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3 Ottobre 2006

Subito il Manifesto Fondativo o il nuovo Ulivo non nasce

Autore: Luigi Contu
Fonte: la Repubblica

Roma – “Leggo e ascolto parole che spesso condivido nel contenuto, ma pronunciate con un accento che mi inquieta, parole che mentre dicono di essere guidate dal futuro sono segnate dalla tentazione e dalla nostalgia del passato. Parole che rischiano di riportarci indietro, di allontanarci giorno dopo giorno dalla realizzazione di quel progetto del quale abbiamo bisogno come del pane: la fondazione del partito democratico. Senza uno scatto in avanti il naufragio assicurato.”. Arturo Parisi in viaggio per la Finlandia, dove partecipa al vertice dei ministri della Difesa europei. In questi mesi di crisi internazionale la sua attenzione stata concentrata sul ruolo dell’Italia in medio Oriente, sulla pianificazione della nostra partecipazione al contingente di pace. Ma non ha mai smesso di seguire il dibattito sulla nascita del nuovo partito, quel partito che tra i primi in Italia il professore di Bologna ha indicato come lo sbocco inevitabile dell’Ulivo.

Ministro Parisi, che sta accadendo? Nel fine settimana gli stati maggiori del’Ulivo si riuniranno ad Orvieto per fare entrare nel vivo la costruzione del nuovo partito. Eppure i segnali che arrivano dall’interno dei partiti che dovrebbero essere il motore dell’iniziativa non sono proprio incoraggianti.
“Temevo che si arrivasse ad Orvieto condizionati dalle discussioni interne ai partiti, dalle resistenze, comprensibili e prevedibili, delle strutture e delle gerarchie. Purtroppo, guardando ai fatti degli ultimi giorni, devo constatare che il quadro ancor più sconfortante.”.

A che si riferisce?
“A casa ho ricevuto l’invito a partecipare al convegno organizzato dagli ex popolari a Chianciano, in una busta ancora intestata “Direzione nazionale del Ppi”. Ho pensato ad un errore, magari al riciclo di vecchio materiale. Ma l’andamento di quel dibattito ha confermato che la riesumazione sulla carta di quell’organismo era appunto un lapsus rivelatore. Con la loro iniziativa, una iniziativa che fa seguito ad altre dello stesso segno, gli amici popolari sembrano aver deciso di mettere tra parentesi sei anni di cammino sotto il segno della Margherita, senza preoccuparsi del fatto che in questo modo ne dichiaravano il fallimento. A sei anni dall’ottobre del 2000, quando appunto decidemmo di iniziare il cammino, un lasso di tempo più o meno equivalente a quello speso sotto il segno del Ppi, la maggioranza del partito, non la maggioranza degli elettori che, grazie alla fine dei partiti preesistenti, avevano fondato la Margherita mescolandosi nel 2001 nelle urne a prescindere dalle provenienze, dice agli altri che quella fase finita. Se proprio dobbiamo entrare nel Partito Democratico, nel nuovo partito ci entriamo con le nostre bandiere, spiegandole finalmente al vento dopo averle tenute troppo a lungo nel bagagliaio. Non bandiere del Ppi, non bandiere democristiane, che pochi dicono di voler far rivivere, ma bandiere cattoliche, ancorchè democratiche, bandiere che spendono di nuovo e immediatamente nella politica una appartenenza e un nome religioso. Senza rendersi conto che distinzione religiosa chiama distinzione religiosa, comunque essa accetti di denominarsi. Proprio quello di cui il Paese ha bisogno! Dopo aver evitato che il bipolarismo italiano si costruisse come un bipolarismo confessionale, come uno scontro tra guelfi e ghibellini, eccoci di nuovo alla casella di partenza. Nel partito che vorremmo nuovo, divisi secondo una distinzione che dovrebbe attraversare il cuore e tutte le nostre fibre, ma mai contrapporre fratello a fratello, cittadino a cittadino. E poi tutto questo perchè? Meglio un partito federatore a viso aperto di partiti, un partito spartitore di convenienze, piuttosto che un partito che federa partiti che si fingono culture. Culture trattate come territori di geografie con confini precisi, organizzazioni gerarchiche, e non invece principi di sintesi che attraversano ognuno di noi spingendo continuamente a nuove sintesi.”

Gli ex popolari sostengono che il confronto interno non stato sufficientemente approfondito…
“Capisco che l’insostenibile leggerezza di gran parte del pensiero politico di oggi può far dimenticare quale fosse la realtà quotidiana che stava dietro la forza del linguaggio politico del quale cresce ora la nostalgia. E condivido anche il fastidio per le false unanimità che hanno salutato i documenti che negli scorsi anni hanno segnato spesso il nostro cammino politico. Ma non riesco ad accettare che la critica venga da chi quei documenti approvava in assemblea per poi criticarli nei corridoi. Mentre altri accettavano il peso di dar vita alla luce del sole ad un confronto politico, in nome di idee che pur proprie era spese per il bene di tutti. E lo dico rivendicando la fatica degli ulivisti, ma anche riconoscendo chi, come De Mita, opponendosi all’unanimismo di facciata da posizioni radicalmente diverse dalle nostre ha reso serie le decisioni comuni prendendole sul serio con la sua opposizione.”.

Ministro, non sarà che tutti questi problemi sono il risultato di un dibattito asfittico, autoreferenziale, che fino ad ora non ha coinvolto il popolo dell’Ulivo?
“E’ così, non c’è dubbio. Purtroppo non abbiamo ancora cominciato a parlare del progetto, dell’idea che abbiamo di questa nuova creatura. Fino ad oggi la discussione è ferma, inchiodata a questioni che guardano al passato e che vengono sfruttate per frenare, per sostenere che gli ostacoli sono insormontabili. Penso ad esempio al tema della collocazione internazionale”.

Che pure rappresenta un bel macigno. I Ds fermi nell’indicare nel Pse la casa in cui dovrà collocarsi il nuovo partito in Europa, la Margherita che non ne vuole sapere.
“Se si parte dall’appartenenza e non dalla politica non si arriva da nessuna parte. E difficiele non vedere in queste rigidità un aspetto strumentale: è come se una coppia subordinasse la decisione di sposarsi alla scelta dell’abitazione, dalla decisione di andare ad abitare dai tuoi o dai miei, invece di far derivare questa scelta dall’amore e dalla passione. La realtà è che, dopo undici anni di fidanzamento, quello che ci chiedono gli elettori non è un semplice matrimonio combinato, un matrimonio d’interesse: se non c’è amore il progetto è destinato a fallire. Fermiamo quindi questa discussione estenuante. Quando avremo fondato il partito democratico, il partito dell’Ulivo e stabilito quindi chi siamo e dove vogliamo portare l’Italia riusciremo sicuramente a decidere dove sederci al Parlamento europeo e dove collocarci sul piano internazionale”.

E da cosa dovrebbe partire, o meglio ripartire, la discussione?
“In primo luogo è necessario chiarire che stiamo parlando di un partito nuovo. E sottolineo l’importanza dell’aggettivo. Nuovo deve essere fondato su di una adesione rinnovata, personale, come personale e diretta deve essere la partecipazione alla sua vita dei cittadini interessati alla sua nascita. Ciascuno si deve sentire impegnato alla costruzione di questa casa prima ancora come sostenitore dell’Ulivo che come aderente a questa o quella formazione. Solo così si puo’ immaginare di aprire il dibattito a tutti, a coloro che militano nei partiti che rappresentano il motore dell’ iniziativa, a chi appartiene ad altre forze politiche ma anche a chi non si riconosce in alcuno di tutti questi soggetti. Con le primarie abbiamo misurato quanta sia la distanza tra la domanda di partecipazione e gli elenchi degli iscritti ai singoli partiti. Questi cittadini, questi cittadini attivi devono essere coinvolti nel confronto, altrimenti ci ritroveremmo con una semplice somma di partiti, in cui ciascuno porta le bandiere del passato, senza guardare al futuro. Si guardi al percorso che ha portato i Ds da Pci al partito attualde, si guardi al percorso che abbiamo fatto nella Margherita, un partito nato dall’incontro di partiti che hanno deciso di mettersi in discussione: e lo dico pensando ai nostri successi ma anche agli insuncessi che ho appena denunciato, Per ripetere i primi ed evitare i secondi.

Sta dicendo a Fassino e Rutelli di fare la stessa cosa.
“Certamente. Per questo i due principali partiti dell’Ulivo stanno entrando nella fase congressuale. Mi auguro soltanto che questi appuntamenti siano rivolti appunto al futuro, alla discussione sul nuovo partito e non alle distinzioni del passato. Capisco che non è un percorso facile, ma ci vuole coraggio. E io sono fermamente convinto che il cammino che abbiamo intrapreso quasi dodici anni fa possa proseguire. nella giusta direzione. Magari rallentando un po’ rispetto ai tempi che avevamo ipotizzato. Ma di fronte ad un progetto così ambizioso dobbiamo sapere attendere esercitando la virtù della pazienza. L’unica certezza è che non possiamo permetterci di restare in mezzo al guado con il rischio che i dubbi sul matrimonio facciano saltare anche il fidanzamento. Dobbiamo tradurre l’unità che è
cresciuta tra noi in questi undici anni in una forma stabile a tempo indeterminato. è un traguardo realizzabile, perchè se guardiamo ai problemi reali della società sono molti di più i punti che ci uniscono che non quello che ci allontanano”.

Questo è il percorso che lei individua. E il progetto? Su cosa si deve fondare?
“E’ su questo che dovremo cominciare a ragionare ad Orvieto. Dobbiamo partire dalle esigenze del paese, indicare agli elettori la direzione che vogliamo imprimere allo sviluppo della società, spiegare quale un’idea di cambiamento, quale progetto di società c’è dietro il programma che guida l’azione di governo, il progetto che il partito Democratico vuole declinare. Come ho proposto all’indomani delle primarie con Amato penso ad un manifesto che indichi questa strada e che venga sottoposto al giudizio dei nostri elettori: quel voto sarà l’atto di adesione al nuovo soggetto e coloro che sottoscriveranno quel documento saranno i protagonisti della vita democratica del nuovo partito”.