Un referendum che cerca di rifiutare il suo destino. Curiosa impressione sembra provocare il prossimo appuntamento della politica italiana, il voto sulla legge per la procreazione assistita. Alla stringente logica binaria del «Sì» e del «No», con la netta divisione che impone sempre un referendum, pare voler sfuggire questa consultazione, difficile per la materia nuova e intricata, anomala per gli schieramenti che si contrappongono, delicata per gli scenari che potrebbe aprire.
Ancora una volta è la politica della famiglia a sollecitare una verifica del costume e della coscienza degli italiani. L’argomento sembra direttamente riallacciarsi ai referendum più importanti della nostra storia, quelli sul divorzio e sull’aborto. Se si guardano le cose più da vicino, però, le differenze sono tante, significative, ma forse riassumibili in un solo cambio di prospettiva: allora si cercava un rimedio agli errori del passato, qui si cerca di prevenire gli errori del futuro. Negli Anni 70 si voleva adeguare la legge a un costume che gli italiani ormai sentivano essere arrivato molto più avanti, con impazienza e con un sentimento quasi di liberazione dal peso di una antica eredità. Ora è come se fosse invece la legge a squadernare ai nostri cittadini uno scenario imprevedibile, insieme promettente e minaccioso. Così lo sconcerto, la riflessione, il dubbio costituiscono la caratteristica fondamentale di interrogativi che paiono troppo precoci, troppo inquietanti per un maturato, sereno giudizio collettivo.
Eppure saranno proprio questi argomenti morali, quelli della bioetica, delle nuove frontiere della scienza, dei confini della vita e della morte a caratterizzare il dibattito politico più delicato dei prossimi anni. Come spesso accade, è dall’America che è arrivato il segnale del nuovo tema del dibattito pubblico e dell’influenza che avrà sui tradizionali canoni della politica, dall’assetto dei partiti all’importanza dei fattori culturali, religiosi, soggettivi, direi intimi, nelle scelte della collettività, proprio in quanto struttura organizzata del governo degli uomini. Basti pensare all’ultima campagna elettorale che ha portato alla rielezione di Bush.
La Chiesa italiana ha capito subito che si apriva un diverso campo della politica ed è intervenuta, persino con spregiudicatezza tattica e correndo sicuramente qualche rischio, ad occuparlo per affermare, con la massima decisione, il suo diritto a partecipare, in prima persona, alle scelte della collettività nazionale. I laici, invece, sono sembrati spiazzati, come se il cardinal Ruini fosse penetrato in un recinto solo a loro riservato. Non hanno capito che l’arena del confronto non era più quella di volta e si era spostata in un terreno dove regole, giocatori e arbitri sono tutti da ridefinire e le competenze non sono più assegnate per sempre.
Così, le vecchie divisioni tra laici e cattolici si stanno sfrangiando e quelle logiche che erano valse, per il divorzio e per l’aborto, a dividere in due l’Italia e le coscienze degli italiani si vanno perdendo in mille dubbi, in mille riflessioni, in mille contraddizioni. Ecco perché, persino il referendum è diventato pluralista.