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21 Maggio 2007

“Deficit di democrazia, monta l’ira della gente”

Autore: Ugo Magri
Fonte: La Stampa

“Anche nel Pd vedo già che si ripropone la vecchia tendenza a una gestione
centralizzata”

«Se lo dice D’Alema che il
sistema è esploso, se lo riconosce perfino lui, che è l’esponente più
autorevole, appassionato e rappresentativo della politica, intesa come politica
dei partiti…». In viaggio da Bologna per la Sardegna, Arturo Parisi ha
davanti l’intervista rilasciata dal ministro degli Esteri al Corsera. Con la
penna sottolinea un paio di frasi che per lui, ulivista della prima ora, tra i
padri del referendum elettorale di cui si vanno raccogliendo le firme,
rappresentano «una svolta politica importante». D’Alema vi denuncia una perdita
di credibilità della politica che, sostiene, tornerà a travolgere il paese,
proprio come nei primi anni ‘90. E «la sua non è una previsione», fa pesare la differenza Parisi,
«ma una constatazione di quanto già sta avvenendo».

Massimo come Mao

«Come dimenticare il D’Alema non
dico di Gargonza, ma quello che solo qualche tempo fa, a Orvieto, irrideva i
gazebo come strumenti di democrazia partecipata…». Adesso è lui a denunciare
la perdita di credibilità della politica, segno inequivocabile per Parisi di
«un suo processo di liberazione dai ruoli che aveva fin qui incarnato. E della
sua capacità di ricredersi». D’Alema che quando parla di politica intende i
politici, e quando dice «politici» si riferisce alle dirigenze dei partiti:
quasi irriconoscibile. Parisi chiosa con una battuta, ovviamente scherzosa in
bocca a un responsabile delle Forze Armate: «Se fosse Mao, le sue parole
equivarrebbero al famoso invito a bombardare il quartier generale…».

Soffocati dai partiti

Parisi si sente in ottima compagnia,
non più isolato in una supposta intransigenza «movimentista», non più trattato
quasi da marziano, come gli è capitato nel partito che ha contribuito a fondare
e che, in attesa del Partito Democratico, continua a considerare il «suo»
partito: «Le mie denunce al congresso della Margherita non possono non averle
sentite, né notato la mia assenza all’Assemblea federale. Eppure hanno
preferito continuare col metodo dei listoni a tavolino a dispetto di ogni
norma, regolamento e statuto. Il tutto, per di più, dopo un itinerario»,
aggiunge un pizzico di veleno il professore, «fondato su un tesseramento
irregolare come mai era capitato in passato». Già, la dialettica interna: se il
sistema è lì lì per detonare, dipende pure dall’aria soffocante che si respira
nei partiti. «Se il pluralismo, la democrazia non li si garantiscono
all’interno dei singoli partiti, si finisce per cercarli all’esterno. Finisce
che qualcuno pensa: “Sapete che c’è di nuovo? Mi faccio un partito tutto mio”».
Da qui discende per li rami la frammentazione che, secondo l’antico titolare di
cattedra (Sociologia dei fenomeni politici), sfrutta cinicamente le possibilità
offerte dal «Porcellum», il sistema elettorale vigente.

A lezione da Sarkò

Parisi ama spiegare perché il
sistema è marcio, cosa non ha funzionato nel passaggio dalla Prima alla Seconda
Repubblica, le speranze alimentate e infine deluse. Ricapitolando il suo
pensiero: «I politici appaiono ai cittadini non solo molto costosi, ma anche
poco produttivi e quasi per nulla legittimati». La nuova legge elettorale
introdotta dal centrodestra al posto del Mattarellum ha dato «il colpo di
grazia definitivo». Il referendum può offrire la spinta a tornare quantomeno al
meccanismo precedente. Anche se non basterà, teme in cuor suo Parisi (ed è la
prima volta che lo confida) a frenare lo tsunami politico in arrivo, con la Terza Repubblica
dietro l’angolo. Se ci fosse un ceto politico intelligente prenderebbe esempio
dalla Francia, rubando ai «cugini» d’Oltralpe non solo il doppio turno ma anche
il semi-presidenzialismo, quel sistema che consente a Sarkozy qualcosa di
impensabile da noi: varare senza indugi un governo con sette donne ministro e
un capo della diplomazia (Kouchner) di estrazione socialista. Una classe
dirigente all’altezza, è la tesi di Parisi, dovrebbe puntare in alto prima che
sia tardi. Invece «stanno tutti lì a combattere il referendum, confondendo le
cause della malattia con la sua valvola di sfogo». Senza rendersi conto (come
ha riconosciuto D’Alema) che «monta un’ondata limacciosa di risentimento
collettivo, moralismo e populismo insieme».

Sulla tolda del Titanic

Perfino il Partito democratico,
da esempio di lungimiranza, capace di restituire ai cittadini la voglia
politica, rischia l’involuzione nel suo contrario: «Vedo già proporre come
nuovo inizio la ripetizione del passato. Una brutta tendenza a consegnare il
nuovo soggetto politico alla gestione centralizzata di vertici nazionali,
ossessionati dalla preoccupazione di garantire e perpetuare l’esistente». Così
non va, ripete più volte Parisi. Che sfida tutti i concorrenti per la
leadership a misurarsi anzitutto con il problema posto da D’Alema: «E’ da qui
che il confronto sul Partito Democratico deve partire, dal riconoscimento della
fondatezza della sua denuncia. E dal confronto sulle cause che hanno
determinato la situazione attuale. Partecipare significa scegliere. Ma la
scelta è possibile solo se il confronto è tra posizioni compiutamente
politiche. Non credo che la crisi di sistema segnalata da D’Alema possa essere
affrontata dividendoci su come e quando tagliare l’Ici…».