17 Ottobre 2005
Spinta dei seggi e intuizione di Prodi. Non era affatto scontato che l’Unione avesse un cuore duro di queste dimensioni
Autore: Massimo Franco
Fonte: la Repubblica
Sull’onda dell’entusiasmo, Romano Prodi è tentato di definirle «primarie
all’italiana»: negli Stati Uniti, ha fatto notare, la partecipazione è dimezzata
rispetto a quella della sua Unione. Enfasi a parte, per quanto sperimentali,
osservate con diffidenza e sufficienza, le votazioni di ieri sono state un
successo imprevisto. Il miracolo nasce probabilmente da una miscela di umori.
Con due pulsioni, soprattutto: la voglia di indicare il candidato del
centrosinistra a palazzo Chigi, e la ribellione al colpo di mano del governo
sulla legge elettorale.
Rimane da capire quale dei due elementi sia stato prevalente. In fondo, lo
stesso Prodi tende ad accreditare i tre milioni di votanti come un «no» degli
italiani al cambio unilaterale delle regole. Eppure, una lettura tutta in chiave
antiberlusconiana rischia di ridurre la portata di quanto è successo ieri.
Evidentemente, esiste una saturazione nei confronti di Silvio Berlusconi. La
forzatura sul proporzionale ha accentuato la determinazione a combattere la
maggioranza. In parallelo, tuttavia, si indovina la volontà di smentire quanti
hanno additato le primarie come una caricatura di democrazia: un rito pilotato,
falsato dai partiti. Ci sarà tempo per verificare se sia vero.
E oggi si capirà se le percentuali consacreranno davvero Prodi come
candidato premier. Ma la sua intuizione ha vinto, nonostante l’ombra tragica
proiettata sulle primarie dall’omicidio al seggio del vicepresidente della
Regione Calabria, Francesco Fortugno, della Margherita. Non è escluso che adesso
cresca la spinta per unificare il centrosinistra in nome dell’Ulivo: ieri sera
ne ha fatto cenno lo stesso Prodi. Sarebbe un’offensiva obbligata e insieme
scivolosa, per le tensioni che può ricreare con gli alleati, Margherita in
testa. Un’opposizione che si lacerasse di nuovo sugli aspetti tecnici della
candidatura prodiana, apparirebbe un po’ lunare. E’ chiaro che il Professore è
un «senza partito» costretto a gareggiare in un recinto nel quale all’improvviso
i veri protagonisti sono proprio i partiti.
Il paradosso potrebbe essere in qualche modo risolto dal responso dato ieri
dagli elettori dell’Unione; ma non del tutto, parrebbe. Eppure, la situazione
nella quale si trova Prodi, ormai, non riguarda lui. Segnala un problema che è
di tutto il centrosinistra: l’assenza di una strategia dell’Unione di fronte
alla novità del sistema proporzionale. Finora, il blitz parlamentare della
maggioranza è stato affrontato con l’indignazione; e forse non poteva essere
diversamente. Ma è chiaro che si tratta di non fare apparire il fondatore
dell’Ulivo come un candidato del maggioritario, custode di un sistema archiviato
e ostaggio del nuovo; e di ricostruirgli intorno una coalizione e un consenso
che tengano conto delle regole del gioco, sebbene ritenute odiose per il modo in
cui sono state approvate.
Il fronte berlusconiano, com’era prevedibile, insiste sull’«inutilità» di
quanto è accaduto ieri. E sottolinea il fatto che gli oltre tre milioni di
partecipanti alle primarie sono tutti militanti dell’Unione, mentre l’elettorato
«vero» è un’altra cosa. Berlusconi ironizza su un Prodi vincente solo se fa
votare «solo quelli di sinistra». L’obiezione è velenosa ma plausibile. Eppure
rischia di trascurare un dettaglio: non era affatto scontato che l’Unione avesse
un cuore duro delle dimensioni che si sono viste. Non significa la vittoria
certa nel 2006. E tuttavia, la partecipazione fa capire che la spinta
antigovernativa è più forte di ogni contrasto. E, forse, di ogni protagonismo
suicida.