16 Maggio 2005
Se anche l’Unione diventa un condominio
Autore: Ilvo Diamanti
Fonte: La Repubblica
Le elezioni regionali di un mese fa hanno indotto le coalizioni e i partiti a cambiare strategia, in modo rapido e profondo. Non solo gli sconfitti del centrodestra. Anche i vincitori. Il centrosinistra, all´indomani del successo elettorale, ha intrapreso una strada diversa, quasi opposta rispetto al passato recente. Negli ultimi anni, seppur fra molte discussioni e molti contrasti, i partiti del centrosinistra avevano lavorato per rafforzare l´unità e l´integrazione interna, fornire una autonoma e solida legittimazione al leader, ricostruire il rapporto con la società. L´integrazione: perseguita attraverso la Federazione dell´Ulivo (Fed), che associa i Ds e la Margherita, insieme allo Sdi e ai Repubblicani Europei. Ma anche attraverso l´Unione fra tutte le forze dell´area, attorno a un programma e a un candidato comune. La via delle “primarie”, invece, era stata intrapresa con il duplice intento di: (a) garantire al candidato premier (peraltro, pre-designato) un consenso reale e autonomo; (b) coinvolgere in modo più diretto gli elettori; e in particolare le molteplici esperienze di partecipazione (movimenti, associazioni, comitati, girotondi) emerse negli ultimi anni.
Dopo il voto regionale di un mese fa, questo percorso sembra essersi interrotto. E, anzi, come dicevamo, invertito. E´ come se la (pericolosa) certezza della vittoria futura avesse spinto tutti gli attori a cercare soluzioni particolaristiche. E ciascuno pensasse a lucrare il migliore risultato per sé. “Tutti” gli attori, specifichiamo. Perché “tutti” i principali soggetti del centrosinistra sembrano marciare in questo senso. Per convinzione, inerzia o rassegnazione.
La Fed: sembra un marchio abbandonato al suo destino (peraltro, è brutto e suona male). Un´esperienza consumata e accantonata.
La Margherita di Rutelli non l´ha mai amata. La ritiene un vincolo, di fronte all´obiettivo di canalizzare il voto moderato di centrodestra. Che, alle elezioni regionali e amministrative dell´ultimo mese, pare essersi effettivamente scongelato, a causa, in primo luogo, della crisi di Fi. Tuttavia, oltre alla Margherita, forse più della Margherita, la “fuga” da FI ha favorito l´Udeur di Mastella. Soprattutto nel Mezzogiorno. D´altronde, buona parte di questi elettori è “orientata”, controllata, da gruppi di pressione e da leader locali di tradizione democristiana. Per cui la Margherita – e Rutelli – temono di non intercettare questi voti fluttuanti; e di vederseli sottrarre da Mastella (o magari, in qualche misura, dall´Udc). Preferiscono, dunque, avere le mani libere: per competere con l´Udeur. Oppure – perchè no? – per allearsi con essa. Sostituendo la Fed con la FdC (federazione di Centro; che, peraltro, echeggia la Dc).
Neppure i Ds, oggi, guardano la Fed con entusiasmo. Fassino, in particolare, teme l´effetto del 2001, quando il suo partito subì una pesante sconfitta, anche perché nessuno lo sosteneva e rappresentava. Visto che D´Alema era impegnato a farsi eleggere nel collegio di Gallipoli, Veltroni a diventare sindaco di Roma, mentre Fassino si presentava alle elezioni politiche come il vice-Rutelli: il n. 2 dell´Ulivo. Così, oggi, Fassino e la leadership Ds valutano con preoccupazione ciò che è successo nella campagna elettorale delle regionali. Quando, in modo più convinto degli alleati, hanno promosso l´identità della Fed e la leadership di Prodi. Subendo la concorrenza di Rc, a sinistra, e l´atteggiamento tiepido (e quasi freddino) della Margherita (Popolare), dentro il listone. I sondaggi, che oggi vedono i Ds attestati attorno al 19%, preoccupano un po´, perchè segnalano la scarsa capacità propulsiva di un partito appesantito da un´identità opaca.
D´altronde, i partiti della Fed, alle regionali e alle amministrative dell´ultimo mese, dove si sono presentati divisi, hanno ottenuto – nell´insieme – un risultato assai migliore rispetto alle europee dell´anno precedente, quando si presentarono uniti (nell´Ulivo).
Diversa è la posizione di Prodi, il quale fa di necessità virtù. E oggi si dedica maggiormente all´Unione, che alla Fed. Evita, cioè, di venire coinvolto nei conflitti fra partiti e nei partiti. Soprattutto, se ne sta lontano dal soggetto politico che egli stesso ha ispirato: la Margherita (dove i Democratici, a lui vicini, sono ormai minoranza). I cui leader (Rutelli e i Popolari), come abbiamo detto (e come è noto), diffidano e dissentono dal suo progetto “unitario”.
Anche le “primarie”, proposte (da Prodi) per “unificare” il centrosinistra e per rafforzare il legame tra i partiti, gli elettori e i movimenti della società civile, sembrano accantonate. Ad alcuni non piacciono, ad altri dispiacciono, mentre nessuno sembra disposto a grandi battaglie per rivendicarle.
Le primarie. Non le vogliono i partiti maggiori (Margherita e Ds), dopo l´esperienza della Puglia, che ha dimostrato come sia difficile “controllarle”, riducendole a una procedura che sancisca l´esito dei patteggiamenti fra gruppi dirigenti nazionali.
Le primarie: sembra che vi abbia rinunziato anche Romano Prodi. Giocoforza. Facendo, anche in questo caso, di necessità virtù. D´altronde, più che di vere “primarie”, si sarebbe trattato di una convention, di una investitura, visto che il candidato premier era già designato. E, allora, anche Prodi si è adeguato al suggerimento dei leader dei partiti maggiori, che hanno interpretato le elezioni regionali al pari delle primarie. Un rito di passaggio, che ne ha confermato – e sancito – la leadership. Senza bisogno di ulteriori, defatiganti, complicate, conflittuali, rischiose e inutili… primarie.
Così, dopo anni di dibattito e di esperimenti, si ritorna alle logiche “partigiane” e si rinuncia a sperimentare nuovi e diversi modelli di organizzazione e di partecipazione. Ciascun soggetto e ciascun attore politico, singolarmente considerato, insegue ragioni ragionevoli. Che, tuttavia, sollevano altri quesiti, altri dubbi. E qualche preoccupazione.
a) La Margherita di Rutelli: contendere all´Udeur e all´Udc gli elettori transumanti di Fi, adeguando allo scopo proposte, messaggi e linguaggi, potrebbe ridefinirne l´identità in senso neodemocristiano, “assimilandola” (=rendendola simile) ai partiti “concorrenti” (e, per questo, possibili alleati).
b) I Ds: rientrare da soli nella terra di mezzo fra neodemocristiani e neocomunisti rischia di riprodurre quell´identità ibrida, a cui tentano di sfuggire, da tempo. I DS: costretti di nuovo a dirsi socialisti o socialdemocratici, con il peso della tradizione comunista, proprio mentre i socialisti di un tempo stanno tentando di riaggregarsi in proprio. Visto che gli stessi Ds hanno rivalutato Craxi e la loro storia recente.
c) L´Unione: senza le primarie, senza il processo di “semplificazione” del centrosinistra, smette di proporsi come una casa comune, per diventare un condominio. Come la Casa delle Libertà. Un condominio, abitato da famiglie (politiche) note: vecchi e nuovi democristiani, vecchi e nuovi socialisti, vecchi e nuovi comunisti.
d) Prodi: lontano dalla Margherita, senza la Fed e senza le primarie. Rischia di divenire l´amministratore del “Condominio-Unione”. Non il “padrone”, come è stato, fino a un anno fa, Berlusconi, nell´altro versante.
e) Infine, le primarie. Con tutti i limiti, i vizi e le approssimazioni che ne hanno caratterizzato l´avvio, riflettono, comunque, una domanda di unità e di partecipazione molto diffusa fra gli elettori, i comitati e i movimenti, vicini al centrosinistra. Non dimentichiamo che i partiti del centrosinistra hanno visto declinare il loro consenso elettorale, nel passato recente, anche perchè sono stati percepiti come oligarchie mediatiche autoreferenziali. Chi e come risponderà a questo problema, a questa sensazione, oggi?
Convinti della prossima, inevitabile vittoria, i partiti del centrosinistra e i loro leader sembrano, dunque, decisi a marciare “avanti verso il passato”. A fermare le lancette dell´orologio della politica, spostandole in senso antiorario. Ciascuno appare ispirato da buone e ragionevoli ragioni. Nel suo piccolo. E ciascuno – nel suo piccolo – fatica a pensare in grande. A guardare lontano.