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14 Maggio 2008

Su Schifani ho raccontato solo fatti

Autore: Marco Travaglio

Caro direttore, ringrazio D’Avanzo per la lezione di giornalismo che mi ha impartito su Repubblica di ieri. Si impara sempre qualcosa, nella vita.

Ma,
per quanto mi riguarda, temo di essere ormai irrecuperabile, avendo
lavorato per cattivi maestri come Montanelli, Biagi, Rinaldi, Furio
Colombo e altri. I quali, evidentemente, non mi ritenevano un pubblico
mentitore, un truccatore di carte che “bluffa”, “avvelena il
metabolismo sociale” e “indebolisce le istituzioni”, un manipolatore di
lettori “inconsapevoli”, quale invece mi ritiene D’Avanzo. Sabato sera
sono stato invitato a “Che tempo che fa” per presentare il mio ultimo
libro, “Se li conosci li eviti”, scritto con Peter Gomez, che in 45
giorni non ha avuto alcun preannuncio di querela.

E mi sono
limitato a rammentare un fatto vero a proposito di uno dei tanti
politici citati nel libro: e cioè che, raccontando vita e opere di
Renato Schifani al momento della sua elezione a presidente del Senato,
nessun quotidiano (tranne l’Unità e, paradossalmente, Il Giornale di
Berlusconi) ha ricordato i suoi rapporti con persone poi condannate per
mafia, come Nino Mandalà e Benny D’Agostino (ho detto testualmente:
“Schifani ha avuto delle amicizie con dei mafiosi. rapporti con signori
che sono poi stati condannati per mafia”; la frase “anche la seconda
carica dello Stato è oggi un mafioso”, falsamente attribuitami da
D’Avanzo, non l’ho mai detta né pensata).

Quei
rapporti, contrariamente a quanto scrive D’Avanzo, sono tutt’altro che
“lontani nel tempo”, visto che ancora a metà degli anni 90 Schifani fu
ingaggiato, come consulente per l’urbanistica e il piano regolatore,
dal Comune di Villabate retto da uomini legati al boss Mandalà e di lì
a poco sciolto due volte per mafia. Rapporti di nessuna rilevanza
penale, ma di grande rilievo politico-morale, visto che la mafia non
dimentica, ha la memoria lunghissima e spesso usa le sue amicizie,
anche risalenti nel tempo, per ricattare chi tenta di scrollarsele
frettolosamente di dosso. In qualunque altro paese, casomai capitasse
che il titolare di certi rapporti ascenda alla seconda carica dello
Stato, tutti i giornali e le tv gli rammenterebbero quei rapporti: per
questo, negli altri paesi, il titolare di certi rapporti difficilmente
ascende ai vertici dello Stato.

Che cosa c’entri tutto questo
con le “agenzie del risentimento” e il “qualunquismo antipolitico” di
cui parla D’Avanzo, mi sfugge.

Secondo lui i giornali,
all’elezione di Schifani a presidente del Senato, non hanno più parlato
di quei rapporti perché nel frattempo non s’era scoperto nulla di
nuovo. Strano: non c’era nulla di nuovo neppure sul riporto di
Schifani, eppure tutti i giornali l’hanno doviziosamente rammentato. I
lettori giudicheranno se sia più importante ricordare il riporto,
oppure il rapporto con D’Agostino e Mandalà (che poi, un po’
contraddittoriamente, lo stesso D’Avanzo definisce “sconsiderato”). Ora
che – pare – Schifani ha deciso di querelarmi, un giudice deciderà se
quel che ho detto è vero o non è vero.

Almeno in tribunale, si
bada ai fatti e le chiacchiere stanno a zero: o hai detto il vero o hai
detto il falso. Io sono certo di avere detto il vero, e tra l’altro
solo una minima parte. Oltretutto c’è già un precedente specifico:
quando, per primo, Marco Lillo rivelò queste cose sull’Espresso nel
2002, Schifani lo denunciò. Ma la denuncia venne archiviata nel 2007
perché – scrive il giudice – “l’articolo si presenta sostanzialmente
veritiero”.

Approfitto di questo spazio per
ringraziare i tanti colleghi e lettori (anche di Repubblica) che in
questi giorni difficili mi hanno testimoniato solidarietà. Tenterò, pur
con tutti i miei limiti, di continuare a non deluderli.