L’ipotesi della resa dei conti è poco verosimile. Nessuno ha la forza e la voglia di rompere con Romano Prodi: tanto più nell’incontro della «sua» Margherita in programma oggi. Ma questo non significa che un eventuale compromesso archivi le divergenze fra il candidato del centrosinistra a palazzo Chigi, e una formazione nella quale Francesco Rutelli appare tutt’altro che isolato. Il rischio è quello di stipulare una tregua interna effimera. I contrasti non riguardano le elezioni primarie sulle quali insiste il presidente uscente della Commissione europea: la sfida è più generale. Il disaccordo tocca la questione della leadership prodiana; e il modo in cui il Professore tende ad esercitarla. Il suo patto di ferro con i vertici diessini, Piero Fassino e Massimo D’Alema in testa, viene ritenuto inevitabile. Ma nelle file rutelliane si percepisce il timore di un asse costruito alle spalle e sulla testa della Margherita; e così pesante nella connotazione di sinistra, da sancire l’irrilevanza politica della componente centrista dell’opposizione. Non solo. La volontà di Prodi di arrivare ad una selezione dei candidati per le regionali del 2005 senza ingerenze di partito, è vista con fastidio: come la tendenza ad un comando troppo solitario.
La tentazione larvata sembra invece quella di un ridimensionamento del prodismo carismatico. E’ indicativo che il Professore venga spinto da Rutelli a farsi eleggere subito in Parlamento, invece di passare un anno e mezzo nel limbo della candidatura a palazzo Chigi: il prossimo voto suppletivo è considerato l’occasione giusta. Ma soprattutto, colpisce il modo in cui Marco Follini, segretario dell’Udc, plaude al leader della Margherita. E coglie quanto sta accadendo nel centrosinistra nei confronti di Prodi come una dinamica virtuosa, comune ai due schieramenti.
«La moda dell’uomo solo al comando passerà anche da quelle parti», sostiene Follini parlando di Ulivo, ma alludendo a Berlusconi e facendo irritare FI. Sembra quasi un gioco di sponda fra maggioranza e opposizione; fra quanti, nelle due alleanze, accarezzano il sogno di un «salto generazionale» che escluda dalla corsa a palazzo Chigi nel 2006 sia Berlusconi, sia Prodi. L’insistenza sulle primarie punta a evitare equivoci, sebbene finora nessuno abbia ipotizzato un’altra candidatura. Dobbiamo offrire «un governo concorde che duri cinque anni: questo è il mio obiettivo», ha ripetuto Prodi ieri da Camaldoli. «Smontiamo i temi personali».
In apparenza, nessuno contesta la sua impostazione. Lo stesso Fausto Bertinotti conferma che è lui «il candidato più accettato»; ma aggiunge un «per ora» che potrebbe essere una cautela d’ufficio, o l’indizio di una situazione in fieri . La legittimazione che si sta conquistando con la prudenza sugli ostaggi rapiti in Iraq, accredita il segretario di Rc come interlocutore obbligato; ma non è chiaro con quali contraccolpi nel centrosinistra. In caso di primarie, si sa, Bertinotti si candiderà contro Prodi. Sulla carta, è solo una sfida di bandiera; di fatto, un segno che Rc preferirebbe un altro leader.