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1 Marzo 2007

Una legge per le elezioni

Autore: Edmondo Berselli
Fonte: la Repubblica

E’ andata. L´applauso del centrosinistra al Senato dopo la proclamazione del voto è sembrato un lunghissimo sospiro di sollievo, lo sciogliersi di una tensione che negli ultimi due giorni era giunta allo spasimo. Ha vinto la compattezza ritrovata faticosamente dal centrosinistra, grazie anche alla percezione dell´insensatezza di giocarsi il governo e riconsegnare il paese a Silvio Berlusconi.

Eppure, dopo il sollievo, tocca al realismo, al buonsenso, alla normale intelligenza politica segnalare che non si governa con una maggioranza problematica come quella che ieri, dopo una giornata tesissima, ha confermato la fiducia al governo Prodi. È superfluo infatti ricordare gli appuntamenti a cui l´esecutivo e l´Unione sono chiamati, e il potenziale disgregativo che essi detengono. Il rischio più immediato è di assistere allo sfaldamento della legislatura; quello più insidioso è il profilarsi, in seguito alla caduta del governo di centrosinistra, di una crisi strutturale della politica italiana.


Non è pensabile che ai vertici dell´Unione sfuggano questi aspetti. E neppure che non ne sia consapevole il capo del governo. E allora il principale risultato della crisi, che non ha prodotto innovazioni politiche significative, è dato con ogni probabilità proprio da questa consapevolezza. Da un convincimento che si sta formando progressivamente ma con sempre maggiore nitidezza e che conduce direttamente al tema della riforma elettorale. Non è un cambiamento da poco. Forse l´impulso principale, dal punto di vista istituzionale, è venuto dal presidente della Repubblica, che nella motivazione del rinvio di Prodi alle Camere ha richiamato l´impossibilità di tornare alle urne con una legge incapace di garantire ragionevolmente la governabilità.


Ma è stato proprio il presidente del Consiglio ad appropriarsi del tema, durante il suo primo intervento al Senato. Sulle prime è sembrato quasi un espediente tattico, il tentativo di aprire uno spazio di interlocuzione con segmenti del centrodestra interessati a una modificazione del Porcellum pensando di ricavarne vantaggi.


Tuttavia con il passare delle ore quell´appendice al discorso in Senato è diventata qualcosa di più di un appiglio. Ha preso i contorni di un´ipotesi politica. Di una strada da percorrere.

Non è affatto una strada agevole, neanche per lo stesso Prodi. L´apertura del gioco comporta infatti un sostanziale ridimensionamento delle ambizioni del governo. Implica la fine dell´orgogliosa solitudine della maggioranza e l´abbandono del totem dell´«autosufficienza» dell´Unione.


Determina l´assunzione di un rischio, da parte di Prodi, che muta la sua responsabilità rispetto al Parlamento, ai partiti e ai cittadini, e potrebbe significare anche la trasformazione sostanziale del compito principale del suo governo.


Prodi ha chiarito in Senato che il suo sforzo va nella direzione del rafforzamento e della razionalizzazione del bipolarismo, e di una connessione sempre più netta della scelta dei cittadini con la premiership. Con il suo schema ha tagliato la strada alle suggestioni del «modello tedesco», cioè a un prevedibile ritorno alle contrattazioni partitiche post-elettorali, al governo come espressione di un negoziato di cui gli elettori sono di fatto all´oscuro.


Nello stesso tempo, ha anche fatto tutto il possibile per bloccare l´ipotesi del governo tecnico o istituzionale, l´esecutivo di emergenza o di garanzia finalizzato soltanto a rendere possibili elezioni nel breve-medio periodo: ci vuole poco a capire che agli occhi di Prodi e degli ulivisti storici il governo tecnico è solo il cavallo di Troia dello smantellamento del bipolarismo e della scomposizione della struttura politica attuale.


Fino al momento della crisi, il capo del governo non sembrava specificamente interessato alla questione della formula elettorale. Il suo stratega politico, Arturo Parisi, aveva provato a convincerlo a puntare sull´abbinata «referendum più commissione bicamerale»: il referendum avrebbe stimolato la riforma elettorale, la nuova bicamerale avrebbe tenuto al riparo il governo per un arco prevedibile di almeno 24 mesi. Gli schemi di Parisi non sembravano avere convinto Prodi. Invece oggi la prospettiva della riforma diventa la missione del governo. L´asse della politica italiana ruota di centottanta gradi, dall´economia alle istituzioni. Ed è evidente che nel momento in cui Prodi si assume la funzione politica di ridisegnare le regole del gioco, non può pensare di compiere un´operazione al ribasso. Non può mirare a una riformicchia da realizzare in tempi ristretti. Non può agire come agirebbe un governo tecnico. Deve cercare convergenze su un progetto ambizioso.


Possibile, praticabile, realistica come prospettiva? Intanto si può segnalare che ieri Walter Veltroni si è speso su Europa, il quotidiano della Margherita proponendo una soluzione istituzionale non lontana da quella prospettata da Prodi al Senato. E l´ha messa in connessione con la nascita del partito democratico. Un partito «a vocazione maggioritaria» dentro un sistema maggioritario.


Veltroni ha compreso da tempo che il bipolarismo frammentato e contraddittorio di questa legislatura può essere equilibrato soltanto dalla formazione di un´estesa area politica riformista nel centrosinistra (e simmetricamente da un´aggregazione moderata a destra). Prodi ha assunto su di sé la responsabilità di un processo che deve comprendere entrambi i momenti, riforma elettorale con le sue implicazioni costituzionali e partito democratico con le sue implicazioni di innovazione politica nel centrosinistra.


Individuati gli obiettivi, si tratta di rintracciare le modalità per realizzarli: ma dopo essere arrivati a un passo dal baratro, da un fallimento storico che avrebbe demolito il centrosinistra e il bipolarismo, ci si può consentire il lusso di non essere banali, cioè di non puntare semplicemente a conseguire l´ovvio.