Berlusconi ha scelto di morire democristiano. Pur di tirare a campare ancora per qualche mese, abbrancato alla poltrona, all´ultima e unica promessa mantenuta agli italiani: «Non vi libererete facilmente di me». Perché già la penultima, «non mi dimetterò mai», è andata a farsi benedire. L´uomo che solo lunedì non si sarebbe «mai piegato ai riti politicanti», nello spazio d´un mattino o due accetta di naufragare nel più grottesco dei voltafaccia, nel puro teatrino della politica, in antiche paludi che si chiamano dimissioni&rimpasto, rosa dei nomi, totoministri, verifica, orrido governo bis o balneare. Stavolta è suo il ruggito del coniglio. Berlusconi e non Follini appare come il vecchio democristiano di ritorno. Più ancora che la vendetta della prima repubblica sulla seconda, questa è la comica finale del berlusconismo. Solo l´altro giorno il premier ha regalato ai suoi falchi l´ultimo gesto titanico, le dimissioni negate con tanto di minacce agli alleati, l´ennesimo salto nel cerchio di fuoco destinato all´applauso della corte dei vari Ferrara e Fede. Appena il tempo per il cambio scena e d´abito e Berlusconi da oggi è già lì a distribuire sorrisi, pacche, barzellette e ministeri ai nemici mortali dell´Udc. E allora a che cosa è servita la recita incendiaria Soltanto a ingigantire la vittoria e la figura del nemico interno, Follini, e a ridurre a nani politici gli alleati più fedeli, Bossi e anche Fini.
La verità è che l´ultimo Berlusconi sbaglia tutte le mosse, almeno quanto le azzeccava il primo. È un contrappasso totale, quotidiano. La puntata di Ballarò del dopo elezioni era l´esatto contrappasso della discesa in campo del ‘93.
Il brontolio dimissionario con cui ieri al Senato Berlusconi ha stracciato il “contratto con gli italiani” è la risposta del tempo al radioso comizio d´insediamento nell´estate del 2001. Allora si celebrava l´inizio di un ipotetico ventennio («governeremo per molte legislature»), ora se va bene si tratta d´arrivare al panettone. Da neothatcheriano a vecchio doroteo in soli 1400 giorni.
Fra le due immagini passa il clamoroso fallimento del berlusconismo. Non solo nei risultati concreti, deludenti oltre l´immaginabile, con il peggior stallo economico dal dopoguerra, il declino incombente, l´impoverimento dei ceti medi e le grandi opere ridotte a una villona padronale e semiabusiva in Sardegna. Ancora più definitivo è il fallimento ideologico, culturale, nel linguaggio e nella rappresentazione del Paese.
L´idea arrogante di poter guidare la politica e la nazione come un´azienda, l´altra di riuscire a manipolare all´infinito con le televisioni un´opinione pubblica infantile. Alla prima seria rivolta di un alleato o due, i più piccoli per giunta, il mantello d´invulnerabilità del berlusconismo è scivolato a terra e il capo si ritrova ora a inseguire un compromesso qualsiasi, arrangiandosi con le povere risorse dell´eterno trasformismo.
Il marasma finale è evidente perfino nel linguaggio, nelle parole e nei gesti del Berlusconi dimissionario. Lo show di 11 minuti durante il quale il premier ha alternato scuse di fatto a minacce virtuali, la tardiva ammissione di sconfitta e la sicumera delle future immancabili vittorie, una concreta retromarcia di fronte alle divisioni nella maggioranza e la chimerica fuga in avanti verso il partito unico della destra, l´ossequio formale al Quirinale e il disprezzo per la Costituzione. Un guazzabuglio da stato confusionale che le fide Rai e Mediaset, con pietoso servilismo, si sono ben guardate dal mandare in diretta. Lo show s´è chiuso poi nel paradosso d´una maggioranza che applaude con entusiasmo le dimissioni del suo premier mentre l´opposizione medita in silenzio.
Su queste basi di partenza c´è da domandarsi a che cosa serva prolungare l´agonia d´un anno con un Berlusconi bis.
Tutto lascia prevedere un anno orribile, gravido di vendette, dispetti, regolamenti di conti. Fallito l´ultimo, Berlusconi cercherà altri colpi di scena. Com´è nella sua natura, tornerà a fare la voce del padrone appena sarà caduta in prescrizione anche la minaccia del voto anticipato. I centristi possono rispondere con altre crisi e crisette. Già ieri hanno fatto una piccola prova generale facendo mancare la maggioranza a un decreto governativo.
Una specie di Vietnam parlamentare attende un´Italia già stremata e impaurita dalla crisi. Le elezioni anticipate rappresentavano almeno una soluzione decente, forse l´ultimo dei tanti treni persi dal paese nei dieci anni buttati per inseguire uno strano sogno.