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3 Giugno 2006

Sette giorni

Autore: Francesco Verderami
Fonte: il Corriere

E Parisi diventò il «ministro di Nassiriya» No alle posizioni radicali: c’è differenza tra gli slogan di piazza e la fatica di governare.

Il 2 giugno Arturo Parisi l’aveva già festeggiato martedì con i militari italiani in Iraq. E la sua visita era stata un modo per prendere in anticipo le distanze dagli uomini di lotta e di parata, da quanti nell’Unione teorizzano il pacifismo in un mondo senza pace.

Da allora il titolare della Difesa è stato ribattezzato il «ministro di Nassiriya», perché il ringraziamento ai soldati della «missione di pace» è stato un omaggio sincero al ruolo svolto dai militari in Iraq. È vero che Parisi si era opposto alla missione, ma un conto è ritirarsi «in coerenza con il programma di governo», altra cosa è accettare la logica del disimpegno, la fuga dalle responsabilità,

che anzitutto è segno di mancanza di rispetto verso se stessi. «E un grande Paese come il nostro, si misura dagli obblighi che si assume e che dev’essere in grado di mantenere».

Perciò non accetta «i gesti e le parole» della sinistra radicale, la pace non è un’aspirazione esclusiva di Fausto Bertinotti addobbato con spilletta, nè di quanti ieri hanno manifestato contro la parata del 2 giugno. E ora che è finito il tempo dell’opposizione, non gli sfugge l’esistenza di un «problema di compatibilità» tra le «certezze rassicuranti» degli slogan di piazza e «la dura fatica di governare». Negli anni dell’anti-berlusconismo rammenta di «aver sempre invitato gli alleati a riflettere sulle nostre azioni, e sostenevo che ogni posizione doveva essere guidata da una domanda: “Se fossimo a palazzo Chigi come ci comporteremmo?”».

L’Unione, diventata maggioranza, ha continuato a comportarsi allo stesso modo, e ieri ha mostrato plasticamente i suoi due volti, una profonda divaricazione idelogica e di comportamento. E chissà quanto possano servire gli appelli alla «assunzione collettiva di responsabilità» di Parisi, se poi da ministro della Difesa deve difendere il ruolo dei militari dai suoi stessi alleati, se deve trattenersi per non esternare tutto il suo sconcerto a fronte delle loro richieste di ritiro persino della missione che opera in Afghanistan. Perché questo è ciò che iniziano a chiedere dirigenti del Prc e del Pdci, sfruttando mediaticamente l’innalzamento della tensione nel Paese che stava sotto il giogo dei talebani.

E se sull’Iraq la decisione ormai è presa, Parisi non intende subire un effetto domino, «la nostra politica estera non può dipendere da fatti contingenti o peggio ancora dettati dall’emozione», siccome la pace non la si conquista solo con la mobilitazione delle coscienze, ma va garantita e sostenuta, e in questo quadro «l’Italia guidata dal centro-sinistra deve saper rivestire un ruolo di primo piano, nell’ambito delle organizzazioni internazionali». Come dire che non si può scappare dall’Afghanistan, dinanzi alle difficoltà: quella missione va rifinanziata, «e la coerenza al programma vale per tutti e per tutto».

Chissà quante volte ancora Parisi tornerà a infuriarsi, vedendo gli alleati della sinistra radicale conteggiare le spese per le «operazioni di pace» come un surplus di auto blu ministeriali. E chissà se quella parte dell’Unione sa che i loro ragionamenti sono gli stessi usati negli anni scorsi da Silvio Berlusconi, che invitava il ministro della Difesa Antonio Martino a «tagliare qualcosa»: «C’è una nostra nave militare nel Golfo Persico, che mi dicono costi un accidente. Si deve proprio tenere lì?». Martino l’ha tenuta lì, ed è convinto che il suo successore saprà resistere alle pressioni. Lo disse con una punta di emozione allo Stato maggiore schierato per salutarlo, nel giorno del passaggio di consegne: «Parisi ha un’autorevolezza politica che potrà venir utile alle nostre Forze Armate».

Il «ministro di Nassiriya» ha iniziato a difendere le Forze Armate. Ha rassicurato anche un cittadino che gli aveva inviato gli auguri due settimane fa. C’era scritto nella lettera: «Mio padre, soldato nella Seconda guerra mondiale, mi ha educato all’amor patrio con la parata del 2 giugno. Vorrei continuare a farlo io, con i miei figli. Posso contare su di lei?». Parisi ha risposto così: «Immagini un bambino di sei anni, che profittando dell’assenza di sua madre, indossa davanti allo specchio un copricapo da tenente, alla ricerca di un padre che nella foto sul comò continuerà a guardarlo per tutta la vita con gli occhi di un ragazzo senza età, muto. E capirà».