5 Dicembre 2005
Una truffa a tre punte
Autore: Edmondo Berselli
Fonte: la Repubblica
La legge unilaterale, partigiana, strumentale, la legge che riporterà in Italia il sistema proporzionale disegnerà un sistema elettorale molto peggiore di quello della prima Repubblica.
Essa non si limita a imporre alla Camera il principio partitocratico delle liste bloccate, e neppure a predisporre per il Senato uno schema caotico che tende a neutralizzare il voto.
Ha detto un giurista del valore di Giuliano Amato, alzando gli occhi al cielo: «Molto si è discusso se la legge sia costituzionale o no, mentre nessuno rileva che è una perfetta baggianata».
Eppure dentro il centrodestra la nuova legge elettorale ha già provocato effetti rilevanti, che potrebbero influire sul risultato delle elezioni della primavera prossima.
Com´è noto, l´invenzione si chiama «schema a tre punte».
È una strategia degna della metafisica calcistica di Zdenek Zeman, attraverso la quale si argomentano soluzioni politicamente astruse ma tatticamente funzionali agli interessi della Casa delle libertà. Tutti all´attacco.
Il criterio fondamentale che regge questa soluzione è contraddittorio: ci dovrebbe essere un leader riconosciuto, Silvio Berlusconi, prima punta del centrodestra, ma si sostiene nel contempo che le elezioni fungeranno da primarie.
Ciò significa più o meno che il leader della Casa delle libertà è un centravanti a tempo: lo si presenta comunque come un uomo di sfondamento, facendogli sostenere fino all´autolesionismo le sue tesi («Non abbiamo messo le mani nelle tasche degli italiani, non abbiamo trasformato Palazzo Chigi in una merchant bank, abbiamo mantenuto il Contratto, i ristoranti sono pieni, la sinistra fa terrorismo psicologico»).
Le altre due punte, Gianfranco Fini e Pier Ferdinando Casini, giocano una partita più cauta. Fini ha preso l´ascensore della Farnesina, cercando di mostrare un volto altamente istituzionale; il neo-cinquantenne Casini sembra a suo agio nel ruolo di trequartista più che di attaccante puro, disponibile a concedere (a parole) a Berlusconi il privilegio della storia e del carisma, ma altrettanto pronto ad appropriarsi della richiesta folliniana di «discontinuità» nella leadership.
Fini prova a differenziarsi in chiave laica, come si è visto nel referendum sulla fecondazione assistita, mentre Casini non nasconde l´intenzione di qualificarsi come figura di riferimento della chiesa, figlio prediletto della Cei, nipotino dei cardinali Ruini e Sodano, erede della Dc, ossia dell´unità politica dei cattolici.
Lasciato Umberto Bossi a godersi il trofeo retorico della devolution, le tre punte della Cdl cercheranno di movimentare la campagna elettorale su base personalistica.
Il leader storico un po´ imbolsito, il ragazzo di sacrestia che si candida a governare con un occhi al Vaticano, e infine l´ex missino, il “fascista del 2000”, trasfiguratosi inopinatamente in uno statista. Ma tre solisti non fanno una politica.
Al massimo, lo ricorderanno i cultori del calcio degli anni Sessanta, riusciranno a influenzare l´opinione pubblica con un “movimiento” simile al modulo predicato da Heriberto Herrera quando suppliva con la confusione podistica alla carenza di classe della sua remota Juventus.
È tutta qui, la truffa delle tre punte. Perché è interesse primario e stringente del centrodestra fare scomparire dalla discussione politica il risultato oggettivo del governo di centrodestra.
La prima punta, Berlusconi, reclamizza le ventiquattro riforme strutturali, la quantità di leggi promulgate in Parlamento, il mantenimento delle promesse su taglio delle tasse e pensioni sociali.
Ma a parte il fatto che le riforme e le leggi non si misurano sul numero ma sulla qualità (e sul modo in cui vengono attuate), il problema più importante del centrodestra è di fare scomparire la macroeconomia.
Far dileguare quei numeri fastidiosi secondo cui il governo si è mangiato quattro punti abbondanti di avanzo primario, cioè soldi buoni, veri, sonanti.
Indurre l´oblio sulla miserevole ripetuta alternanza fra Giulio Tremonti e Domenico Siniscalco, sul debito pubblico che risale verso quota 110 per cento del Pil, nascondere la crescita zero rispetto a un´Europa certamente lenta ma che cresce un punto e mezzo più dell´Italia “felix” di re Silvio.
Berlusconi deve occultare la realtà. Questo è il suo nuovo sogno, il suo nuovo contratto con gli italiani.
Ricorda per certi versi il più visionario teorico del calcio contemporaneo, il Gran Fusignate, il leggendario Arrigo Sacchi, che dopo una penosa eliminazione ai Campionati europei proruppe sconsolato: «Ci hanno sconfitto i risultati, non il gioco».
Tradotto in termini berlusconiani, ciò significherebbe che Berlusconi avrebbe davvero voluto realizzare il sogno, il nuovo miracolo economico che secondo l´ottimista Antonio Fazio era «dietro l´angolo», i livelli di crescita del Pil, superiori al 3 per cento, che Tremonti aveva indicato nel suo primo Dpef.
Nulla di tutto ciò si è verificato? Pazienza. Destino cinico e baro. Tanto peggio per i fatti. È vero che sarà difficile buttarla ancora sull´ideologia, con il forcing contro il comunisti, le toghe rosse, la burocrazia, gli sprechi e i politicanti.
Ma sarà conveniente buttarla sulla soluzione tattica delle tre punte. Un gran tourbillon zemaniano, un movimiento heribertiano, una competizione interna fra attaccanti ognuno dei quali lotterà per guadagnarsi i propri spazi e i propri elettori.
Qui i cattolici modernizzati da Pier Ferdinando, là gli uomini d´ordine, gli ex fascisti, riscattati dall´allure vagamente improbabile di Gianfranco; e infine le masse televisive ipnotizzabili dal Cavaliere.
Un gioco fantastico, stellare. Che ha l´unico difetto di essere immaginario. Eppure le prossime elezioni si giocheranno proprio sulla possibilità di reinventare un sogno dopo che la realtà lo aveva trasformato per molti in un incubo.
Fallito il governo, il centrodestra ha deciso di cambiare le regole elettorali. Era come dire che se la nazionale italiana gioca male vanno cambiate le regole del calcio. Adesso, dopo lo scarso rendimento della squadra, si rilancia il gioco d´attacco.
Sempre con la speranza che gli spettatori siano ingenui, e che credano che cambiando la tattica cambino anche i giocatori e il gioco. Ma non è calcio e non è governo: è solo furbizia e demagogia.