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31 Marzo 2006

Tra insulti e menzogne

Autore: Massimo Giannini
Fonte: la Repubblica
Alla fiera delle tasse non sempre vince chi la spara più grossa. Il
Cavaliere che ha trionfato nel 2001 scimmiottando Bush il Vecchio e promettendo
meno tasse per tutti, oggi, è l´ultimo che può dare lezioni. Berlusconi mente
quando dice che ha risanato i conti, visto che la Trimestrale di cassa conferma
lo sfondamento del deficit di altri 4 miliardi di euro (dal 3,5 al 3,8% del
Pil). Mente quando dice che il suo governo ha ridotto la pressione fiscale dal
45 al 40,6%. In realtà tra il 2001 e il 2006 è diminuita solo dello 0,7% (dal
41,3 al 40,6%) e negli ultimi due anni, al netto dei condoni, è addirittura
aumentata (dal 40 al 40,5%). Mente quando dice che oggi sono oltre 10 milioni i
contribuenti in più che non devono fare la denuncia dei redditi, mentre in base
alla combinazione no tax area/deduzioni sui carichi familiari la quota di
cittadini esenti è ferma a 4,3 milioni. Ora Prodi alza i toni, e accusa i
mestatori del centrodestra con una parola grossa: delinquenti. Ma in tutta
onestà, la performance del centrosinistra sullo stesso tema, in questi ultimi
giorni, è quasi surreale. A sentire i tanti, troppi leader che discettano quasi
sempre a sproposito di tassazione delle plusvalenze e di revisione degli estimi,
sembra di riascoltare l´immaginifico motto di Leo Longanesi: il contrario di
quello che penso mi seduce come un mondo favoloso.
Se il Polo pecca per “delinquenza politica”, l´Unione difetta per
“incoerenza mediatica”. Il centrosinistra aveva impiegato quasi dieci anni per
liberarsi di un pregiudizio vero ma un po´ ingeneroso: quello di rappresentare
il “partito delle tasse”. All´avvio di questa campagna elettorale, Prodi era
riuscito a fare la prima mossa, e a farla giusta: l´annunciato taglio di 5 punti
del cuneo contributivo ha spiazzato i liberisti alle vongole della Cdl e, forse
per la prima volta da qualche anno a questa parte, ha costretto il Cavaliere a
inseguire. Il Professore ha avuto in mano l´agenda del confronto politico per
diversi giorni, accumulando un discreto start up di credibilità politica e di
attrattività elettorale. Ma in pochi giorni, questo “capitale” rischia la più
autolesionistica delle dissipazioni.
Già a partire del primo faccia a faccia in tv con Berlusconi, il leader
dell´Unione è apparso un po´ evasivo sulla copertura finanziaria: 10 miliardi di
euro non sono uno scherzo, per un bilancio pubblico anelastico come quello
italiano. Da quel 14 marzo in poi si è innescato un pericoloso cortocircuito. Si
è parlato di tassazione delle rendite. Prima le rendite immobiliari: così si è
aperto lo spinoso capitolo dell´aggiornamento degli estimi catastali, che
preoccupa svariati milioni di possessori di prime e seconde case. Poi le rendite
finanziarie: così si è sfruculiato il nervo scoperto della rimodulazione delle
imposte tra i titoli di Stato e i depositi bancari, che viola l´antico tabù
della “tassazione dei Bot”, ormai poco più che simbolico per tante famiglie
(subirebbero un aggravio fiscale di appena 25 euro l´anno) ma pur sempre
evocativo di nuove stangate e di vecchie patrimoniali.
Infine si è rilanciata l´imposta di successione, che in uno stato etico
come gli Stati Uniti (nonostante le riforme “classiste” di Bush il Giovane)
viene considerato fin dai tempi dei costituenti di Filadelfia un “pilastro” del
patto tra le generazioni, mentre in un paese cinico come l´Italia viene vissuto
come uno “scippo”. E non a torto, se si prendesse per buona l´ultima sortita di
Bertinotti: colpire l´asse ereditario da un tetto fissato ad appena 180 mila
euro (come piacerebbe al leader di Rifondazione) significa mettere le mani in
tasca a più del 40% dei contribuenti. Altro che pauperismo: siamo al
masochismo.
Su questa “matematica sbronza” dell´Unione (per usare una formula efficace
di Paul Krugman applicata alla riforma fiscale dei repubblicani americani) il
Polo ha banchettato e banchetta da giorni. Il centrosinistra non riesce a dire
una cosa semplicissima: non stangheremo mai nessuno, ma salveremo sempre
l´einaudiana funzione morale dell´imposta e la sua consustanzialità a un sistema
di protezione sociale, solidale e universale. Il centrodestra riesce a
rilanciare un clichè falso ma insidioso, se è vero che oggi come agli albori di
tutte le democrazie occidentali moderne gli elettori votano con la mano sul
portafoglio: sono sempre i soliti, sono i Dracula che presiedono l´Avis, sono i
truci esattori che pensano solo a ingrassare lo Stato-Leviatano di Hobbes.
Prodi, a poco più di una settimana dalle elezioni, ha la competenza e
l´intelligenza per interrompere subito questa subdola spirale, alimentata dagli
avversari, ma autoprodotta dagli alleati. Può e deve farlo non con gli
improperi, ma con un progetto di politica fiscale chiaro sul piano tecnico,
condiviso sul piano politico e possibilmente non punitivo sul piano sociale. Il
Cavaliere, soprattutto in questo decadente scenario di fine regime, ci ha
abituati all´insulto e allo sberleffo, alla gazzarra e alla mattana. Ma il
Professore, se vuole davvero rappresentare il modello alternativo della “serietà
al governo”, non può cadere nei tranelli dell´avversario. Anche perché,
soprattutto in Italia e soprattutto a dieci giorni dal voto, rischia sempre di
valere una nota parafrasi della legge di Murphy: se qualcosa può andare a
destra, lo farà.