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20 Aprile 2005

Un guerriero per sfidare la modernità

Autore: Ezio Mauro
Fonte: la Repubblica

È un Papa annunciato, Benedetto XVI, perché Joseph Ratzinger era l´unico cardinale di Santa Romana Chiesa ad essere entrato in Conclave con un pacchetto di voti già pronto sul suo nome. Quel pacchetto poteva disperdersi se fosse emersa nei primi due giorni un´altra candidatura forte, immediatamente capace di catturare consensi; oppure poteva crescere fino al quorum, all´applauso e al Te Deum del Sacro Collegio se alla terza, quarta votazione non avesse incontrato una sicura opposizione. Così è stato e ieri sera il nuovo Papa è apparso sulla Loggia, benedicente e sorridente, con i paramenti e le sacre insegne indossate da Karol Wojtyla per 27 anni, un regno lunghissimo che da oggi appartiene al passato.
Nel secondo Papa straniero della modernità, abbiamo visto subito una gestualità diversa, un tono differente. Si è mostrato al popolo dei fedeli, che la piazza San Pietro raccoglie e simboleggia, ma non si è dato alla folla. Poche parole, la retorica canonica dell´umiltà ma nessuna retorica popolare per accattivarsi i media e i fedeli. Quasi un tratto pacelliano, da Principe della Chiesa, più che wojtyliano.

Un Papa che alla sua prima comparsa non vuole essere personaggio. Nella convinzione, probabilmente, che il ruolo è tutto e non serve null´altro, perché, come disse una volta «è proprio del cristianesimo questo principio personalistico», questa «responsabilità personale del magistero universale», con un uomo «che succedendo a Pietro deve assumere una responsabilità personale ultima».
Divenuto Benedetto, il cardinal Ratzinger è sembrato più sicuro che preoccupato, se può valere la prima, breve impressione. Come se fosse preparato da tempo a questa eventualità suprema, lui che nel ‘77 fu in dubbio se accettare la nomina di Paolo VI a vescovo di Monaco e Frisinga, perché voleva insegnare, e nel 1981 pregò inutilmente il Papa di cambiare idea e di non chiamarlo in Curia come Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, perché voleva studiare e pubblicare. Probabilmente mentre camminava verso la Loggia dietro la Croce ha pensato che tutto si riunificava – il professore, il teologo, il pastore e il Prefetto del Sant´Uffizio – tenuto insieme da quel pensiero forte che lo aveva portato in Conclave come il capofila dei conservatori.
È vero che la biografia di Ratzinger è più contradditoria degli schemi con cui gli osservatori esterni hanno diviso il Conclave. Ma è certo che con la sua scelta i 115 cardinali non hanno voluto dare alla Chiesa quel «momento di respiro» di cui parlava pochi giorni fa uno degli uomini più vicini a Wojtyla: un Papa cioè di transizione (come si disse, sbagliando, quando si scelse Angelo Roncalli), fermo nella continuità wojtyliana, ma senza le continue, irriducibili sollecitazioni di Giovanni Paolo II, con un impegno forte per rimettere ordine nella Curia, via via abbandonata con il declino fisico del pontefice. Nello stesso tempo, non sono stati ascoltati nemmeno i moniti della parte più aperta della Chiesa, che come spiega Bernardo Valli aveva ammonito con le parole di Carlo Maria Martini a «non avere paura», ma in un senso più ampio: non relegare la Chiesa nella fortezza dogmatica come un mondo chiuso, angosciato da ciò che lo circonda. No, dunque, dopo la soluzione di transizione, anche ad un Papa di mediazione, una sorta di wojtylismo tiepido, che avrebbe chiamato in causa più di un candidato italiano.
Dopo una personalità fortissima, la Chiesa sente di aver bisogno di una personalità comunque forte, certamente marcata, dottrinariamente energica. Non è affatto escluso, anche se è impossibile saperlo, che questa fosse proprio l´opzione preferita da Giovanni Paolo II che incontrava il suo Prefetto in udienza ogni venerdì sera, parlando con lui in tedesco, e lo rivedeva ogni martedì insieme con altri, per discutere prima e durante il pranzo. Certo, da due mesi gli uomini di Giovanni Paolo II ripetevano questo schema possibile: la sfida della modernità impone un Papa filosofo o comunque dottrinario, possibilmente con esperienza accademica, e non soltanto pastore; i temi dominanti dell´etica, della bioetica, della sfida nichilista mettono al centro la modernità occidentale, e dunque non è tempo per un Papa del Terzo Mondo o latino-americano; in Occidente, non è ancora tempo di ritornare in Italia, perché ci sono poche personalità di spicco e molta confusione; dunque è probabile un Papa europeo, filosofo, preparato quasi professionalmente sui temi della morale contemporanea; un Papa, infine, che non impegni il pontificato per un orizzonte lungo come quello wojtyliano, ma in questo senso assicuri una transizione salda e sicura. Il candidato che raccoglie tutte queste condizioni, concludeva lo schema, c´è e si chiama Ratzinger.
Naturalmente i “profeti” e i membri del Collegio hanno votato il cardinal Ratzinger. Ora si trovano davanti Benedetto XVI, e non è semplice dire che Papa sarà. Ha impressionato molti, attirati dallo spettacolo liturgico e rituale dei Novendiali, l´omelia che il cardinale ha pronunciato come Decano all´apertura del conclave, quasi un manifesto programmatico contro la dittatura del relativismo, come quello abortito del cardinal Siri prima del conclave del ‘78: una «fede chiara» viene oggi giudicata «fondamentalismo», in tempi che «non riconoscono nulla come definitivo e lasciano come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie».
In realtà, questo è il nocciolo duro del pensiero di Ratzinger, ripetuto da anni. Provo a riassumerlo così: per il nuovo Papa la cultura oggi dominante non prevede la trascendenza, col risultato che Dio non conta nella condotta di vita degli uomini, in un disinteresse reciproco. «Di conseguenza anche la domanda sulla vita eterna non conta nulla» e la responsabilità dinanzi a Dio e al suo giudizio è sostituita dalla responsabilità dinanzi alla storia, all´umanità, all´opinione pubblica. Un giudizio con una forte critica alla Chiesa, che in questi anni «si è conformata al mondo» e ha prodotto cristiani «solo nel senso di appartenere ad una grossa organizzazione sapendo genericamente che esistono innumerevoli precetti morali e dogmi di difficile comprensione». Ma in questa Chiesa il vero fuoco, capace di infiammare non riesce a venir fuori «per la troppa cenere che gli si è accumulata sopra». Con uno schema inusuale tra i cardinali, Ratzinger da anni invita ad abbandonare ogni vecchia idea di chiesa di massa, perché nell´epoca nuova il cristianesimo «verrà a trovarsi nella situazione del seme di senape, in gruppi cioè di piccole dimensioni, apparentemente ininfluenti, che tuttavia vivono intensamente contro il male e portano nel mondo il bene, lasciando spazio a Dio».
Un´analisi che porta a critiche ancora più precise, e tutte di segno conservatore, come se le innovazioni della Chiesa, dopo Pio XII, fossero la causa del declino e della dittatura relativista. Le attese conciliari «non si sono compiute» anzi c´è oggi «un nuovo inverno della Chiesa», perché secondo Ratzinger i Padri volevano aggiornare la fede conservando tutta la sua forza, mentre invece si è formata l´idea «che la riforma consistesse semplicemente nel gettare la zavorra» col risultato che il Concilio non ha radicalizzato la fede, ma l´ha «annacquata». Da qui il giudizio che un Concilio Vaticano III sia inopportuno: «Non abbiamo ancora assimilato il secondo, un terzo non sarebbe la medicina giusta». Molto critico, il pensiero del nuovo Papa, anche sulle innovazioni liturgiche, nella convinzione che la crisi ecclesiale di oggi dipende in gran parte proprio dal crollo della liturgia, «che talvolta viene addirittura concepita etsi Deus non daretur», come se in essa non importasse più se Dio c´è e se ci parla e ci ascolta. Non mancano nostalgie e aperture per l´antico rito in latino, per reagire alla perdita di fascino e di sacralità della messa, mentre la dottrina è ferma e immobile sul celibato dei preti, l´ordinazione delle donne, gli anticoncezionali, l´aborto, il divorzio e il dogma dell´infallibilità del Papa.
Dietro questo pensiero c´è il pessimismo teologico tedesco del nuovo Papa, l´angoscia della sfida dei tempi, la convinzione che abbia ragione Lutero quando dice che l´uomo deve spaventarsi riguardo a se stesso, per giungere sulla retta via. C´è l´Apocalisse, con la visione della storia dell´umanità che ha un movimento circolare, orrori che nascono e declinano, ma per essere sostituiti da nuovi orrori, perché l´idea che le cose umane diventino migliori non trova sostegno nel cristianesimo di Ratzinger, anche se Dio naturalmente ha nelle sue mani il mondo. Una visione diversa da quella di Wojtyla, che ha operato nella storia del secolo e del continente, convinto che si potesse superare la frattura dell´Europa e l´orrore del comunismo, che pure era stato costruito per durare per sempre.
In Ratzinger c´è l´angoscia filosofica e cristiana per la dissoluzione della tradizione e dell´autenticità, e il cardinale vede il ghigno di Mefistofele dietro la degenerazione dell´avere e del piacere, con il rischio di una Chiesa conciliante, pronta ad allinearsi con l´opinione dominante, con i pastori che rischiano di trasformarsi «in cani muti che per evitare conflitti, lasciano che il veleno si diffonda». Il cardinale ricordava spesso un passo di San Paolo: «Verrà giorno in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma per il prurito di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie, rifiutando di dare ascolto alla verità per volgersi alle favole. Tu però vigila attentamente, compi la tua opera».
È un´angoscia che porta il papato pienamente dentro la modernità, ma lo arrocca su una posizione difensiva, assediata, forse spaventata. Non sono le sfide della destra e della sinistra interne alla Chiesa che preoccupano Ratzinger, che da Prefetto si è confrontato con Leonardo Boff e Marcel Lefebvre. È il nichilismo relativista, la cultura dominante del moderno, quel dio ritagliato da ognuno sincreticamente su misura dei propri bisogni e della propria disponibilità, un Dio comodo, personale, anche lui relativo. Qui Benedetto sarà probabilmente un Papa guerriero. E qui l´ansia di pensiero forte dei neo-con italiani, privi di una vera cultura di destra, potrebbe sceglierlo come leader, in un abuso pericoloso. A questi atei devoti pronti a strumentalizzare la fede altrui per dotarsi di un fondamento culturale che non sono capaci di costruirsi da soli, il cardinal Ratzinger ha già detto una volta che i precetti cristiani non vivono separati dalla fede, perché la fede «non è una teoria, ma un evento» e Dio stesso «non è un sistema di idee, ma una realtà e un´azione». Un Papa conservatore, dunque, come dicono tutti i segni, pronti ad essere smentiti da Benedetto XVI: ma probabilmente il meno adatto a lasciar trasformare il cristianesimo in una filosofia, una semplice cultura disanimata da gettare sul mercato politico italiano a fini di lucro.