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21 Giugno 2005

Tra Ue in declino e crisi del Welfare

Autore: Alain Touraine
Fonte: la Repubblica
La domanda alla quale i francesi
hanno risposto non è stata in realtà: “Siete pro o contro il progetto
di Costituzione europea?”. La domanda è stata piuttosto percepita in un
altro modo: “Credete che si possa riformare l´edificio europeo in un
senso più sociale dall´interno o ritenete invece che sia dall´esterno
che si può esercitare una pressione positiva su di esso?”. La risposta
negativa che è stata data in massa non è segno d´opposizione
all´Europa, né è da intendersi diretta contro Jacques Chirac. La
risposta negativa dei francesi è stata dettata dalla percezione,
avvertita da una larga fetta della popolazione, che la compagine
europea significa sempre più delocalizzazione, concorrenza di Paesi con
bassi salari, inasprimento delle disuguaglianze, impennata della
disoccupazione.

Il voto negativo è stato più sociale che politico e più francese che
europeo e quanti come me erano e restano ad ogni costo partigiani del
“sì” devono riconoscere e capire l´intensità del rifiuto che è appena
stato espresso. Occorre dunque andare oltre la critica di un´evoluzione
sempre più liberale e sempre meno sociale dell´Europa. In effetti, a
essere condannata è stata l´impotenza dei partiti socialdemocratici e
in particolare del partito socialista francese. All´inizio
dell´edificazione europea la componente liberale e la componente
socialdemocratica apparivano parimenti importanti, ma a poco a poco
nell´ambito di un´economia globalizzata la prima si è rafforzata,
mentre la seconda s´è andata esaurendo. La commissione Barroso è già
molto lontana dalla commissione Delors, sebbene quest´ultima abbia
potuto avere il considerevole sostegno della Germania di Kohl.
Questo ci porta alla domanda cruciale: da dove nasce l´impotenza delle
sinistre europee? Tale impotenza è quanto mai evidente, considerato che
l´unico successo di quella che si chiama sinistra è di Blair, che s´è
avvicinato più che mai al liberalismo rispetto agli altri dirigenti
della sinistra europea. L´impotenza della sinistra è determinata dal
declino del welfare state. Doveva apportare sicurezza e l´ha apportata.
Doveva attenuare le disuguaglianze, ma non le ha attenuate. Anzi, il
suo peso è divenuto insopportabile nel momento stesso in cui lottava
sempre meno efficacemente contro la povertà, che va espandendosi per
l´arrivo di sempre nuovi immigrati, più facilmente clandestini, che
lavorano in condizioni molto peggiori di quelle dei lavoratori locali.
Il welfare state è diventato sempre più strumento di protezione delle
classi medie – e soprattutto di quelle che sono vicine allo Stato – che
strumento di lotta contro la povertà estrema. Tutto ciò, d´altronde,
conferisce al “no” un significato molto ambiguo. I dipendenti salariati
che in massa hanno votato “no” hanno inteso difendere legittimamente le
loro condizioni di lavoro e d´impiego. Ma la loro risposta è stata
contraddistinta da un protezionismo irrealistico e addirittura da uno
spirito xenofobo che ha avvicinato una buona parte di elettori
d´estrema sinistra a posizioni analoghe a quelle del Fronte nazionale
all´estrema destra.
Sostituire al welfare una politica thatcheriana è impossibile al
momento in un Paese come la Francia, ma la trasformazione della
politica sociale appare tanto più difficile se si pensa che è
l´elettorato socialista il principale difensore dell´attuale sistema
che si è deteriorato. Nessun partito socialista è stato in grado finora
di definire che cosa dovrebbe essere questo nuovo welfare state che non
può più continuare a essere solo una protezione economica dei
lavoratori, bensì deve coprire per tutta la popolazione tutto un
insieme di rischi, molti dei quali non sono più solo di natura
economica, ma sono da ricondurre altresì all´età avanzata,
all´emarginazione, alla difficoltà di convivenza di popolazioni e
culture diverse e così via.

Mezzo secolo fa il welfare non avrebbe potuto essere creato senza una
forte spinta dei sindacati che dalla fine della guerra l´hanno avuta
vinta su tutti gli ostacoli in Gran Bretagna o in Francia. In questo
periodo, invece, non esistono forze di pressione tali da imporre una
nuova politica sociale e pertanto tutto induce la sinistra
socialdemocratica a un atteggiamento di difesa, che si traduce in
assenza di programma e perfino in una mancanza di consapevolezza dei
cambiamenti che sarebbero necessari. Il caso della Francia è forse il
più lampante, perché la socialdemocrazia non ha mai avuto radici
profonde in questo paese, non più del liberalismo. Per molto tempo la
Francia è stata più gaullista e comunista che liberale e socialista. Da
qui la tendenza, così forte in molti francesi, a fare sempre più
appello allo Stato, cosa che non può che aggravare la discrepanza tra
gli obiettivi sociali e l´orientamento economico del mondo attuale, che
nessun governo nazionale è in grado di trasformare.
Il “no” francese significa che gli elettori non credono nella
possibilità di risanare dall´interno i costi che l´edificio europeo
comporta. Quali saranno le conseguenze di questo “no”? A livello
europeo si tratta d´una battuta d´arresto, ma che non può alterare
radicalmente l´orientamento europeo, che raccoglie un consenso
abbastanza vasto e che è altresì in accordo con l´evoluzione
dell´economia mondiale. Tuttavia, i francesi saranno meno isolati di
quel che si pensa e ciò potrà provocare una crisi interna
nell´organizzazione europea, ma non se ne devono esagerare le possibili
conseguenze.
In Francia, invece, le conseguenze di questo voto saranno enormi e
almeno in parte imprevedibili. Una cosa è certa: i sostenitori del “sì”
che sono al potere non possono più mantenere il loro potere. Chirac è
stato sconfessato con tale impeto che egli non sarà più in grado di
esercitare il suo potere nei due anni che gli restano prima delle
prossime consultazioni elettorali. Alcuni hanno chiesto le sue
dimissioni. È improbabile che egli accetti di rassegnarle, e cercherà
pertanto di limitarsi a un cambiamento di governo. Ma la vittoria del
“no” è anche la vittoria del liberale estremista Sarkozy contro l´uomo
di centrodestra che è Chirac, sempre alla ricerca di formule di
compromesso pur facendo un politica molto meno originale di quella che
va proclamando.

La situazione, del resto, non è certo migliore nel partito socialista
che non ha la capacità di dar vita a una soluzione alternativa. Al
contrario Fabius, che ha mantenuto il silenzio, molto probabilmente
cercherà di creare un nuovo mitterandismo, ovvero di chiamare
all´adunata tutta la sinistra in un clima abbastanza moderato e
controllato, per non allontanare gli elettori di centro che hanno
sempre costituito una parte considerevole dell´elettorato socialista e
in particolare dei suoi stessi simpatizzanti. A rendere questo
tentativo quanto mai importante è il fatto che le ultime elezioni
regionali, cantonali ed europee hanno mostrato che la Francia era
nettamente a sinistra, forse nella stessa misura dell´Italia. Esiste
pertanto una forte domanda d´inversione della situazione politica
attuale in occasione della prossima elezione presidenziale o forse
prima ancora. Questa soluzione neomitterandiana a prima vista pare
avere poche possibilità di riuscita, ma lo choc prodotto dal referendum
è tale che ci si deve aspettare l´affermarsi d´un movimento a favore
d´una tale soluzione. Ciò non toglie che la cosa più probabile è che il
voto francese resista male alle pressioni reali, come del resto, e
soprattutto, all´importanza che l´edificio europeo riveste per la
Francia come per tutti gli altri paesi.
Sarà difficile per la sinistra proporre delle soluzioni che trasformino
l´eccezione francese in un isolamento della Francia, per la quale
isolarsi sarebbe catastrofico. È necessario che la Francia non si
imbarchi in una rottura con la compagine europea, né che dimentichi le
proprie responsabilità nella situazione sociale che ha provocato lo
sconvolgimento del referendum. Responsabili del loro stesso smacco sono
la sinistra francese moderata e il presidente della Repubblica. Questa
sinistra è oggi in uno stato di crisi così profondo che si può
fondatamente parlare di disfacimento. È difficile immaginare come
questa sinistra possa rimettersi in piedi, indipendentemente
dall´ipotesi qui avanzata d´un neomitterandismo, che ci riporterebbe al
periodo anteriore all´81, senza però avere la medesima forza. Occorre
ammettere l´importanza del voto negativo dei francesi, ma occorre ancor
più interrogarsi sulla capacità dei francesi di risolvere la loro crisi.

Traduzione di Anna Bissanti