28 Novembre 2005
Spalle robuste per il programma dell’Unione
Autore: Massimo Giannini
Fonte: la Repubblica
“Chiacchiera gigante” o “grande dibattito”? Tra le diverse sfumature semantiche di una formula modernista mutuata dall´inglese, la Big Talk organizzata dalla Margherita ci restituisce un´immagine prismatica del centrosinistra. Brillante e dinamico sui contenuti, ma ancora confuso e incerto sui contenitori.
A Rutelli va riconosciuto il merito di aver messo molta carne, sul fuoco del programma. A Fassino va dato atto di aver partecipato all´iniziativa con sincero spirito di condivisione.
Ma non può essere un caso se il messaggio più forte che arriva dalla due giorni di Milano è quello lanciato in chiusura da Romano Prodi. «Stiamo uniti, stiamo uniti, stiamo uniti».
Scandito tre volte, con un tono accorato che ricorda il famoso «Resistere, resistere, resistere» di Francesco Saverio Borrelli.
Al fondo, c´è una sfumatura “resistenziale” anche nelle parole del Professore. E´ confortante l´entusiasmo col quale è stato accolto, da un “popolo” che finalmente lo riconosce e in cui lui evidentemente si riconosce.
Ma fino a ieri l´impressione è stata un´altra. Il tonificante “effetto primarie” del 9 ottobre è sfumato troppo in fretta. La forza centripeta di quell´imprevisto «plebiscito» si è consumata troppo presto.
Polemiche sugli uomini: le candidature in Sicilia, le primarie a Milano, la resa dei conti a Venezia. Polemiche sulle formule: partito democratico, partito riformista, nessun partito.
Come è evidente, a dispetto della pretestuosa disputa sul “programmismo”, l´anima riformista del centrosinistra non si divide poi così tanto sulle cose da fare.
Il fervore propositivo di questi giorni è indice di ricchezza progettuale e di freschezza culturale, molto più che di antagonismo infra-coalizionale.
D´altra parte, è da mesi che si sente muovere proprio questa critica all´opposizione: non ha idee.
Adesso che comincia a tirarle fuori, gli si muove la contestazione contraria. Viene da dare ragione a D´Alema, quando dice che il programma è quella cosa di cui tutti lamentano sempre l´assenza, ma che poi quando viene fuori nessuno si prende la briga di andare a leggere.
C´è davvero qualcuno, tra i Ds e la Margherita, che possa sensatamente litigare sui “sei punti” fondamentali indicati l´altro ieri da Rutelli?
Che possa realisticamente contestare la necessità di un piano di governo dei primi 100 giorni imperniato sulle liberalizzazioni, sulla semplificazione dell´Amministrazione pubblica, sul sostegno dell´innovazione, sulla fiscalità di vantaggio per le imprese nel Sud, sull´aumento degli asili nido e sull´imposta unica del 10% sugli affitti?
La prova diretta sta nelle parole rassicuranti di Fassino, che dice «condivido il programma al 100%»: è probabile che alla fine della prossima settimana, quando anche la Quercia farà la sua brava Big Talk, le proposte diessine ricalcheranno fedelmente quelle dielline.
La prova indiretta sta nelle reazioni positive dell´establishment, da Tronchetti Provera a Fedele Confalonieri: se persino l´uomo che per conto del Cavaliere custodisce le chiavi della sua cassaforte dichiara «condivido il programma al 20%», vuol dire che la lista unitaria ha già fatto passi da gigante, quanto a capacità di offrire soluzioni ragionevoli alle drammatiche emergenze del Paese.
E allora, dov´è il problema? Ancora una volta, sembra annidato nella scarsa generosità dei gruppi dirigenti.
Nella miopia autoconservativa degli apparati. Il problema sta negli “irriducibili” dei due schieramenti, che trasformano la custodia dell´identità in un alibi per salvare poteri centrali e rendite locali.
Il problema diventano i parisiani, ai quali il vertice della Margherita vuole “tagliare la testa”, o i diessini che fondano un´altra corrente interna per salvare le radici “socialiste” di ieri dalla minaccia del partito democratico di domani.
Le due formazioni principali del centrosinistra rischiano di commettere lo stesso, autolesionistico errore in cui è già caduto il Polo, per effetto della sciaguratissima riforma elettorale voluta dal Cavaliere: tornare già a ragionare in una logica proporzionale. Valorizzare la distinzione, anziché la coesione. Scommettere sulla visibilità, anziché sull´unità.
Sono queste banali divisioni da nomenklatura, che alla fine producono il cortocircuito sul programma. Un cortocircuito che esiste oggettivamente quando, dall´Ulivo, l´orizzonte si allarga all´Unione.
Non ha torto Tremonti, a dire che nel centrosinistra allargato regna l´hegeliana dialettica degli opposti: Blair e Zapatero, l´America e i no-global, le privatizzazioni e la patrimoniale, il nucleare e i mulini a vento.
Ma se Ds e Margherita fossero davvero coesi (sulle poltrone degli organigrammi e sugli assetti dell´organizzazione) non avrebbero difficoltà a dettare l´agenda a Bertinotti, a Diliberto e a Pecoraro Scanio.
Tra tesi forti e credibili, e antitesi deboli e radicali, la sintesi sarebbe più facile da trovare. Come ha detto Prodi, servono «spalle robuste», perché il governo che verrà sarà chiamato ad assumere «decisioni difficili».
E´ ora che, nell´orto ulivista, se ne rendano conto tutti. L´asse che si va consolidando tra Fassino e Rutelli (che è politico ma anche generazionale) è un segnale positivo.
Ma serve a poco se non produce risultati concreti nella convivenza tra i due rispettivi partiti, che presto dovrà trasformarsi in coabitazione.
Se è vero, come dice l´Economist, che per l´Italia la “Dolce vita” è finita per sempre, i leader del centrosinistra non possono affrontare la dura stagione del neo-realismo consumandosi tra personalismi accidiosi e rancorosi. Neanche fossero “i vitelloni” di un altro capolavoro di Fellini.