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31 Agosto 2005

Una sfida poche idee

Autore: Angelo Panebianco
Fonte: Corriere della Sera

La sfida per la leadership lanciata dall’Udc contro Silvio Berlusconi paralizza il governo ma non sembra in grado di provocare un cambio della guardia al vertice della coalizione.

Quando Berlusconi dichiara che solo lui è in grado di tenere unita la coalizione non ha poi tutti i torti e i dirigenti dell’Udc, da Casini a Follini, sono politici troppo accorti per non rendersene conto.

Sembra che chi ha deciso di sfidare Berlusconi non abbia considerato che una sfida simile, per avere successo, richiedeva molto di più di una generica invocazione di «discontinuità».

Non basta evocare la necessità di un cambio di leadership. Occorre anche mettere a punto una «offerta politica», una proposta, una visione, la si chiami come si vuole, che diventi argomento di discussione e poi di convergenza fra tutte le forze della coalizione (Lega compresa).

Cambiare leader di una coalizione è possibile solo se l’aspirante sostituto dispone di un progetto, una offerta politica appunto, intorno a cui raccogliere il consenso degli alleati. Ad esempio, in Francia, Sarkozy non si è limitato a proporre se stesso come successore di Chirac, ha anche indicato una sua visione, diversa da quella del presidente in carica, della Francia che vorrebbe.

Quando ha creato il centrodestra e poi quando lo ha portato alle vittorie del 1994 e del 2001 Berlusconi disponeva, comunque la si giudichi, di una proposta, ha offerto agli alleati e agli elettori una visione delle cose da fare.

Quella proposta e quella visione non hanno poi retto alla prova del governo ma ciò non toglie che esse fossero indispensabili per unire la coalizione e chiedere il consenso degli elettori.

Che cosa ha fatto fin qui l’Udc? Né più né meno di ciò che ha fatto la Lega. Si è proposta come «parte» contrapponendosi sistematicamente ad altre «parti» della coalizione. Ma non è così, ovviamente, che si può creare un’alleanza intorno a una nuova leadership.

Per questo Berlusconi, ancorché logorato, non sembra sostituibile. Naturalmente, i dirigenti dell’Udc replicheranno che essi dispongono di un loro progetto o, almeno, di una loro visione delle cose da fare.

Ma ammesso che ciò sia vero non sembra che l’Udc abbia fatto molti sforzi per farla accettare al resto del centrodestra. Ad esempio, Bruno Tabacci, uno dei più preparati politici dell’Udc, ha certamente una sua visione delle cose da fare (condivisa, immagino, da altri nel suo partito) e l’ha esposta in più occasioni.

Peccato che quella visione, essendo sostenuta da un politico che non nasconde la sua ostilità per il bipolarismo nonché il fatto di andare più d’accordo con Enrico Letta (della Margherita) che con i suoi alleati della maggioranza, non sia affatto spendibile in una lotta per la conquista della leadership di un centrodestra tuttora operante entro un sistema bipolare.

Secondo i maliziosi, la cosiddetta «sfida per la leadership» nasconde solo la volontà dell’ Udc, che dà ormai per scontata la sconfitta del centrodestra, di guadagnare visibilità per ottenere qualche voto in più.

Ma se non è così, se la sfida a Berlusconi è reale, allora occorre molto di più di ciò che l’Udc ha messo fino a oggi in campo. Occorrono idee intorno alle quali costruire il consenso della coalizione.

Naturalmente, per mettere in circolazione idee bisogna prima averle.