PARIGI – Finis Europae L’Europa muore Si è divisa la sinistra sul referendum, si dividono due intellettuali capofila della Gauche (e buoni amici tra loro) sull’interpretazione del futuro. Alain Touraine, il più noto sociologo di Francia, direttore dell’ École des Hauts Études in scienze sociali, sostenitore del sì: «La costruzione dell’Europa istituzionale continuerà.
Anche se l’Olanda dice no e la Gran Bretagna rinuncia al referendum, i premier riprenderanno i negoziati, tratteranno aggiustamenti, ripeteranno scene già viste. Ma la costruzione dell’Europa politica è troncata sul nascere. Lo iato tra tecnocrazia e democrazia si allargherà, la separazione tra istituzioni e popolo sarà ancora più netta. E i governi, senza il freno di regole comuni, saranno sospinti più di oggi sulla via del liberalismo, che i sostenitori del no intendevano rigettare».
Max Gallo, storico, già ministro e portavoce di Mitterrand, biografo di Napoleone, romanziere di successo, vede nel no l’occasione di un riscatto: «Il referendum non ha mandato in crisi l’Europa. E’ il risultato della crisi dell’Europa. La Costituzione intendeva imprigionare il futuro nel passato, mettere ordine in cinquant’anni di trattati, raffigurare il mondo come se fosse quello del 1957, diviso in due blocchi: non a caso a scriverla è stato chiamato Giscard.
Ma il crollo dell’Urss ha aperto l’era della riscoperta delle nazioni; a Est, e non solo. Ho letto gli editoriali di Sergio Romano e di Angelo Panebianco sul Corriere , e sono d’accordo: la bocciatura della Costituzione è anche il prezzo dell’arroganza con cui le élites europee hanno preteso di ingessare il continente. Meglio così: salterà la gabbia del patto di stabilità. E l’Europa diventerà come l’Onu, appena un poco più strutturata».
Su un punto Touraine e Gallo concordano: la Francia ha votato contro l’establishment. «Parigi e Lione sono in massa per il sì, la campagna è per il no. La Costituzione passa nei quartieri dei ricchi e viene respinta in quelli popolari», annota il sociologo. «Il 91 dei parlamentari aveva approvato le modifiche costituzionali necessarie ad adottare la Carta europea.
Le Monde des Spectacles ha passato in rassegna attori e registi, da Depardieu a Chereau, tutti a dire “oui”. Era per il sì ogni editorialista di ogni giornale; e alcuni, come Serge July su Libération e Jean Daniel sul Nouvel Observateur , hanno partecipato di quell’arroganza pagata così cara. Come se il popolo fosse composto da imbecilli», osserva lo storico.
Ma Touraine ne trae motivo di preoccupazione: «Questo è un voto di paura. Paura dell’allargamento e della disoccupazione. Sfiducia nella capacità della sinistra socialdemocratica di tener testa alla tecnocrazia liberista. Il centrismo di Blair, le difficoltà di Schröder, le divisioni del Ps hanno indotto gli elettori socialisti a votare incidentalmente come Le Pen». La commistione rosso-bruna spaventa «No, è stato un no in prevalenza di sinistra. Con il risultato che da voi in Italia è la sinistra a trovarsi in difficoltà, ed è la destra di Berlusconi e Bossi a esultare».
Gallo, che è di origine piemontese, sull’Italia ha un’altra opinione: «A parte che a destra è sconfitto Fini – che peraltro ho conosciuto a Strasburgo e mi ha fatto una buona impressione -, l’Italia paga ora un’antica illusione. Per decenni ha creduto che l’Europa potesse risolvere i suoi problemi, che la cattiva gestione degli affari interni fosse emendata da Bruxelles.
Non a caso erano per il sì pure Cossutta e Toni Negri. Ma le premesse sono sbagliate. Il Sud ad esempio non è certo decollato con gli aiuti europei». «L’Italia ha sofferto l’euro perché non è più potuta ricorrere alle svalutazioni competitive – fa notare Touraine -. L’ impasse dell’Europa vi mette di fronte alla realtà, e può in effetti essere un bene, se vi costringe alle riforme necessarie.
L’Italia ha con l’Europa una relazione affettiva che la Francia non ha; e da sempre si confronta con uno Stato debole e una società molto vitale. In Francia accade il contrario: una società debole ha avuto paura di perdere uno Stato forte. E vi si è rifugiata come in una fortezza».
Il peso politico dell’Europa è destinato a diminuire I francesi, nell’interpretazione di Touraine, hanno valutato che l’allargamento indebolisca l’Unione; «ma così finiscono per esporla ancora di più all’influenza degli Stati Uniti». Ma Gallo: «Il peso dell’Europa è al momento virtuale.
La firma della Costituzione non ha certo impedito ai vari Paesi di seguire i loro antichi istinti, che sulla questione irachena hanno portato Madrid, Lisbona e la stessa Roma a schierarsi con Londra. Ora si aprono grandi spazi per gli accordi tra singoli governi. Un’intesa reale tra due grandi Paesi europei peserà di fronte a Washington più di un’intesa formale a 25, a 27, a 30».
La riunificazione della sinistra non è per domani, sostiene Touraine: «Il no da una parte rafforza la deriva liberista, dall’altra esprime venature di protezionismo, populismo, spirito xenofobo, che sono sempre in agguato e sempre mi fanno paura. Anche perché fatico a vedere all’orizzonte un “rassembleur”, un unificatore che sulle orme di Mitterrand possa fare dell’opposizione un movimento politico e condurlo al potere».
Gallo crede invece che il modello francese possa trovare un difensore in Laurent Fabius: «So che la sua investitura nel campo socialista non sarà facile. Ma se nel Ps prevarrà un liberale come Strauss-Kahn, la gente voterà direttamente Sarkozy.
E se si tornasse a Jospin, allora il voto di protesta premierebbe ancora Le Pen. Fabius, considerato un uomo della destra del partito, è stato capace di un’attitudine senza cui non si diventa presidenti della Repubblica: la trasgressione.
Trasgredì Giscard dal gaullismo, trasgredì Mitterrand portando al governo i comunisti». Nostalgia «Mitterrand non fu un grande statista. Troppo opportunista. Ma è il più grande politico che abbiamo mai avuto».
E Chirac Touraine: «Sarebbe sbagliato condannarlo per aver voluto sentire l’opinione dei francesi. Un anno fa pareva che il sì dovesse vincere facilmente». Gallo: «Dietro il no all’Europa c’è anche il no di Chirac alla guerra in Iraq, che ha risvegliato la fierezza nazionale. Oggi Chirac è abile a tenere nello stesso governo Villepin e Sarkozy, a riunificare – all’apparenza – il suo campo. Ma ha perso la sua empatia con il popolo. Non sente più la Francia. Non sarà lui il candidato della destra. E’ finito».