Cari amici, mi sembra doveroso più che necessario concludere con alcune considerazioni che inevitabilmente torneranno su alcuni degli elementi che ho proposto nella relazione introduttiva. E’ evidente che mi dovrò concentrare, in questa replica che ha il compito di chiudere il dibattito, sul tema che ha richiamato di più la nostra attenzione che è quello che definiamo della “margherita” ed è questa un occasione ulteriore per dire che questa denominazione è una denominazione provvisoria. Su questo tema ho sentito dei ragionamenti e soprattutto delle preoccupazioni. Se dovessi definire in modo sintetico l’atteggiamento manifestato dall’Assemblea dovrei definire questo atteggiamento come un “consenso preoccupato”. Di fronte a ciò devo dire che non c’è atteggiamento che io non condivida e non c’è preoccupazione che non mi attraversi profondamente, tuttavia il consenso preoccupato non basta, non possiamo accontentarci di un atteggiamento di rassegnazione. Noi per andare avanti abbiamo bisogno di un assenso impegnato, io ho bisogno di un assenso impegnato. Alle preoccupazioni posso solo dire, anzi ripetere, che per noi le parole contano ed è per questo che dicemmo un no in giugno che ripetemmo in luglio; ed è per questo che oggi ci siamo concessi ad un confronto puntiglioso, invece di chiudere gli occhi e attraversare il guado contando sul fatto compiuto, quello che viene definito come l’acquisizione e l’incasso della premiership. Ma per noi, come ho già detto, le parole contano e a chi nutre preoccupazioni perciò posso solo dire che non faremo sconti, che non dobbiamo fare sconti agli altri, ma prima ancora non possiamo e non dobbiamo fare sconti a noi stessi. E’ inutile che vi dica che quando la lingua ha battuto dove il dente normalmente duole, quando abbiamo cioè trattato dei collegi, ho sentito si la preoccupazione per le tentazioni altrui, ma ho sentito anche la comprensibile preoccupazione per gli interessi nostri. Ed è per questo che dico che non possiamo e non dobbiamo fare sconti innanzitutto a noi stessi. L’impresa per la quale siamo in campo, all’interno della quale si svolge la vicenda della margherita è una grande impresa, ed è per questo che ritengo che bisogna passare dalla preoccupazione all’azione, un’azione che deve innanzitutto fare i conti con la comunicazione. I giornali li leggo anch’io, noi sappiamo con certezza cosa c’è scritto nel documento e sappiamo cosa scrivono i giornali, e i giornali dicono prevalentemente della lettura altrui, perché sappiamo che interessati a questa lettura non ci sono solo alcuni dei nostri immediati partner, ma tutto il sistema partitico. Ma i giornali però raccontano anche della nostra ostinata posizione; dobbiamo continuare ad insistere affinché le nostre categorie, le categorie che sono dietro le parole che esprimiamo, diventino di senso comune. E i giornali dicono anche cosa rappresenta per noi questo passaggio, cos’è per noi la margherita, non siamo riusciti ancora a farlo passare come il segno prevalente, tuttavia la nostra posizione è chiara. E’ chiara innanzitutto la finalizzazione all’Ulivo, un passaggio non da poco, ricordo ancora che appena 14 giorni fa le reazioni dei popolari a seguito dell’intervento di Prodi a Formia furono durissime. Tuttavia i Popolari stessi hanno sottoscritto questo documento riconoscendo quella che ritenevano una definizione che stravolgeva la loro richiesta, la finalizzazione all’Ulivo, alla sua costruzione e alla sua vittoria. Noi sappiamo invece che dire la vittoria dell’Ulivo equivale a dire di una vittoria che cerca le quantità a partire dalle qualità, e quindi pensa la nostra iniziativa, la nostra adesione, consapevole della provvisorietà e della strumentalità che nella nostra concezione della democrazia ha ogni passaggio ed ogni strumento politico. In questo senso mi rivolgo a Loddo, la politica contemporanea non soffre della incapacità di confrontarsi con il problema dei fini ultimi, gode di questa condizione, perché appunto la laicità è il riconoscimento del limite della politica e lo alleggerisce di questo compito che non gli è proprio. Dicevo, sappiamo della provvisorietà, ma sappiamo anche che in ogni passaggio la provvisorietà deve cercare un senso e un significato che vale per il tempo in cui è chiamato a valere. E noi pensiamo perciò che la Margherita non possa esser pensata semplicemente come una legione straniera incaricata di conquistare voti dalla parte degli infedeli per conto di altri. La Margherita alla quale noi stiamo lavorando deve avere un senso in se, ancorché nella consapevolezza della sua provvisorietà. Noi sappiamo infatti che il limite della nostra coalizione non è la solitudine dei DS, ma è la tentazione all’egemonia dei DS; noi non abbiamo il compito di affiancare i DS con una formazione qualsiasi, ma abbiamo il compito di affiancarli con una formazione che nel mentre arricchisce i consensi della coalizione, contiene e contesta quella tentazione egemonica che è l’origine e la spiegazione fondamentale della debolezza e della incapacità della coalizione stessa di competere e vincere. La seconda linea d’azione è evidentemente quella della interpretazione; ripeto dobbiamo condividere innanzitutto, precisare e insistere affinché le categorie che stanno dietro il documento diventino categorie di senso comune. Ma soprattutto il compito che ci attende è lo sviluppo della nostra proposta. Abbiamo detto che questa è una proposta che deve essere costruita sul futuro e quindi deve essere costruita a partire da un’elaborazione , da un contributo programmatico che nel mentre interpreta le domande che vengono dalla società, arricchisce la proposta del centrosinistra per le parti che sono carenti. Noi abbiamo detto di voler intercettare, interpretare la domanda di quella parte di società che vive con consapevolezza con speranza, ma anche con ansia, il transito dallo Stato al mercato, dal lavoro dipendente a quello autonomo, dalla vecchia alla nuova economia; e perciò riteniamo debba essere sviluppato un programma all’altezza di questa domanda, domanda che oggi non è adeguatamente soddisfatta dal centrosinoistra. Dentro il documento ci sono già alcuni appuntamenti che interpretano questa domanda, uno di questi è quello che riguarda il tema della RAI e più in generale quello delle telecomunicazioni. Su questo tema metteremo immediatamente alla prova i partiti della margherita, con la consapevolezza che la decisione e la posizione risultante dovrà essere una posizione di coalizione; ma anche con la determinazione a combattere, contenere e riequilibrare le tentazioni di conservazione e inerzia che sono presenti e rappresentate da partiti della coalizione che restano, in questo caso incomprensibilmente, attaccati ad una concezione statalista in un luogo dell’azione politica, quale quello della cultura, in cui l’intervento dello Stato è meno giustificato. Comunicazione, interpretazione, sviluppo, programmatico, ma soprattutto attuazione, valorizzazione di quelli che noi abbiamo detto essere i tratti senza i quali questa operazione è un’operazione perduta, non perdente, perduta: l’apertura e l’innovazione. L’apertura a tutte le forze della tradizione democratico-riformista che decidessero autonomamente di condividere il nostro cammino. Qui apro una parentesi sullo SDI perché è troppo facile fare dell’ironia. La nostra insistenza sul coinvolgimento dei socialisti democratici non attiene ad una condizione di pregiudiziale inclusione dello SDI in questa operazione, ma contesta la sua pregiudiziale esclusione, perché noi sappiamo che tale pregiudiziale esclusione definisce i termini che danno significato al soggetto. Perché i nostri partner chiamati a rispondere alla domanda perché escludete pregiudizialmente lo SDI non possono che rispondere “lo escludiamo pregiudizialmente perché appartiene ad un’altra storia”, e allora quando gli diciamo “e noi di che storia siamo espressione?” loro ci rispondono “voi siete un caso dubbio” facilmente egemonizzabile concretamente dall’unica storia che noi conosciamo che è la storia passata. Poiché noi appunto lavoriamo sul futuro, non possiamo che insistere sulla “esclusione della pregiudiziale esclusione”, poi ognuno farà le sue scelte. Non si tratta di un’ insistenza sulla ammissione o l’accettazione di una sigla piuttosto che di un’altra; naturalmente quando parliamo dello SDI parliamo di qualsiasi voce significativa che nel campo laico-riformista è espressione e lo è stato lungo il corso della storia della democrazia del nostro Paese. L’altro tratto è evidentemente quello della innovazione. Confrontandoci con la sfida che ci viene dai mondi vitali, quei mondi vitali a cui si rivolge la provocazione, così la voglio leggere, di D’Antoni e Di Pietro. Dobbiamo si continuare a rivolgerci verso questi mondi vitali, ma senza alcuna esitazione e cedimento alla logica “dell’aderisco se mi conviene e vi lascio quando non mi conviene più”. Noi siamo in un passaggio delicatissimo di costruzione del bipolarismo per cui dobbiamo esser severissimi ed anche autocritici sulle adesioni. Noi non possiamo accettare interlocuzioni con soggetti che si posizionano per migliore trattativa sui collegi prescindendo da pregiudiziali scelte politiche: prima viene la scelta politica e poi il confronto, guai se per caso accedessimo all’impostazione inversa. In questo caso il terzaforzismo si paleserebbe per quello che è: il nemico più forte della nostra concezione della democrazia bipolare, una scuola di malcostume e di immoralità. Nello stesso senso voglio far sentire chiaramente la mia voce, non è accettabile, neppure a livello individuale, che persone siano corteggiate, e il mio riferimento va immediatamente a D’Antoni in questo caso, con l’idea che se viene con noi lo facciamo capo della Margherita, è una cosa che evidentemente non può farci che ridere. A tal riguardo quindi se qualcuno avesse rapporti con il destinatario di questo messaggio o con persone che indulgono su queste posizioni può riferire in modo immediato senza bisogno di affidarsi ai media. Naturalmente attuare il documento significa per noi allargare gli spazi della nostra azione, guardare e recuperare il senso del processo con la consapevolezza che siamo chiamati ad una impresa della quale al momento non siamo all’altezza: guidare ed imprimere il nostro segno al processo che, attraversando la Margherita, continua a perseguire l’obiettivo di sempre. Ed è in questo contesto che registro e sento il dovere di confrontarmi con le ansie di quelli che danno per scontato la nostra minorità nel mentre riconosco la nostra inadeguatezza. Vi chiedo minorità rispetto a che cosa? Alle sigle?, al fatto che di fronte abbiamo tre sigle e dunque noi saremmo minoritari? Tre contro uno, è questo il concetto? Non vorrei che le stesse persone che svalorizzano la definizione in termini di sigle dell’impresa poi la esaltino nel momento in cui decidono di costruire dei fantasmi di fronte ai quali gridare scappando. Una minorità forse rispetto alla cultura? Su questo punto vorrei richiamare la vostra attenzione. Io vi chiedo di non confondere la sopravvivenza dei simboli e le strutture organizzative in cui si riconosce il ceto politico con la cultura. La cultura è la capacità di interpretare la realtà e di ricondurre ad unità i processi di cambiamento, ed è purtroppo da questo punto di vista che dobbiamo riconoscere che la cultura dei soggetti con i quali abbiamo avviato il confronto è una cultura profondamente in crisi. Una cultura che è stata messa in scacco da contraddizioni che un tempo definivano profondamente la identità di quella cultura popolare; la contraddizione tra l’ispirazione religiosa e la tentazione della regressione confessionale, la contraddizione tra la pretesa evocazione di riferimenti internazionali e la componibilità con gli attuali riferimenti internazionali, il Cile è li a ricordarcelo. Ed è di questa crisi che noi dobbiamo farci carico, nella misura in cui vogliamo entrare da protagonisti in questa iniziativa, riuscendo a sostenere dentro quest’area le forze che riescono a liberarsi dalla contraddizione e enfatizzando i valori che sono presenti in questa tradizione. La capacità di guidare questi processi è la capacità di sintetizzare, raccogliere e valorizzare i valori dei nostri interlocutori, perché quando noi diciamo uniti per unire vogliamo dire anche questo, riuscire a riconoscere i valori di cui noi, ognuno di noi perché nessuno di noi è venuto da Marte, è stato partecipe nel rilanciarli in un contesto più ampio e soprattutto declinarli al futuro. E’ questa una delle spiegazioni principali dell’iniziativa per la quale ci spendiamo, la necessità di mantenere legati al centrosinistra, di stabilire e ricondurre ad una prospettiva di unità pezzi di cultura e di ceto politico che in quanto guidato da questa cultura è profondamente in crisi e inevitabilmente destinato ad essere risucchiato dalla proposta del centrodestra. Ed è dunque per questo, per l’impresa che ci attende che dico che il consenso preoccupato non basta. E meno che mai basta se noi ricordiamo che al momento disponiamo di un testo che attende conferme dal contesto e di parole che cercano la riprova nei fati. Questo è il nostro compito, ridurre la distanza tra il testo e il contesto tra le parole e i fatti. Tuttavia dobbiamo anche ricordarla la distanza, quanta distanza c’era in tutti i passaggi che abbiamo attraversato insieme in questo anno e mezzo, perché è pensando ai passi che abbiamo fatto che possiamo cogliere incoraggiamento per affrontare i passi duri che verranno: L’Ulivo è una prospettiva concreta non solo innaffiata dalla paura delle elezioni, ed è confermato dal fatto che non si è riusciti a trovare e perseguire un’altra concezione della democrazia che non quella bipolare e un altro nome da dare al polo di centrosinistra che è chiamato a fronteggiare contenere e sconfiggere quello che si qualifica come centrodestra ma che col tempo riusciremo a spiegare che formula una proposta solo di destra. Il bipolarismo. Ho sentito qualcuno che ha ricordato le nostre sconfitte, in particolare quella del referendum sul maggioritario. Ma anche qui voglio ripetermi: il nostro obiettivo non era il maggioritario era il bipolarismo. Noi abbiamo cercato il bipolarismo con la consapevolezza della relatività degli strumenti e delle istituzioni in cui esso si incarna; io stesso sono arrivato a dire scegliete voi quale che sia uno dei modelli in cui si incarna la democrazia governante nel panorama delle democrazie occidentali, assumiamolo in blocco. Sappiamo che questo non è possibile, non è possibile assumere in blocco un modello che nasce in un altro contesto, perciò dobbiamo costruire un bipolarismo italiano. Sappiamo tuttavia che il bipolarismo è vivo, nonostante noi , ma anche grazie a noi. Nella stessa dinamica che ha messo capo al riconoscimento della necessità di individuare tempestivamente il Premier, sta la consapevolezza del passaggio di fase, perché non si può continuare come un tempo e questo lo dico mentre, lo ricorderete perché è un dibattito di un mese fa, c’era gente che diceva aspettiamo a gennaio! Aspettiamo gennaio, perché tanto ci sono i candidati “naturali”, mostrando una totale inconsapevolezza della dinamica politica che ormai da forma al nostro sistema. Oppure altri, come abbiamo letto in un intervista di una persona che stimiamo come Antonio Foa, il quale si domandava quale fosse la necessità per il centrosinistra di avere un candidato premier e un leader, noi possiamo benissimo andare ai dibattiti in cinque contro uno, anzi è il segno di una ricchezza; noi possiamo benissimo presentarci alle elezioni e decidere dopo chi sarà la persona più adatta a guidare il Governo. Questa è una posizione fuori dal tempo, lo dico con sofferenza mentre rinnovo il mio rispetto, ed è fuori dal tempo perché appunto il bipolarismo ha vinto è questo il punto fondamentale. Il bipolarismo ha vinto innanzitutto nella cultura e nella coscienza degli italiani, è un calco che non è più superabile. Naturalmente è sempre possibile fare dei passi indietro, ma noi sappiamo che la nostra poca forza è sufficiente ad evitare il poco rischi di regressione che è presente grazie al radicamento profondo del bipolarismo. In questa sede voglio dedicare un passaggio anche alla stabilizzazione elettorale, lo ricordava Francesco, noi abbiamo perso l’un per cento rispetto alle elezioni amministrative di giugno ’99, un successo enorme, Io so che questa posizione è stata contestata pesantemente anche dal presente Leoluca Orlando che ha cantato la nostra sconfitta sui giornali. Però Francesco ha ricordato la diversa vicenda della iniziativa radicale che è riuscita a dissolversi completamente nell’arco di un anno e non a causa della loro incapacità a stare sulla piazza; basta accendere radio radicale per rendersi conto della qualità organizzativa e della innovatività della iniziativa e tuttavia la sconfitta sonora deriva dall’assenza di una linea e di una proposta politica adeguata ai tempi, dall’insistere su una posizione velleitaria che vede i radicali contrapposti al resto del mondo senza rendersi conto che proprio nel tipo di democrazia che dicono di perseguire debbono andare ad un confronto e ad una composizione. E poi la prova della nostra unificazione interna, noi dobbiamo celebrare anche la nostra unità, non quella a cui mi richiamavo preoccupato, ma quella che abbiamo alle nostre spalle. Nessuno avrebbe scommesso un soldo bucato sul fatto che storie così diverse sarebbero riuscite a comporsi pur nella legittima diversità di posizioni all’interno di una vicenda che riusciva a tenere e a produrre efficacia politica incidendo sui processi. E ancora la prova del Governo. Per noi probabilmente la più dura.. Noi conosciamo i costi che abbiamo dovuto sopportare con l’entrata al Governo D’Alema e poi, ancor più, con l’entrata nel governo Amato, non solo per la sua guida, ma per il processo di normalizzazione che ci ha segnato e ci ha visto sui giornali associati nella difesa di questo o quel Ministro a pratiche che un tempo venivano chiamate spartitorie della prima repubblica. Anche questi sono passaggi che abbiamo superato guidati non dalle spinte occasionali o dalle richieste individuali particolari, ma dalla sola preoccupazione che la linea alternativa ci portava nella difesa di una posizione isolata che con la scusa di perseguire la vittoria al 51% in solitudine ci affidava ad un destino di partitino, con la scusa di difendere la purezza ci affidava ad una storia di compromessi. Questa è una storia che possiamo leggere tutti i giorni sui giornali ed è per questo motivo che abbiamo sentito il dovere di confrontarci con la prova del governo altrimenti la nostra storia ci avrebbe portati lontani questa volta si dal nostro obiettivo con la scusa di perseguirlo con la massima purezza in solitudine. Eppure l’abbiamo fatto, ed per questo che vi dico che possiamo farcela e dobbiamo farcela ed è per questo che vi chiedo di continuare, per questo vi chiedo non un consenso preoccupato, un consenso rassegnato, bensì un assenso impegnato. Vi chiedo di continuare come sempre guidati dalla nostra proposta, perché li sta la forza della nostra iniziativa, con l’ostinazione di sempre e se mi consentite ora anche con la speranza della vittoria rappresentata meglio che dal mio viso corrucciato dal sorriso di Francesco che ci farà compagnia di persona, sui manifesti, sui media per il resto dei mesi che ci attendono sino alla vittoria, grazie.
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