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4 Luglio 2005

Direzione Federale di Dl-Margherita – Intervento di Arturo Parisi

Argomento:

Care amiche, cari amici,


di ben altro avrei dovuto e preferito oggi parlare, della situazione disastrosa della nostra economia, della crisi delle nostre istituzioni  causa dell’assalto dissennato del centrodestra, della necessità di aprire un dibattito aperto e approfondito sui fondamenti culturali dell’azione politica.


Del mondo prossimo e lontano dovremmo oggi parlare come ci invita ancora una volta a fare Angelo Panebianco dal Corriere della Sera prendendo spunto dalla recente vittoria di Ahmadinejad in Iran.


Non fosse altro per rispondergli che una cosa è guardare, una cosa è vedere  soprattutto che nessuno è mai riuscito a vedere i popoli e le persone guardando solo agli Stati e ai Governi.


Del mondo e della storia, avrei voluto oggi parlare per rispondere a Casini che per poter dire che “i figli  di De Gasperi non debbono dimostrare niente a nessuno” bisogna prima dimostrare di essere figli di De Gasperi.


Invece che del mondo e della storia ci troviamo ancora una volta ripiegati sulle nostre ferite. Ancora  una volta dopo un anno esatto, di confronti faticosi e spiacevoli aperta all’indomani dell’elezioni europee, dall’Assemblea Federale di  Rocca di Papa, svoltasi proprio in questi giorni.


Non è una constatazione che ci rallegra, ma è meglio e soprattutto doveroso sanare le nostre ferite piuttosto che proiettare su altri tempi, su altri luoghi e su altri temi le nostre contraddizioni in modo strumentale.


Ed è perciò che non ho paura a dire che il passaggio che oggi condividiamo è per me  in senso forte un rito collettivo che di quelle ferite si fa carico con l’intenzione di sanarle.


Siamo qua riuniti per dirci in un luogo pubblico ed in modo solenne che intendiamo riprendere il cammino.


Non è il rito che oggi celebriamo, quel rito di piena riconciliazione del quale il partito e ognuno di noi avrebbe bisogno, ma noi riteniamo, io ritengo,  che anche il rito di leale ricomposizione che ci è concessa in questa fase, di condividere costituisca una conquista comune.


Oggi esce dal nostro vocabolario la parola “rottura” e i suoi sinonimi di “separazione” e “scissione” che hanno descritto nel mese scorso sui giornali lo stato del nostro partito.


Non esce purtroppo per quel che ci riguarda la parola “disagio” come abbiamo detto al Presidente nella prima riunione che ha aperto il confronto.


Amarezza, per il fatto che il progetto dell’Ulivo, un progetto ben diverso da quello dell’Unione che alcuni di noi hanno dichiarato equivalente  tanto da arrivare a proporre di sostituire  nello statuto il termine Unione a quello di  Ulivo,  è uscito da questo passaggio sconfitto nella definizione pubblica, nel migliore dei casi “congelato”.


Sconforto, perché la sua sconfitta è associata ad una iniziativa definita vittoriosa del partito del quale noi ulivisti facciamo parte, un partito che avevamo fondato per far vincere non per sconfiggere il progetto dell’Ulivo.


Rabbia, per il fatto che il nostro partito si trova ingiustamente ad essere considerato responsabile di questo esito coprendo così eguali se non maggiori responsabilità di partiti a noi vicini ed alleati.


Disagio, amarezza, sconforto, rabbia ci chiamano a riprendere il cammino laddove la vicenda politica ci ha collocati.


Rispondendo al presente che ci chiama a batterci insieme contro il centrodestra in nome di un progetto di società alternativo e a fare della nostra unità, il riferimento della speranza degli italiani. Questa è la priorità assoluta.


Ma consapevoli che se è vero che il futuro, il nostro progetto per il futuro, ha trovato nella Margherita resistenze  e  rifiuti migliore sorte certamente non ha avuto in altre case.


Disagio, amarezza, sconforto e rabbia che ci chiamano a ricomporci e riprendere un cammino comune, ma nella condizione di opposizione leale e aperta nei riguardi della linea e soprattutto dei processi politici messi in moto dalla scelta della maggioranza di partito.


Una condizione quella di opposizione che registra la nostra posizione così come definita dal NO da noi opposto nell’Assemblea Federale del 21 maggio. Una condizione quella di opposizione  che appartiene alla fisiologia non alla patologia della democrazia considerato che il governo del popolo non è governo della maggioranza ma governo della maggioranza e della opposizione.  E tuttavia  una condizione nuova per un partito che si definiva fin ora come una federazione di minoranze. Tutte su un piede di parità.


Una condizione che noi non intendiamo interpretare in modo statico. Quasi che da combattenti giapponesi di un Ulivo ormai sconfitto un paragone che ci onora pensassimo di trasformarci in indiani rinchiusi nelle riserve.


Noi sappiamo che di fronte al nostro no e alle nostre ragioni stanno nel partito posizioni diverse e soprattutto motivazioni diverse. Lo sappiamo perché lo abbiamo sentito nel dibattito dell’Assemblea Federale e ancor più negli sviluppi successivi al centro ed in periferia. Con tutte le posizioni e con tutte le motivazioni intendiamo confrontarci per esaminare alla luce del sole la possibilità di mettere in moto un processo alternativo a quello che si è avviato.


Perché  questo è il problema. Non le parole e neppure i fatti ma i processi messi in moto anche al di la delle intenzioni, delle motivazioni addotte per produrre i fatti.


Infatti a questo punto a tutti evidente (e mi limito a sintetizzare) che la rottura introdotta dalla scelta del nostro partito diretta a reintrodurre il trattino tra il centro e la sinistra riconoscendo ad ognuno una distinta funzione, la decisione di mettere di nuovo finalmente “le pere con le pere e le mele con le mele”, come ha detto una brillante e lucida  giornalista a noi non lontana, ha messo in moto un processo di scomposizione molto pericoloso.


Scomposizione, molto pericolosa per il Paese, per il governo del Paese.


Scomposizione fuori del partito, nelle funzioni attribuite alle diverse formazioni politiche.


Penso a Fassino quando con apparente candore  riconosce il diritto di Margherita di fare il pieno degli elettori di centro intercettando i nuovi flussi del centrodestra mentre rivendica con naturalità al suo partito il diritto di battersi per mantenere il suo primato nella coalizione.


Penso allo SDI che reso orfano dell’Ulivo, per il quale si era battuto con generosità e convinzione in tutti questi anni, si trova costretto ora a ricercare unità socialiste, costruite su basi di provenienze culturali e convenienze elettorali prima ancora che politiche; e a reinventare  aggregazioni radical-socialiste che non annunciano niente di buono per quel che riguarda il confronto tra cattolici e non cattolici, che costituisce certo una delle frontiere più importanti dell’Ulivo.


Penso a Mastella tentato per contrasto a ridefinire il suo partito in termini confessionali.


Penso anche allo svolgimento delle vicende del campo avverso, al ritorno di AN nel recinto del MSI con la perdita dell’apporto proveniente dalla Democrazia Cristiana e lo stesso sviluppo, in nome del passato, della competizione tra le correnti interne al partito. Alla crisi delle ipotesi aggregative messe in moto dalla nostra sfida ed iniziativa.


Penso, infine, nel nostro partito, dopo la rottura a livello nazionale, alla tentazione nelle situazioni locali di una pulizia etnica guidata dalla illusione che un partito nitidamente di centro e dichiaratamente cattolico possa riuscire dove quell’ibrido che si chiama Margherita ha fallito.


E’ il caso di Milano e della Lombardia, da dove giungono notizie preoccupanti su confronti con Formigoni e minacce oblique di commissariamenti.


E’ a questo processo di scomposizione, non ad una delibera dell’Assemblea Federale, della quale prendiamo atto con rispetto, che noi vogliamo fare opposizione.


Alla verifica della possibilità di svolgere questa opposizione è dedicato l’accordo.


Esclusi alcuni passaggi che per la loro natura sono inequivoci, esso si limita ad individuare e circoscrivere l’esistenza di problemi in modo condiviso e compatibile con la ricomposizione , ma senza risolverli, affidandoli pertanto allo svolgimento della dialettica politica tra maggioranza e opposizione.


Il che non è poco se si pensa che lo scorso anno abbiamo dovuto batterci anche solo perché fosse riconosciuta l’esistenza del nostro dissenso e dei problemi la cui mancata soluzione ci ha portati laddove siamo finiti.


A titolo d’esempio posso citare nel documento il passaggio relativo al trasformismo per il quale noi non possiamo accettare che il partito si limiti a non incoraggiarlo. Ovvero quello sul partito democratico dove il mancato riferimento per quel che riguarda il livello europeo alla necessità di costruire un modello bipolare, mentre costituisce uno stimolo perché partiti centristi evolvano in altri paesi, rischia in Italia di tradursi in una causa di equivoco se non di regressione.


Ci sono altri problemi dei quali non viene riconosciuta in modo condiviso neppure l’esistenza, penso alla gestione relativa alle finanze del partito. Su questi problemi la indisponibilità di una comune definizione rende il confronto tra maggioranza e opposizione certamente più difficile e inevitabilmente meno cooperativo. 


Detto del contesto e del testo quello che conta è che oggi inizia un cammino nuovo per ognuno di noi e per tutto il Partito.


Posso assicurarvi che da parte nostra l’impegno sarà massimo e leale.