Quando il terrorismo colpisce e insanguina l´altra sponda del Mediterraneo, l´Europa non può che sentirsi minacciata. E´ come se il soffio delle esplosioni facesse tremare le porte di casa.
Anche perché l´imponente flusso migratorio, legale o clandestino, accomuna sempre più il destino dei paesi affacciati sullo stesso mare, e gli intensi scambi del mondo globale accorciano, anzi bruciano le distanze.
Il vivere tutti in «tempo reale» ci coinvolge nella stessa paura. E non ci fa mai del tutto estranei ai drammi, al dolore altrui. I due attentati, che ad Algeri hanno fatto decine di morti, hanno accentuato un timore non certo nuovo.
Hanno rianimato i ricordi delle stragi di Istanbul, di Casablanca, di Madrid, di Londra, oltre a quelle più recenti avvenute sempre ad Algeri. Accresce il malessere il fatto che gli autori del massacro di ieri abbiano agito – cosi sembra – sotto l´insegna di Al Qaeda.
Un´insegna probabilmente soltanto simbolica, poiché, come si ripete da tempo, più che una vera e propria organizzazione, con una gerarchia precisa capace di muovere ovunque le sue truppe, Al Qaeda sarebbe una nebulosa, in cui si inseriscono «idealmente», conservando la propria autonomia, vari gruppi di diversa origine e nazionalità, orgogliosi di poter usare quel marchio, per noi sinistro e per loro prestigioso.
Si suppone persino che i terroristi di Algeri abbiano agito il giorno “undici” per evocare l´11 settembre di New York. La strage di Algeri sollecita tuttavia un altro sentimento, che direi più giusto, più razionale, di quello suscitato dal timore che il terrorismo trabocchi sulla nostra sponda.
Mi riferisco alla dovuta solidarietà nei confronti di un paese, di una società, che nel passato decennio ha sconfitto l´ondata integralista, vale a dire ha vinto una guerra civile, che poteva concludersi con la nascita di un´Algeria islamista. E allora sì che l´Europa sarebbe stata concretamente minacciata.
Con gli emiri sgozzatori della jihad, nella sua versione magrebina, al potere ad Algeri, a due passi da noi, l´intera area del Mediterraneo avrebbe cambiato faccia. Coloro che continuano a uccidere sono i resti del dannato passato in cui decine di migliaia di algerini furono massacrati.
I meandri della storia recente di quel coraggioso paese restano in larga parte inesplorati. La giusta politica «di riconciliazione» promossa dal presidente Bouteflika ha cercato di cancellare le ferite della guerra civile. Ma è stato come stendere un velo su un mare di sangue, e su tante vendette irrisolte.
L´essenziale è tuttavia che un popolo caparbio, orgoglioso, non facile da domare (come ben sanno i colonizzatori francesi sconfitti), dopo essersi lasciato affascinare da un islamismo presentatosi come rivoluzionario, come un´alternativa a un socialismo arabo fallimentare, ha saputo respingere la sinistra utopia dell´islamismo.
E ha restaurato un sistema politico, non certo basato su una democrazia esemplare, ma in cui i partiti non possono richiamarsi alla religione. Questo sta a dimostrare che il vero argine all´islamismo terrorista sono le stesse società musulmane.
I recenti attentati in Algeria, anche se non tutti rivendicati, stando agli esperti, sono stati promossi e attuati da quella che si autodefinisce l´”Ala delle rete Al Qaeda nel Maghreb”.
La quale un tempo si chiamava “Gruppo salafita per la predicazione e la lotta”, formato negli ultimi anni Novanta da dissidenti estremisti del Gruppo islamico armato. Il Gia della guerra civile.
La genealogia del terrorismo ci riporta sempre a quell´epoca. L´adesione ufficiale ad Al Qaeda degli algerini, contrari alla politica «di riconciliazione», è stata annunciata lo scorso anno, in occasione dell´anniversario dell´11 settembre, da Ayman Al Zawahiri, vice di Osama Bin Laden, cioé numero due di Al Qaeda.
L´emiro algerino del Gruppo salafita, Abu Mussab Abdel Wadud, ha risposto subito, il giorno dopo, con una lettera solenne, impegnandosi a seguire Osama Bin Laden «fino al martirio». I motivi che lo spingevano a questa obbedienza «erano conformi al Corano e alla tradizione del Profeta».
L´unione, sia pure ideale, tra gli algerini alla macchia e Al Qaeda sarebbe avvenuta dopo lunghe trattative e sarebbe stata favorita dalla guerra in Iraq, dove si è formata o rafforzata l´internazionale terrorista. Gli islamisti non costituiscono più un´alternativa all´attuale Repubblica.
Ma fanno ancora proseliti. E nonostante le perdite subite, il loro movimento clandestino è in grado di lanciare operazioni e attentati che esercito e polizia non riescono a impedire. Essi sono abbastanza forti per avvelenare l´esistenza di uno dei più ricchi paesi africani.
Grazie al petrolio e al gas (del quale l´Italia è uno dei principali consumatori) l´Algeria ha il prodotto interno lordo più importante del continente, dopo quello del Sudafrica. Conosce anche una travolgente natalità.
Un algerino su tre ha meno di quindici anni. E gli adolescenti rappresentano la più grande risorsa per il terrorismo. L´8 settembre un attentato-suicida contro una caserma di guardie costiere, a Dellys, sul litorale a Est di Algeri, ha fatto trenta morti.
Il kamikaze è risultato essere un ragazzo di quindici anni. Si chiamava Nabil Belkacemi, e aveva come nome di guerra quello di Abu Mussab al-Zarqawi, ex capo di Al Qaeda in Iraq.
A convincerlo a sacrificarsi sarebbe stato l´imam di una moschea della periferia d´Algeri, per questo finito in carcere. La polizia continua a scoprire adolescenti implicati in azione terroristiche, dopo avere seguito corsi in campi clandestini di addestramento.
Pagati 20 o 30 euro (2000 o 3000 dinari) per ogni operazione, quei ragazzi vengono battezzati con nomi di “martiri” sacrificatisi in Afganistan e in Iraq. E se non diventano kamikaze funzionano come informatori.
Per avere svolto questa attività tredici adolescenti, tra i 14 e i 16 anni, sono stati condannati il 23 settembre a tre anni di carcere con la condizionale. E poi affidati agli psicologi.