andati a votare. Ma è certo che un cambiamento così consistente negli aggregati totali non si spiega senza un vero e proprio flusso di consensi verso l’Unione.
Sulla sconfitta della Casa delle Libertà pesa la disastrosa politica economica del governo, la percezione di impoverimento di una fascia sempre più estesa di popolazione, inclusa una parte cospicua della classe media, l’oggettiva stagnazione economica e la paura di non riuscire a reggere la competizione con i paesi emergenti. A fronte di una tale situazione critica gli italiani si sono trovati di fronte a leader di governo che per anni si sono concentrati sugli affari privati del Primo Ministro, e oggi tentano di nascondere i loro fallimenti monopolizzando l’informazione o alimentando odi ideologici posticci contro l’opposizione. L’evidente crisi della sua politica ha anche accentuato le contraddizioni che fin dal 1994 contraddistinguono il centrodestra italiano, e soprattutto la sua «doppia faccia»: una combinazione di populismo leghista-antistatale al Nord, di populismo statalista-clientelare al Sud. Il risultato elettorale rappresenta quindi in primo luogo una sconfitta del centrodestra, ma è allo stesso tempo una vittoria della proposta politica di Romano Prodi: della sua leadership, della compattezza della Federazione dell’Ulivo, della ritrovata convergenza tra tutte le componenti dell’Unione. La «formula magica» per il centrosinistra continua ad essere: una coalizione ampia, un solido baricentro riformista, una leadership autorevole. Senza ciascuno di questi tre elementi gli altri due perdono di efficacia. Le elezioni regionali del 2005 segnano un punto a favore di ciascuno dei tre elementi di cui si compone la «formula magica». La leadership di Romano Prodi, innanzitutto, è fuori discussione, tanto che ora – e solo ora – si può senza pentimenti abbandonare l’ipotesi di una sua investitura popolare attraverso elezioni primarie. Le primarie possono essere evitate solo in quanto tutti gli effetti che esse avrebbero dovuto produrre sono state sancite dal voto per le Regionali, sulla base di una interpretazione univoca di tutti i leader del centrosinistra: il riconoscimento chiaro e distinto da parte di ogni componente della coalizione della leadership di Romano Prodi, la cessione al leader della coalizione delle prerogative che competono a quel ruolo, come se le primarie fossero state effettivamente tenute e vinte. Le elezioni del 2005 hanno dimostrato che una Unione larga è possibile, può stare insieme, vince. L’esemplare vicenda pugliese mostra poi che inusitati rimescolamenti e combinazioni delle identità sono possibili, quando si abbandona il linguaggio dell’ideologia e ci si cimenta tutti insieme con il problema del governo, quando ci si mette in gioco sulla base di regole trasparenti e condivise. Le elezioni regionali del 2005 hanno anche dimostrato, ancora una volta, che la strada indicata da Prodi e tenacemente portata avanti da Arturo Parisi, di creare un ampio baricentro riformista, si rivela lungimirante. Nonostante l’importanza che in molte regioni del sud, soprattutto in elezioni locali, ha la relazione diretta tra i candidati e i singoli cittadini, e quindi la mobilitazione di un maggior numero di candidati sul territorio, la strategia del «marciare divisi», la competizione tra le identità, non ha portato nessun vantaggio aggiuntivo in termini complessivi di voti alle varie componenti della federazione dell’Ulivo. Nelle regioni in cui Margherita, Ds e Sdi hanno presentato liste separate, l’area della federazione dell’Ulivo è cresciuta di circa il 3,5% dei voti validi rispetto al 2000. Lo stesso è accaduto nelle regioni in cui la federazione si è invece presentata con una lista unitaria. Ancora una volta, si è dimostrato che il collante che tiene insieme i partiti e gli elettori dell’Ulivo è abbastanza forte. La moltiplicazione delle liste e la competizione tra le identità non produce nessun guadagno elettorale, mentre di certo debilita la forza della proposta politica. L’esistenza di un forte baricentro riformista è stata determinante per dare efficacia alla proposta politica del centrosinistra anche perché ha stabilizzato la competizione interna a quell’area. Ha ammorbidito la coazione a distinguersi, nella comunicazione pubblica, tra Ds e Margherita, ha dato la possibilità ai loro leader di presentarsi come una forza solidale, tranquilla e sicura. Tutto il contrario di quanto avveniva nello stesso momento all’interno del centrodestra. Laddove l’Ulivo si è presentato con una sola lista è andato ugualmente bene rispetto a dove si è presentato con più liste. In un caso e nell’altro gli equilibri interni alle sue varie componenti sono rimaste sostanzialmente inalterate. La Margherita ha sostanzialmente recuperato il vistoso calo che si era verificato nelle provinciali dello scorso anno. Ma, come mostra un’altra analisi dell’ I dati mostrano dunque chiaramente che il risultato è frutto di una dinamica nazionale piuttosto che di una somma di specificità e di accordi tesi a combinare segmenti della classe politica a livello locale. La locomotiva di questa dinamica è stata l’unione del centro-sinistra. Questo non è il momento per coltivare piccole ambizioni di partito. Né tanto meno il momento per assecondare l’assalto al carro del (presumibile) vincitore da parte di pezzi di ceto politico alla deriva. Sarebbe una strategia miope anche sul piano strettamente elettorale e finirebbe per mettere a repentaglio la «formula magica». Il centro-sinistra, e al suo interno l’Ulivo, hanno ora una responsabilità grandissima. Elaborare una proposta di governo forte e credibile, che possa essere presentata nello stesso modo, con la stessa credibilità e forza, al Sud come al Nord. In gioco è il governo del Paese, e il Paese ha bisogno di un governo serio e credibile. È arrivato il momento che l’Unione, l’Ulivo, Romano Prodi dicano al Paese, tutto intero, come e per quali obiettivi lo vogliono governare. |