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8 Marzo 2006

“Un potere personale da battere si vince o no sull´ultima linea”

Autore: Alberto Statera
Fonte: la Repubblica
Don Luigi Sturzo e Garcia Marquez, l´appello del 1919 «agli uomini liberi e
forti» da una parte, e l´appiccicoso populismo descritto nei romanzi
sudamericani dall´altra. Claudio Magris fa di tutto per fuggire forzature
retoricamente drammatiche, ma nonostante questo vive le elezioni del 9 aprile
come l´ultima spiaggia su cui fermare «un processo involutivo e regressivo del
paese» che insidia i principi della liberaldemocrazia.

Don Sturzo e Marquez, professor Magris?
«Direi due secoli di pensiero liberale contro la regressione della politica
all´esercizio di un potere personale, a leggi fatte su misura per i casi di una
sola persona. La liberaldemocrazia occidentale e la divisione dei poteri contro
l´appello a un inesistente popolo, una investitura pagliaccesca di peronistica
memoria».
La legittimazione del voto popolare viene prima di tutto, in
democrazia.
«Ma non autorizza a sgretolare le istituzioni che garantiscono la
democrazia e la libertà col principio liberale della divisione dei poteri.
Quando Berlusconi, appellandosi al voto popolare, dice che non può essere
giudicato da giudici non eletti, nega la divisione dei poteri. Con questa
logica, come ha ironizzato Umberto Eco, non dovrebbe farsi operare da chirurghi
non legittimati dal voto popolare».
Vede la famosa deriva autoritaria?
«Vedo un malcostume che diviene insensibilmente deriva autoritaria.
Insensibilmente, perché i tantissimi esempi non sono abbastanza noti a causa del
frastuono mediatico, che tende a spegnere l´informazione nel rumore. Molti che
nel 1994 e nel 2001 hanno votato Forza Italia sarebbero inorriditi se avessero
saputo di più di Previti. Ma poi la logica del peccato, come insegnavano i Padri
della Chiesa, fa crescere le soglie di sopportazione. Bisogna saper parlare
senza alcuna superbia a questi elettori che hanno votato l´attuale presidente
del Consiglio magari per esprimere in modo sbagliato legittime proteste, e
renderli avvertiti dell´indecenza montante».
Sta dicendo che il centrosinistra non sa parlare senza superbia al popolo
berlusconiano?
«Tra gli elettori di destra ci sono molti liberali convinti, un´infinità di
galantuomini. Guai a disprezzarli. Significherebbe spingerli a ripetere il loro
voto di cinque anni fa e significherebbe perdere un´altra volta. Dobbiamo far
capire loro che questa volta non si tratta soltanto di destra o di sinistra, ma
di salvare le istituzioni democratiche del paese. Ho alcuni ex compagni di
scuola che avevano sempre votato centrodestra e non perdonano a Berlusconi di
costringerli a votare a sinistra, come non avrebbero mai pensato di fare».
Prendiamo D´Alema, che stravince nel confronto televisivo con Fini, ma che
forse mai catturerà elettoralmente la casalinga di Voghera. E´ un fatto di
lessico, di cultura politica che viene vissuta da una parte dell´elettorato come
spocchia?
«Non mi riferisco a D´Alema, ma un conto è il doveroso sdegno per ciò cui
abbiamo assistito, un conto è il disprezzo per il popolo che ha votato
Berlusconi. Mi ricordo che da ragazzo a Trieste i miei avevano una domestica
condannata a vent´anni dal tribunale speciale fascista, comunista dura e pura.
Quando si parlava della famiglia di destra e perfettina che abitava al piano
superiore, lei diceva: “Quelli non hanno nessuna importanza”. Non li vedeva
neanche come soggetti politici. E io le dicevo: “Signora Maria, sbaglia”.
Berlusconi è riuscito a far sentire tutti soggetti. Non bisogna fare l´errore di
considerare chiusi alcuni serbatoi elettorali. L´altro errore è di ritenere di
avere già vinto».
Le sembra che il centrosinistra mostri troppo sicurezza?
«La partita si vince o si perde sull´ultima linea, le cose possono cambiare
in velocità. Gli elettori chiedono unità e compattezza. Occorre rassicurarli sul
fatto che certi deprecabili e irresponsabili litigi interni sono fatti sporadici
dovuti alla scarsa intelligenza di singoli individui».
Di individui di scarsa intelligenza ne circolano parecchi. Se vincerà,
Prodi riuscirà a reggere la leadership?
«Credo di sì, l´esperienza a qualcosa serve, tutti saranno costretti a
diventare realisti, compreso Bertinotti. Se si riuscisse a creare il Partito
Democratico sarebbe meglio. La coalizione dev´essere comunque capace di mostrare
la prima virtù politica, il senso e l´etica della responsabilità, che talvolta
può esigere di rinunciare a fare e dire tante cose che ci piacerebbe fare e
dire».
Non sarà facile, a cominciare dal ritiro dall´Iraq.
«La guerra in Iraq è stata un disastro. Ma l´opposizione va motivata
razionalmente, non emozionalmente. Non l´ovvio amore per la pace o un generico
pacifismo retorico, bensì un concreto realismo politico. Bisogna spiegare che la
guerra è stata avversata non tanto in nome di Gandhi quanto di Machiavelli, del
realismo politico, in quanto scelta disastrosa e pericolosa per il ruolo
dell´Occidente nel mondo. Allo stesso modo bisogna sfatare le ricattatorie
falsificazioni sulle critiche all´amministrazione Bush, fatte passare per
antiamericanismo».
Ma non si può negare una vena di antiamericanismo…
«Qualche ebete di sinistra non può avvalorare le falsificazioni. Non si
avversa un paese, ma si giudica la politica del suo governo in carica. Fra il
1933 e il 1945 la Germania di Hitler è stata il pericolo assoluto per l´umanità,
dopo il ‘45 la Repubblica Democratica Tedesca è stata un paese democratico; la
Russia di Stalin era un pericolo per il mondo, ma ora nessuno può accusare
Berlusconi di tradire l´Occidente per la sua amicizia, sebbene alquanto buffa,
per Putin».
Di ebeti ne circolano parecchi a destra e a sinistra, soprattutto su temi
come l´Islam e l´immigrazione.
«Occorre rassicurare il legittimo bisogno d´ordine dei cittadini,
affrontando le cose con cuore caldo e mente fredda. E, in più, occorre
archiviare ogni sciagurato sciovinismo nazionalista, con un forte e amoroso
senso dell´unità d´Italia».
Un´Italia federale, professor Magris?
«Ma non dissolta, come alcuni vaneggiano in maniera becera. Dante diceva
che a furia di bere l´acqua dell´Arno aveva imparato ad amare fortemente
Firenze, ma aggiungeva che la nostra patria è il mondo, come per i pesci il
mare».