Niente è scontato, in politica. E se un effetto benefico hanno i dati elettorali siciliani è di dimostrare che la partita politica è più che mai aperta. La vittoria dell’Unione a Enna è stata subito netta, e di per sé ha archiviato il precedente totalitario dei 61 collegi uninominali della Sicilia impacchettati dal centrodestra nel 2001. Mentre, per quanto in controtendenza appaia rispetto all’onda lunga a favore del centrosinistra, il successo della coalizione di governo nella roccaforte di Catania non basta a dare il via libera alla riscossa della leadership di Silvio Berlusconi. Se pure sul piano personale il premier può tirare un qualche sospiro di sollievo dal vantaggio dell’amico e medico personale, il dato politico resta da leggere in controluce, ovvero attraverso la gerarchia delle percentuali elettorali dell’accozzaglia di partiti del centrodestra.
Da questa parte, la frantumazione ha raggiunto il suo apice, con lo sgomitare di liste ex dc cosiddette autonomiste, covate dallo stesso premier per destabilizzare l’insofferente vertice centrista dell’Udc, ma che nel segreto dell’urna sembrano arrecare il maggior danno proprio alla consistenza elettorale di Forza Italia. Con buona pace dei peana del proconsole siciliano di Berlusconi, Gianfranco Micciché, per la trovata della moltiplicazione delle liste centriste (ben quattro, in competizione con quella ufficiale dell’Udc) di Raffaele Lombardo, nella quale – come, appunto, conferma il neo ministro della cosiddetta «coesione» – avrebbe «creduto anche il presidente Berlusconi», è tutto da dimostrare che il «progetto siciliano» imperniato sul frazionismo autonomista possa essere compatibile con il disegno del «partito unico» con cui lo stesso premier sul piano nazionale conta di rimettere in fila il partito di Marco Follini e Pierferdinando Casini. Anzi, a giudicare dalla rete che Lombardo ha cominciato a intrecciare con altri due cattolici di punta in odore di eresia centrista, come l’ex governatore pugliese Raffaele Fitto e il presidente lombardo Roberto Formigoni, è possibile che prima o poi la competizione sulla leadership si scateni addirittura in seno al partito del premier.
Fatto è che ancora ieri Berlusconi ha dimostrato platealmente l’incapacità di emanciparsi dalla crisi strisciante del suo governo assumendo la leadership dell’intera coalizione. La sortita mattutina alla prima tv a tiro di zapping contro la «il diritto di veto di una minoranza anche assolutamente esile del 6-7 rispetto al totale della coalizione», per quanto minacciosamente diretta all’Udc, è suonata stridula anche a via della Scrofa, dove Gianfranco Fini si ritrova a fare i conti con il pericolo di una dissociazione dell’ala ex democristiana, guidata da Domenico Fisichella, che contesta la deviazione di An dalla strada intrapresa dieci anni fa a Fiuggi e, al tempo stesso, la sudditanza di fatto alla confusione berlusconiana derivante dalla sua concezione assolutista del maggioritario, per cui se questa non è legittimata dal bipolarismo è allora da perseguire con il bipartitismo.
L’indeterminatezza del disegno politico con cui il premier intende gestire le scorie della legislatura si ripercuote automaticamente sulla stessa possibilità che un’operazione di verità sui conti pubblici consenta di recuperare un clima meno ostico per l’emergenza economica. Sul piano sociale, tanto il cislino Savino Pezzotta quanto il presidente della Confindustria Luca Cordero di Montezemolo, non se la sentono di dare altro credito a un presidente del Consiglio che ha trasformato in carta straccia non solo il propagandistico «contratto con gli italiani» ma anche il ben più cogente «patto per l’Italia», e anzi si ritrovano in sintonia con Guglielmo Epifani che dice esplicitamente che per la Cgil prima il governo se ne va e meglio è. Sul piano politico, con Romano Prodi, un po’ tutti gli esponenti del centrosinistra (e, in particolare, i diessini Vannino Chiti, Pierluigi Bersani e Nicola Rossi) avvertono che, al più, si può concordare con il governo l’anticipazione delle scadenze legislative sulla finanza pubblica lungo un percorso che porti alle elezioni anticipate e, quindi, a una corretta e salda assunzione di responsabilità della necessaria correzione di rotta della politica economica.
Una risposta, quella di Prodi, che differisce non poco dall’atteggiamento di Berlusconi sulla «lezione» del contrastato risultato catanese. Il leader dell’Unione ha rotto gli indugi sulla moratoria perorata da Francesco Rutelli, senza nemmeno aspettare di valutare l’esito della prova di Enzo Bianco e soprattutto senza dare per scontato l’effetto di attrazione sulla Margherita dello scompaginamento del campo avverso, per riproporre l’Ulivo «come centro e promotore dell’unità del centrosinistra». Si tratta di una scelta che non si adagia sugli allori ma consente di tenere alta la tensione e la partecipazione sulla sfida decisiva dell’alternanza.