Imargini per distinguersi, per ritagliarsi rendite polemiche, si sono assottigliati: per il governo e per i suoi avversari. Ieri sera, da palazzo Chigi è uscito un comunicato a suo modo storico. Tre righe per dire che l’Esecutivo, «convinto che al terrorismo si risponde con l’unità del Paese, ha promosso per domani un incontro con i rappresentanti dell’opposizione». E’ il segno di un’emergenza vera, sottolineata dal rapimento delle due donne italiane avvenute nel primo pomeriggio a Bagdad; ma anche la presa di coscienza che un’Italia divisa non ce la può fare. Si tratta della prima prova di unità nazionale fra il centrodestra di Silvio Berlusconi e un’opposizione che non gli ha mai perdonato nulla. Ma anche del primo effetto visibile di un ripensamento generale sui pericoli che l’eversione irachena pone al Paese. Da giorni, il centrosinistra invitava i settori più radicali a uscire dall’ambiguità sulla violenza. E ieri, dall’opposizione erano arrivati a palazzo Chigi avvertimenti a muoversi con accortezza, e insieme scomuniche verso qualunque indulgenza ideologica per i terroristi. Nella minoranza dei Ds, fra i Verdi e dentro Rc, sopravvive l’idea che l’eversione sia solo una risposta alla «guerra degli americani»; riaffiora la richiesta di ritirare le truppe italiane dall’Iraq, e di «fare come la Francia» con i suoi due giornalisti sequestrati. Ma ieri, queste parole sono apparse quasi d’ufficio. Trascurano il fatto che la mediazione francese non ha ancora prodotto risultati; e che Parigi è sotto scacco pur non avendo mandato truppe in Iraq. Ma l’elemento decisivo del ripensamento, forse, è che le donne rapite appartengono ad un’organizzazione di solidarietà: sono «compagne», nelle parole del diessino Chiti. Per questo, al governo è stato più facile appellarsi all’unità. «Non mi si venga più a parlare di resistenza irachena», ha tagliato corto il presidente della Camera, Pier Ferdinando Casini, alludendo a chi in passato ha giustificato attentati e perfino sequestri. «Non posso accettare che una parola così nobile venga usata per gruppi senza nessuna nobiltà». Insomma, anche l’Italia politica comincia a rendersi conto di essere un bersaglio, come anello debole della coalizione. La distinzione tra filoamericani e pacifisti è una sottigliezza euroitaliana, della quale i terroristi iracheni si fanno beffe. Di fronte al rischio di veder dilagare la «sindrome della resa», il tentativo è di ritrovare un minimo di appartenenza comune. Il governo sa che le polemiche sono in agguato, e che l’epilogo del rapimento non è nelle sue mani. E l’opposizione, forse, sta capendo che in gioco non è solo la sorte dell’odiato Berlusconi, ma del Paese.