8 Aprile 2005
Veronica Berlusconi: quel mio dramma e la scelta di andare a votare
Autore: Maria Latella
Fonte: Corriere della Sera
In quattro anni di governo, Silvio Berlusconi ha citato di rado le opinioni della moglie Veronica e ancor più raramente riferendone il punto di vista su questioni di coscienza o politiche. Conosce il tipo e sa di non farle cosa gradita. Ieri invece, a sorpresa, il Cavaliere ha alluso a presunte divergenze domestiche a proposito del referendum sulla procreazione assistita, fissato per il prossimo 12 giugno. «Sulla data, non fatemi litigare con mia moglie» ha confidato a qualche interlocutore e subito Volontè, dell’Udc, ha chiarito che la data del referendum non si cambierà, giammai: né per Pannella né per Veronica. Ignara di essere (quasi) al centro di un dibattito politico, Veronica Berlusconi lo scopre per via del cronista e, questa volta, non tace. Accetta l’intervista, forse, anche per una ragione molto personale, un ricordo tra i più dolorosi della sua vita, un evento di cui non ha voluto parlare neppure nel libro a lei dedicato. Negli anni Ottanta, prima che nascesse la primogenita Barbara, Veronica si sottopose a un aborto terapeutico rinunciando al figlio che lei e Silvio Berlusconi avevano voluto. Decise di non averlo perché quel bambino non sarebbe nato sano. Di quella scelta lontana, e di molte altre cose, dal rimpianto per non poter partecipare oggi ai funerali di Giovanni Paolo II alla sconfitta delle regionali, parla in quest’intervista.
Insomma, per via del referendum lei rischia un litigio in famiglia?
«L’ultima cosa che vorrei, in queste ore dedicate al ricordo del Papa, è innescare una polemica, pubblica o domestica. In realtà, non è che mio marito ed io abbiamo molto discusso dell’argomento referendum e neppure io conosco davvero il suo pensiero. Perciò, posso parlare di me, di quel che sto facendo per formarmi un’opinione. Certo, mio marito è davvero un tipo speciale: con quella battuta su Veronica testimonial mi fa quasi sentire una in gara a “dilettanti allo sbaraglio”. Sul tema delle biotecnologie e della procreazione assistita dibattono da tempo personaggi ben più illuminati di me».
Andrà a votare il 12 giugno?
«Andrò a votare. Questo referendum affronta questioni su cui è doveroso formarsi un’opinione. Mi sembra quasi di essere tornata agli anni Settanta, quando il diritto all’aborto diventò un argomento di discussione quotidiana. In questo caso, la quantità e qualità dei temi da affrontare è ancora più impegnativa, non c’è solo la negazione della vita, ma anche la vita e la malattia. Come allora, ci sentiamo tutti un po’ impreparati. Negli anni Settanta, ricordo, la discussione sull’aborto ruppe quel muro di silenzio e di vergogna che opprimeva l’animo di una donna costretta a quella scelta. Nell’aborto non c’era soltanto il rischio di morire e la morte che dolorosamente si infliggeva, ma anche il silenzio, tremendo, che accompagnava la scelta e che veniva mantenuto: non si ama parlare di qualcosa che si è perduto».
Perciò, in che modo si sta formando un’opinione?
«Se si chiede a un cittadino di esprimersi su questi argomenti, credo che la prima, istintiva, reazione, sia di guardare alle proprie personali esperienze o di immedesimarsi in quelle degli altri. Per quanto mi riguarda, c’è un’esperienza personale che mi fa riflettere. Ho avuto un aborto terapeutico, molti anni fa. Al quinto mese di gravidanza ho saputo che il bambino che aspettavo era malformato e per i due mesi successivi ho cercato di capire, con l’aiuto dei medici, che cosa potevo fare, che cosa fosse più giusto fare. Al settimo mese di gravidanza sono dolorosamente arrivata alla conclusione di dover abortire. È stato un parto prematuro e una ferita che non si è rimarginata. Ancora oggi è doloroso condividere pubblicamente quell’esperienza, ma in un momento in cui tanti di noi si sentono immaturi, impreparati, rispetto alla conoscenza della legge 40, ai contenuti del referendum, ecco, sapere come andavano le cose venti o trenta anni fa, quando la scienza non era così avanti come oggi, potrebbe essere utile».
Come sa, la Chiesa suggerisce di astenersi dal voto nel giorno del referendum.
«Se da noi, in Italia, certe tecniche fossero proibite, si andrebbe all’estero e mi spaventa l’idea che altri Paesi, meno scrupolosi, potrebbero consentire qualsiasi cosa. Non andare a votare significa non voler affrontare il problema. Essere chiamati al voto, invece, impone di informarsi, magari in linea con le proprie convinzioni religiose, filosofiche o politiche. L’importante è non fingere che il problema non esista. Penso che in certe circostanze l’umanità debba sforzarsi».
Come guarda alle biotecnologie?
«Con speranza. Questo è fuori discussione. Ma siamo chiamati a rispondere a domande che riguardano la vita e la morte, la scienza corre veloce e per stare al passo occorre lavorare su noi stessi, darsi delle risposte».
A proposito di risposte. Ha visto quanta gente è calata su Roma dopo la morte di Giovanni Paolo II. È anche questo un modo di cercare risposte?
«Mi colpisce questa partecipazione fisica, questo desiderio di vicinanza, quasi un ultimo abbraccio. È un grande atto d’amore. Anch’io avrei voluto essere lì, in queste ore: mi è rimasta impressa la sofferenza del Papa degli ultimi anni, ogni volta che lo vedevo, in tv, sembrava quasi che il dolore fisico volesse negare lo spirito, che quel suo corpo malato gli impedisse di parlare, di esserci, lui che da giovane scriveva versi, che aveva fatto teatro. Invece, ogni volta, Giovanni Paolo II era più forte dell’impedimento. Ci ha insegnato a leggere il dolore in maniera diversa, ci ha mostrato che la forza può accompagnare il dolore».
Perché non sarà a Roma oggi?
«Mi è stato spiegato che la basilica di San Pietro era già stracolma, i posti per le delegazioni ufficiali già assegnati. Perciò seguirò, con partecipazione, da lontano come tanti fedeli».
Sono giorni intensi, sotto i più diversi aspetti. Anche la politica ha offerto grandi novità. Come si giudicano, da Macherio, le regionali di domenica scorsa?
«Silvio Berlusconi non era in campo, questa volta, non c’era la nave azzurra. La domanda da porsi, forse, è: le altre volte ha vinto lui o ha vinto il partito? e stavolta ha perso lui o il partito? Non ritengo che la sua parabola politica possa dirsi conclusa. Certo, ci sarebbe da chiedersi se sia davvero giusto che ogni volta un uomo debba vincere “da solo”, senza la forza di un partito dietro».
A proposito di partito: come mai Barbara ha preferito non impegnarsi in Forza Italia?
«Barbara sta ancora cercando la sua identità e la sua strada attraverso lo studio. È in una fase in cui sta maturando la futura visione di se stessa e sta frequentando la facoltà di Filosofia dell’università del San Raffaele. Considero legittimo il suo desiderio di essere vicina al padre, le figlie vogliono sempre proteggere i padri, ma la politica può affascinare, e anche travolgere, una personalità ancora in formazione. Perciò condivido la sua scelta». L’intervista finirebbe qui, ma non per Veronica Berlusconi. «Posso chiederle una cortesia?» dice mentre stiamo per salutarci.
Prego.
«Se mio marito, in futuro, dovesse chiamarmi in causa per difendere la nuova Costituzione, la prego, non mi telefoni».