20 Maggio 2012
Democrazia? Democrazia!
Bologna - Sabato 19 maggio 2012
Sulla
preoccupazione per il presente e l’ansia per il futuro che attraversa il
Paese, le nostre famiglie, e ognuno di noi, credo non sia necessario
aggiungere parole.
Analisi,
interrogativi, proteste, allarmi un tempo esclusiva degli editoriali e
dei commenti dei giornali sono ormai diventati sentimento comune.
Superata la fase del discorso generale e astratto si vanno facendo
personali e concreti. Chi non è stato già personalmente o da vicino
toccato dalla crisi comincia a ragionare sul quando e sul come sarà da
essa coinvolto e raggiunto. Sul quando e sul come, non più sul se.
E’
in momenti come questi, in momenti nei quali la parola crisi torna a
significare crisi, che tornano in mente le parole con cui Don Milani
esortava a Barbiana i suoi ragazzi alla politica. “Uscirne da soli è
l’egoismo. Uscirne assieme è la politica”.
Ma
è appunto in un momento come questo che in troppi si chiedono come la
politica possa essere mai una via di uscita dalle difficoltà. Scambiata
con i politici e con i partiti, la politica è infatti sentita da troppi
non come la via attraverso la quale possiamo uscire dalle difficoltà, ma
come la causa che li ha prodotti.
Schiacciata
tra la tentazione tra il lasciarsi andare al tumulto di piazza contro i
politici, e la tentazione di delegare a chiunque, purchè politico non
sia, il disprezzo che è andato crescendo per i politici sta travolgendo
la democrazia, che è per tutti noi l’unica forma che riconosciamo alla
politica.
Mentre
crescono tra i cittadini quelli che si interrogano se la DEMOCRAZIA
abbia un senso, commentando il suo come con un diffidente interrogativo,
noi siamo qua semplicemente per rispondere SI DEMOCRAZIA accompagnando
la nostra speranza con un punto esclamativo.
Noi,
noi italiani, così come gli altri popoli della vecchia Europa, sappiamo
che la crisi a noi difronte è troppo più grande di noi perchè viene dai
cambiamenti del Mondo, dal Mondo che cresce, ma anche dal fatto che
questa crescita non è governata a livello del Mondo perchè il Mondo un
governo non ce l’ha.
Abbiamo
imparato tuttavia che l’apertura, la partecipazione a questo movimento
di crescita ha privato anche noi che pensavamo di disporre di una
sovranità, e di riuscire ad esercitarla attraverso un governo
democratico, questa sovranità l’abbiamo in gran parte perduta. E per
questo ci andavamo attrezzando per disporre in modo condiviso di una
sovranità più grande che ci consentisse di partecipare alla crescita e
al governo del Mondo, la sovranità europea.
Lo
sviluppo dei processi che noi stessi avevamo immaginato, auspicato e
messo in moto ci ha trovati tuttavia impreparati, in ritardo sulle
nostre parole.
Non abbiamo comunque alternativa. O i fatti annunciati raggiungono finalmente le nostre parole o rischiamo di perderci.
Su
questo tema abbiamo chiesto ad Alfonso Iozzo di farci da guida con la
sua competenza di economista e la sua passione di europeista, così come
su questo e su altri temi ci illuminerà Romano Prodi, che salutiamo con
affetto.
Dentro
questa domanda, quella definita dalla questione aperta dalla soluzione
inadeguata nel rapporto tra Euro ed Europa, e quindi tra la Moneta Unica
Europea che c’è, e la Sovranità Democratica Europea che manca, sta la
questione della nostra Democrazia.
Mancano
ormai meno di 12 mesi al limite massimo entro il quale dovranno essere
convocati i comizi elettorali per l’elezione del prossimo Parlamento.
Questo significa che tra poco più di 10 mesi le forze politiche dovranno
disporsi ai blocchi di partenza.
Con i ballottaggi di domani,
e quindi la fine del turno amministrativo, il conto alla rovescia che
ci separa dalla fine della legislatura scatterà in modo inesorabile.
Mai tuttavia ad una distanza così ravvicinata dalla scadenza sapevamo cosi poco sulla consultazione che ci attende.
Una
cosa tuttavia la sappiamo. Col voto dovremo dare appunto dare risposta
all’interrogativo che abbiamo prima richiamato. Quale Europa vogliamo? E
di quale Italia abbiamo bisogno per stare in quella Europa e attraverso
essa nel Mondo?
Che cosa dire sull’Europa e sull’Euro, sulla Moneta, sulla Sovranità, e sulla Democrazia, quella nostra e quella comune.
Che
ci piaccia o no, le prossime elezioni assomiglieranno ad un Referendum,
quel Referendum che Papadopoulos aveva immaginato per la Grecia e
sembra imprudentemente proposto, quel referendum che comunque i Greci
finiranno per celebrare nelle prossime elezioni che li attendono.
E questo Referendum riguarderà appunto sul che cosa dire dell’Europa e in Europa, in Europa come italiani ed europei.
Dire del che cosa significa dire della crisi e del modo per uscirne.
Ma
prima del che cosa e assieme al che cosa viene il chi. Chi parlerà a
nome nostro, e per nostra scelta guiderà il cammino che ci attende.
E
qua sta il nostro ulteriore ritardo, come italiani. Se poco sappiamo
sul che cosa ancor meno sappiamo del chi. Anche in vista di una elezione
di svolta quale fu quella del 1994, sapevamo poco. Di un dato eravamo
tuttavia già in possesso, della forma essenziale della legge elettorale.
Il referendum del 18 aprile
del 1993 aveva infatti indicato al Paese al massimo livello di
autorevolezza possibile, la direzione verso la quale incamminarsi.
L’introduzione della regola maggioritaria.
Oggi
invece della scelta che ci attende non sappiamo niente. Nè la regola di
fondo, nè le regole, nè quali saranno le proposte in campo e i
proponenti. Nulla.
Sarà
un Hollande italiano che guiderà il cammino a partire da un mandato
diretto dei cittadini contattando nella pienezza del suo mandato gli
altri governi europei come abbiamo visto in questi giorni in Francia?
Sapremo la sera stessa delle elezioni chi è stato scelto dai cittadini a
guidare il Paese per una intera legislatura come capiterà dopodomani
per i 100 comuni che vanno domani al ballottaggio?
Oppure
assisteremo alla sequenza di consultazioni inconcludenti tra
capipartito come vediamo in questi giorni in Grecia, come se
assistessimo al film della nostra prima repubblica?
Fino
a qualche giorno fa questa domanda aveva avuto purtroppo già una
risposta, in greco. La risposta uscita dal tavolo dei capipartito che
ruotava attorno alla cosiddetta bozza Violante, il ritorno al
proporzionale e ai governi varati in parlamento alle spalle del voto dei
cittadini.
Con
la scusa della abrogazione del Porcellum si restituiva ai cittadini il
diritto di eleggere i propri rappresentanti solo in parte e li si
privava in aggiunta della possibilità di decidere sulla guida del
governo.
Una
scelta guidata dall’idea che dire democrazia è dire partiti, e che il
ristabilimento del pieno potere dei partiti di guidare la Repubblica
deve essere il l’obiettivo di un insieme di riforme che metta finalmente
termine al cedimento al populismo a alla democrazia diretta aperto
ventanni fa con i referendum istituzionali grazie alla introduzione al
principio maggioritario.
Una
scelta che è ancora aperta che ruota attorno ad una serie di
provvedimenti che proprio in questi giorni vanno all’esame del
parlamento. Il riconoscimento dei partiti come i soggetti principali
della democrazia e la loro regolazione pubblica. Il riconoscimento della
necessità di un finanziamento pubblico. La nuova legge elettorale
fondata sul protagonismo dei partiti. E poi il pacchetto di riforme
costituzionali tra le quali la sforbiciata nel numero di parlamentari e
la conferma del bicameralismo ancorchè modificato.
Al
centro di tutti questi provvedimenti sta tuttavia la questione sulla
quale abbiamo chiesto ad Angelo Panebianco di guidarci con la sua
competenza di scienziato politico e la sua passione di liberale.
Democrazia dei cittadini, e democrazia dei partiti. Sono i partiti l’altro della democrazia?
Sullo sfondo della crisi attuale, attorno a questi 2 fuochi
su “che” e sul “chi” abbiamo deciso oggi di regalarci una giornata di riflessione.
Ce
la siamo regalata da cittadini che sentono la necessità di ritrovare
dei punti di riferimento che ci aiutino a non perderci nella nebbia e a
non farci travolgere dalle passioni.
Ma non siamo arrivati a questo appuntamento inerti, e neppure intendiamo limitarci a restare in attesa di decisioni altrui.
Svolgendo
un impegno ventennale prima attraverso i referendum istituzionali e poi
in quella che fu la stagione dell’Ulivo nei mesi assieme ad altre forze
di entrambi gli schieramenti, attraverso un comitato presieduto da
Andrea Morrone che è qui tra noi e che salutiamo con affetto, nei mesi
scorsi ci eravamo infatti messi al servizio della domanda di cambiamento
e di speranza che avevamo sentito crescere assieme all’ansia e alla
preoccupazione per il futuro.
Penso
al 1.200.000 firme raccolte in un mese nello scorso settembre, dopo
aver provato tutte le vie parlamentari, dopo aver atteso un inziativa,
prima che l’ultima scadenza per l’appello ai cittadini scadesse
definitivamente.
Lo
ricordiamo tutti. Sotto il fiume di firme, il Porcellum sembrò
agonizzare indifeso, e indifendibile diventò un Parlamento eletto
attraverso una legge indifesa. Ci si disse. Cambieremo in pochi giorni.
Si
aspettava la bocciatura della Corte, che arrivò puntuale, troppo
auspicata, troppo annunciata, nonostante il parere diverso di 115
ordinari di diritto costituzionale.
Pur
non condividendola l’abbiamo rispettata. Pur non condividendola
l’abbiamo difesa da quanti invitavano alla protesta e all’azione, ho
ancora nelle orecchie le invettive di Celentano da San Remo. L’abbiamo
difesa per principio, per rispetto delle istituzioni.
Il
resto è cronaca. Il lavorio degli sherpa e dei capipartito per tradire
il referendum. Pensamenti e ripensamenti improvvisi dopo un turno
parziale di amministrative. Uno spettacolo inqualificabile.
Il
risultato è che da settembre son passati 8 mesi e molto meno sono ormai
quelli utili che ancora restano. Le attese più pessimistiche sembrano
avverarsi. O un porcellum più sporco di prima, o restare al Porcellum
che con un colpo di mano fu imposto in pochi giorni ai cittadini
nell’ottobre di 7 anni fa.
E
dire che in questi giorni si sarebbe potuto celebrare il referendum.
Come avevamo immaginato, quello che i partiti non volevano e non
riuscivano a fare sarebbe stato deciso dai cittadini. E così si sarebbe
riaperto il cammino.
Fu
detto che il referendum, il suo svolgimento e la sua prospettiva,
avrebbe innervosito il lavoro dei partiti e indebolito il governo.
E invece siamo qua a segnare il passo, sull’orlo del baratro. Mentre il Presidente della Repubblica ripete i suoi moniti invano.
E tuttavia a chi si chiede scettico DEMOCRAZIA?
Noi rispondiamo DEMOCRAZIA!