Fin qui ho evitato, più o meno
consapevolmente, di occuparmi del costituendo Partito democratico. Mi
sembrava un tema accademico, un’esercitazione nel vuoto, un’evocazione
fantasmatica di quelle che un tempo si facevano a tavolino per dar corpo ad
un’ombra che stentava a materializzarsi, senza contorni definiti. Molti ne
scrivevano, per auspicarne la nascita o per contrastarla; disputavano sulle
sue possibili radici, sul Pantheon dei padri e dei nonni, sul riformismo
possibile, ma badando più alle polemiche del passato che alle visioni del
futuro e alle domande che incalzano in una società sempre più disgregata e
senza ideali che ne scuotano l’apatia.
Ma ora eludere ancora l’argomento
è diventato impossibile: i due partiti maggiori del centrosinistra terranno
i loro congressi in questa settimana e saranno gli ultimi, sia dei Ds sia
della Margherita. Si concluderanno con la lettura d’un comune dispositivo,
convocheranno un’assemblea costituente per il prossimo ottobre rimettendo ad
essa la nascita del nuovo partito, aperto a rappresentanti della società
civile oltre che ai loro aderenti.
Si entra insomma nel vivo del processo
di formazione del nuovo soggetto. L’ombra troppo a lungo evocata sta dunque
per prender forma. Produrrà mutamenti nella politica? Susciterà immagini
nuove?
Riconfermerà le oligarchie e le nomenclature esistenti o le
rinnoverà? Riuscirà a fondere insieme l’esperienza e la tradizione
socialista e quella cattolico-democratica o si limiterà a giustapporle senza
trovare una sintesi nuova e condivisa? Rafforzerà il governo o ne anticiperà
la crisi?
Semplificherà lo schieramento dei partiti o lo renderà ancor
più frammentato?
Ecco una folla di domande (ma non sono le sole e
forse nemmeno le più importanti) che ci stanno dinanzi, alle quali i
promotori di questo nuovo soggetto dovranno rispondere perché finora le
risposte vere non sono venute. Li sentiamo parlare con eccessiva frequenza
ma con parole che non rispondono. Non chiariscono, non convincono. Non
rinnovano né i contenuti né il rito né colmano la distanza tra la classe
politica e la società.
Se queste lacune, questo senso di fusione fredda,
questa marcata autoreferenzialità debbono esser superati, ci vorrà uno
sforzo ben più intenso dell’interminabile mediazione in corso da mesi, anzi
da anni.
I promotori ne saranno capaci?