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28 Febbraio 2007

Sì, è questa l’ora del Partito democratico

Autore: Walter Veltroni

Caro direttore, su Europa, ieri, era detto con chiarezza e in modo giustamente appassionato, e io sono del tutto d’accordo: quella del Partito democratico è una gran carta da giocare, e giocarla è urgente, oggi più di ieri, oggi e non domani. È un’urgenza resa ancora più evidente, se possibile, da una crisi di governo che forse è arrivata all’improvviso, ma a esser sinceri non in modo del tutto inaspettato, per il semplice motivo che la legge elettorale con la quale siamo andati al voto ha accentuato molto quella fragilità, quelle difficoltà, che da tempo caratterizzano il nostro sistema istituzionale e politico.

È proprio su questi due piani, dunque, che dobbiamo muoverci, per dare all’Italia quella stabilità di cui continua ad avere un enorme bisogno e che è stata tanto più vicina, in questi ultimi dieci anni, tanto più ci siamo incamminati lungo la strada del bipolarismo, iniziata con la riforma in senso maggioritario del vecchio sistema elettorale proporzionale. Quello, forse è bene ricordarlo, delle crisi di governo pressoché continue e degli esecutivi non scelti dai cittadini con il loro voto, ma formati dopo lunghe e spesso oscure trattative che duravano settimane, se non mesi.
Ora, urgenza richiede chiarezza, e allora vorrei dire che proprio su questo aspetto, oggi, dobbiamo allontanare ogni possibile dubbio e ogni possibile rischio. La partita che si deve aprire potrà riguardare alcune riforme istituzionali che servono al paese, dal potere di nomina e revoca dei ministri, a una corsia preferenziale per i disegni di legge del governo, alla riduzione del numero dei parlamentari, e avrà al centro soprattutto una nuova legge elettorale che ha proprio questa come posta in gioco: la possibilità o meno che siano i cittadini a decidere lo schieramento e il leader destinati a governare, per cinque anni, in base al programma per il quale sono stati scelti. Non possono essere un senatore o un piccolissimo partito a disporre del destino di un governo o di una legislatura. È il voto dei cittadini che deve scegliere, e le condizioni di stabilità devono essere tali da garantire la piena attuazione del programma di governo.

A far questo può essere il sistema elettorale dei comuni, che ormai da tempo dà una buona prova di sé, garantendo quelle condizioni che ben sfruttate significano, per le nostre comunità, innovazione, crescita economica e coesione sociale. È un sistema che alla sua base proporzionale accompagna un premio di maggioranza, e che dunque da una parte favorisce le aggregazioni e dall’altra rispetta e dà valore sia alla scelta dei cittadini, sia alla possibilità del sindaco eletto grazie alla loro esplicita indicazione di avere gli strumenti necessari ad amministrare per tutta la durata del suo mandato.
La stabilità passa da qui, da queste condizioni, e comunque da un sistema che garantisca innanzitutto il rilancio e il definitivo affermarsi del bipolarismo. Quale sarà il sistema lo deciderà il confronto che mi auguro coinvolgerà tutte le forze politiche. Quel che deve rimanere fermo è l’obiettivo, e cioè far entrare l’Italia nel novero dei paesi con sistemi che eleggono un governo, far sì che anche da noi possa succedere come in Gran Bretagna, dove il 35,3% dei voti del New Labour diventa alla camera dei rappresentanti una maggioranza di 356 seggi su 646, o come in Francia, dove l’Ump di De Villepin traduce il suo 33,7% di voti nel 61,8% dei seggi.

La nascita del Partito democratico e la stabilità del sistema politico non sono altro, rispetto a tutto questo. Non sono separabili dal rinnovamento e dal rafforzamento delle istituzioni.
Ne sono condizione, perché è assolutamente vero, come ha scritto ieri Europa, che il Partito democratico ha anche lo scopo di fissare l’adesione dei riformisti progressisti ai principi dell’alternanza e del bipolarismo. E ne sono conseguenza, perché senza cambiare legge elettorale e senza una spinta verso il bipolarismo la strada verso il Partito democratico diventerebbe terribilmente impervia.

Del fatto che su questa strada occorra accelerare e che il Partito democratico sia la più grande idea politica dal dopoguerra a oggi sono convinto da molto tempo.
Da almeno dieci anni, dalla nascita dell’Ulivo, le culture e le forze riformiste si stanno cercando, stanno intrecciando il loro cammino, hanno governato e stanno governando insieme. Ora è tempo di un passaggio ulteriore, che peraltro è già nella coscienza di tante persone, iscritte a partiti o parte del “popolo delle primarie”, legate a una delle tradizioni del riformismo italiano o figlie di questo tempo, della sua mobilità, del suo essere attraversato da nuove domande e nuove culture. 

Accelerare è non solo urgente, ma indispensabile, facendo molta attenzione, e avendo un grande senso di responsabilità, perché vorrei ce ne rendessimo tutti conto: il Partito democratico è l’ultima occasione, dopo non c’è altro.
Molto sta ai Ds e alla Margherita, che da soli però non possono tutto, non possono arrivare a formare, con la loro sintesi, quel partito riformista a vocazione maggioritaria, in grado di puntare al 40% dei voti, che nella nostra storia non abbiamo mai avuto. Il Partito democratico sarà quel che deve essere solo se avrà l’energia, le ambizioni e le speranze dei Ds, della Margherita e di altre forze politiche, di associazioni e movimenti, di tutti quei cittadini che da anni, in ogni occasione possibile, hanno detto di preferire un campo largo e vario rispetto alle dimensioni più limitate di un partito. Solo così sarà radicato nella società, solo così sarà un partito “popolare”.

Per concludere: di un nuovo assetto istituzionale e di innovazione politica, di un compiuto bipolarismo e del Partito democratico, è di questo che hanno bisogno il centrosinistra, per la sua coesione, e il paese, per la stabilità che tutti dovremmo contribuire a garantire. Sapendo che è vero, non sono obiettivi da tenere sullo sfondo e da guardare in prospettiva, ma compiti urgenti, ai quali rispondere oggi.