20 Gennaio 2005
Vademecum per le primarie
Autore: Ilvo Diamanti
Fonte: la Repubblica
COLTIVARE l´albero della democrazia è un´opera buona e fruttuosa. Ma occorre farlo in modo convinto e competente. Si rischiano, altrimenti, conseguenze inattese. Com´è avvenuto in Puglia, domenica scorsa. Dove la vittoria di Nichi Vendola ha spiazzato gli stessi dirigenti del centrosinistra.
quali avevano promosso le consultazioni primarie perché non riuscivano a mettersi d´accordo sul candidato. Le primarie come “metodo di soluzione di conflitti irrisolti” hanno sortito un esito imprevisto (dai leader della Gad). Decretando la prevalenza del candidato politicamente più radicale su quello vicino alla Margherita. Così, oggi, molti, anche nel centrosinistra, si affannano a spiegare che in Puglia ha “vinto” un estremista; e che altrove potrebbe avvenire lo stesso. Che, per questo, le primarie debbono venire “governate”, in futuro, con giudizio.
Tuttavia, sarebbe penoso aggiungere errore ad errore. Pretendendo, dopo aver aperto le porte, senza troppa cautela, all´esercizio della democrazia diretta, nel centrosinistra, di addomesticarla, oppure di gestirla in modo furbesco.
Meglio fermarsi un istante a riflettere, in una fase tanto critica.
Le primarie sono un importante metodo di democrazia diretta, che serve a coinvolgere i militanti, i simpatizzanti e gli elettori, nella selezione della leadership e nell´identificazione dei programmi. In Italia, si è cominciato a parlarne circa un decennio fa, dopo la crisi dei partiti tradizionali. E da quando, in particolare, si è affermato l´Ulivo, come coalizione, ma anche come soggetto politico “distinto” rispetto alle sigle che ne facevano parte. Le primarie, in altri termini, hanno assunto un significato simbolico. Fra gli elettori di centrosinistra, infatti, sottolineano la domanda di unità e di partecipazione “oltre i partiti”. D´altra parte, non ci sono, in Europa, esempi di elezioni primarie, nei termini oggi previsti in Italia. Altrove (nei paesi scandinavi, ad esempio), i candidati sono scelti dalle assemblee degli iscritti (lo ha ricordato Ignazi, in un recente saggio sulla Rassegna Italiana di Scienza Politica). Per questo, quando si parla delle primarie, in Italia, si evocano gli Usa. I cui partiti, peraltro, non somigliano (somigliavano?) per nulla ai nostri. Pragmatici, poco strutturati, ideologicamente compatibili, si mobilitano e si affermano soprattutto nel voto presidenziale. Le primarie, per questo, ne costituiscono la principale “missione” e il principale meccanismo di funzionamento (almeno in ambito federale). Tuttavia, negli Usa le primarie sono davvero “aperte”. Sia perché gli elettori sono “abituati” a frequentarle (ma negli Usa per votare occorre “prima” iscriversi alle liste elettorali: il voto è un diritto, non un dovere). Sia perché vi concorrono diversi candidati e non c´è un vincitore predestinato. Kerry è diventato candidato dei Democratici senza che nessuno lo avesse previsto e pronosticato. Perché le primarie hanno una propria dinamica, una propria logica. Seguono regole specifiche; difficili da apprendere, senza averle prima sperimentate.
In Italia, fino a oggi, se ne è discusso in modo largamente approssimativo e ideologico. Affidando il compito della riflessione alla competenza e alla passione di alcuni intellettuali (Pasquino, Barbera e Ceccanti, fra gli altri). Autorevoli, quanto poco ascoltati.
Per questo è meglio ricordare ? a noi stessi, in primo luogo ? alcuni aspetti, sottovalutati, che condizionano il funzionamento delle primarie. Prendendo spunto dalla “lezione pugliese”.
a) Nelle primarie, anche quando sono “aperte” a tutti gli elettori che dichiarino la propria preferenza di coalizione (come in Puglia), non votano tutti. Solo i più coinvolti, appassionati, militanti vi partecipano. Gli elettori più moderati, quelli “non allineati”, più esterni alla politica, difficilmente votano alle primarie. Spesso, faticano a votare anche alle elezioni vere e proprie. Se queste sono le componenti determinanti per vincere le elezioni, occorre prendere atto che non necessariamente chi vince le “primarie” ? soprattutto dove non costituiscano una tradizione assimilata ? è il più “adatto” a vincere le elezioni vere. Conviene ricordare che la Bartolini, sconfitta a Bologna da Guazzaloca, aveva trionfato nelle primarie con l´80% dei voti.
b) Nelle primarie contano molto le risorse organizzative, ma anche, forse di più, la “visibilità” e l´appeal del candidato. Questa mi pare la spiegazione più credibile del successo di Vendola. Non certo “l´estremismo”. Né la presunta “rivolta contro gli apparati” (Vendola è uomo d´apparato, impegnato nella società civile, come ha ricordato D´Alema, intervistato da Giannini). È, semmai, il suo personale “radicamento” territoriale, soprattutto a Bari. È la sua “capacità mediale”. Altri leader di Rifondazione, magari più importanti di lui, al posto avrebbero incontrato una sorte ben diversa.
Da questa “lezione” possiamo trarre alcune indicazioni, tanto più importanti ora, che la Gad (ma davvero intende presentarsi con questo nome il centrosinistra?) ha indetto le primarie, a maggio, per decidere il candidato premier in vista delle prossime elezioni politiche.
1. Le primarie vanno preparate bene. Non possono essere improvvisate. Come altre scelte del centrosinistra in questi anni (ho davanti agli occhi l´esperienza della lista unitaria, avviata senza convinzione e sospesa nonsisaperché, dopo un risultato per nulla disprezzabile). Debbono fondarsi su regole chiare. E debbono essere “pensate”, programmate, coordinate da organismi composti da figure rappresentative, competenti e responsabili.
2. Se si vuole evitare che votino “i soliti noti”, gli impegnati di professione, occorre curarne la “comunicazione”. In modo che tutti, o quasi, i potenziali elettori, sappiano che ci sono; come, perché, per chi si vota. In modo che i candidati abbiano possibilità di farsi conoscere e di far conoscere le proprie idee. Per questo è importante il rapporto con le organizzazioni e le associazioni, ma anche con le emittenti nazionali e locali.
3. La dicotomia fra persone e programmi, è dannosa. Un candidato deve promuovere programmi. E viceversa. Senza possibilità di scindere, tatticamente, gli uni dagli altri.
4. Le candidature non possono essere “finte”. Chi ha pensato alle primarie del prossimo maggio come un rito dall´esito scontato, a favore di Prodi, meglio avrebbe fatto a organizzare qualcosa di diverso. Una convention. D´altra parte, “chiudere” la competizione artificialmente, in modo verticista, come in Puglia, dove è stata ridotta a un confronto personale fra Ulivo e Sinistra, impoverisce il dibattito. E le possibilità di scelta. Rischia, inoltre, di produrre risultati inattesi e sgraditi. Per questo, se si fanno le primarie, occorre farle seriamente. “Aperte” a diversi concorrenti “veri”, con un confronto “vero”. Senza vincitori predestinati. Sapendo, ovviamente, che c´è un favorito. Ma senza illudersi, o peggio, dare per scontato, che i favoriti siano, naturaliter, i vincenti.
5. Le primarie aperte, di coalizione, comunque vada, indeboliranno i partiti esistenti. Le loro basi di legittimazione e di organizzazione. Può essere un passaggio necessario verso nuove forme di partecipazione. Verso nuovi soggetti politici. Più rappresentativi ed efficienti degli attuali. Ma è meglio dirlo; comunque saperlo, senza fingere. A se stessi, anzitutto.
6. Le primarie sono una sfida difficile e importante, per il centrosinistra e per la democrazia italiana. Vanno affrontate con cura e con coraggio. Senza tenere socchiusa la porta, furbescamente, per controllare meglio chi fare entrare e chi no. Dopo aver promosso e promesso partecipazione. La gente sfonderebbe la porta, travolgendo i malaccorti apprendisti stregoni di turno.