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18 Novembre 2004

Tecnici e politici

Autore: Francesco Giavazzi
Fonte: Corriere della Sera

Incapace da mesi di compiere delle scelte in materia di tasse e di spesa, il governo cerca di convincerci che la colpa è dell’Europa e dei mercati, che avrebbero sottratto al Parlamento il suo potere più incisivo, tassare i cittadini e spendere il denaro pubblico. E quando questo non basta, se la prende con i cosiddetti «tecnici» il ministro dell’Economia e il Ragioniere generale dello Stato, accusati di non avere una visione abbastanza creativa dell’aritmetica. Sono evidentemente errori gravi.
Berlusconi lamenta i vincoli che l’euro impone al bilancio pubblico, ma non si chiede quale sarebbe in questi giorni il livello dei nostri tassi di interesse se fossimo fuori dall’unione monetaria. È impaziente quando il ministro dell’Economia gli ricorda che è necessario rassicurare le agenzie di rating, e sembra dimenticare che metà dei nostri titoli pubblici è detenuta all’estero. La capacità del Tesoro di rifinanziare, mese dopo mese, una quantità di debito che è superiore al reddito nazionale dipende dalla percezione che dell’Italia hanno i grandi investitori internazionali, i quali non sono gnomi cattivi, ma persone pagate per proteggere i risparmi delle famiglie. Dove sarebbero i nostri tassi di interesse se quegli investitori scomparissero? Il ministro dell’Economia e il Ragioniere generale dello Stato potranno apparire noiosi, come noiosa è talvolta l’aritmetica, ma il loro compito (ingrato) è tenere aperti ai titoli del Tesoro i mercati internazionali, facendosi garanti dei nostri conti pubblici. Ma soprattutto non è vero che i vincoli europei abbiano sottratto al Parlamento il suo potere maggiore, il controllo della politica fiscale. L’euro non ha ridotto la discrezionalità della politica sull’allocazione del bilancio pubblico — cioè su quanto e come spendere e quanto tassare — e ha ampliato, non ristretto, le risorse finanziarie a disposizione. Oggi gli interessi sul debito pubblico assorbono il 5 per cento del reddito che il Paese produce: fuori dall’euro ed esclusi dai mercati internazionali, quella cifra sarebbe molto più elevata, e di altrettanto si ridurrebbero le risorse disponibili per investire.
Da mesi il ministro dell’Economia illustra ai suoi colleghi il ventaglio delle scelte possibili, che non è illimitato ma lascia comunque alla politica ampia discrezionalità. Si può approvare una legge finanziaria sostanzialmente neutrale, che si limita a contenere la crescita delle spese entro limiti coerenti con la crescita dell’economia. Oppure si può essere più ambiziosi e puntare ad una riduzione della pressione fiscale. In questo caso si possono percorrere due vie: compensare il minor gettito riducendo alcune spese, oppure modificare l’allocazione del prelievo fiscale, tassando di meno i redditi da lavoro e di più le rendite finanziarie e immobiliari. Si tratta, evidentemente, di scelte che competono alla politica perché favoriscono alcuni a scapito di altri e interessi diversi hanno diverse rappresentanze politiche.
La verità è che il governo è ricorso all’alibi dei «tecnici ottusi» non perché stretto entro vincoli impossibili, ma semplicemente perché non ha il coraggio di compiere le scelte per le quali è stato eletto.