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30 Novembre 2005

Uno sfregio inutile alla giustizia penale

Autore: Vittorio Grevi
Fonte: Corriere della Sera

Ieri è stata una giornata triste per il nostro ordinamento. Nonostante i dubbi e le riserve di molti suoi esponenti, infatti, una maggioranza parlamentare prona alla forza degli slogan politici, ma ignara delle conseguenze delle sue scelte (anche perché chi doveva illuminarla, cioè il ministro della Giustizia, non ha saputo farlo), ha approvato una legge che, per molti versi, rischia di vanificare del tutto quel poco di efficienza che finora era sopravvissuto nella nostra giustizia penale.

Ci si riferisce, ovviamente, al testo noto come ex Cirielli, che (accanto ad una serie di norme penali e penitenziarie eccessivamente repressive nei confronti dei condannati recidivi, al punto da mettere in pericolo i già precari equilibri esistenti nell’universo carcerario) introduce nel sistema una serie di nuovi meccanismi per il calcolo dei termini di prescrizione dei reati, tali da abbattere drasticamente i medesimi termini, in molti casi addirittura sino alla metà.


Che cosa possa avere ispirato una scelta politico- legislativa così insensata rispetto agli odierni tempi di concreta durata dei processi penali che non accennano a ridursi (anche perché nulla è stato fatto per ridurli), ed anzi semmai tendono ad allungarsi, a seguito delle più recenti riforme collegate al «giusto processo», è quesito al quale davvero non si saprebbe cosa rispondere.

Anche perché, come si diceva — a testimonianza della approssimazione con cui si approvano anche leggi tanto delicate — nessun serio monitoraggio sui suoi effetti è stato predisposto dal ministero della Giustizia. Si tratta, dunque, di una legge approvata al buio, ad opera di parlamentari che, nella migliore delle ipotesi, letteralmente «non sanno quello che fanno».


Una valutazione così severa ed allarmata non viene meno per il fatto che sia stata modificata la poco decorosa disposizione transitoria, che avrebbe voluto applicare i nuovi e più brevi termini di prescrizione a tutti i processi già in corso, con l’evidente risultato di «salvare» molti imputati, magari già condannati in primo o perfino in secondo grado.

Senza dubbio in questo modo è stata rimossa (o, meglio, è stata circoscritta a vantaggio dei soli imputati per i quali non si sia ancora pervenuti al dibattimento) una delle previsioni più aberranti della nuova legge. Ma ciò non toglie che quest’ultima rimanga inficiata da un gravissimo vizio di intrinseca irragionevolezza, destinato a minarne l’intero impianto anche «a regime».


Date queste premesse, è facile immaginare le ricadute dirompenti delle leggi in questione, anche sulla giustizia penale dei prossimi anni. Se i tempi di durata dei processi continueranno ad essere (come è inevitabile, in assenza di interventi legislativi) quelli di oggi, il sistema processuale non riuscirà a «reggere» i nuovi più angusti termini di prescrizione, e dovrà fatalmente registrare la anticipata estinzione di quei processi.

Ciò significa, in sostanza, che per molti reati anche gravi sarà di fatto garantita l’impunità ai loro autori, nella impossibilità di concludere i relativi giudizi entro i suddetti termini così abbreviati.

Anzi, lungi dal «velocizzare» i futuri processi, la nuova legge finirà di fatto per rallentarli, a causa delle prevedibili manovre dilatorie di molti imputati, ingolositi dal più ravvicinato obiettivo della prescrizione.

E’ questo quello che si voleva ottenere? E’ tollerabile che la nostra giustizia penale debba subire uno sfregio così inutile, ma nel contempo anche così devastante?