Tutti vogliono privatizzare in qualche misura la Rai. Paradossalmente chi la vuole privatizzare di più (a metà) è oggi la sinistra. Chi invece fa soltanto finta di volerla privatizzare è la destra. Un po’ buffo, a dire il vero. Dovrebbe essere il contrario. La privatizzazione della Rai prevista dalla per me orrendissima legge Gasparri oramai in cantiere, prevede che un 20 della Rai sia ceduto ai privati con un limite dell’1 a testa e un tetto del 2 per i patti di sindacato. Chi abboccherà Se le banche si comporteranno come hanno fatto con Parmalat, abboccheranno in parecchi. E comunque qualche sprovveduto c’è sempre. Ma la mia disinteressata raccomandazione è di non abboccare. Un 20 polverizzato non conta nulla, è un insieme di fessi che si fidano di un ente infido.
Prodi fa invece suo un progetto di vera privatizzazione. Nella sua lettera al Corriere del 30 dicembre Prodi sottoscrive la proposta Tesauro, e cioè dell’Antitrust, di dividere la Rai in due, che a sua volta recepisce una direttiva più che altro contabile dell’Ue. Per Prodi la Rai andrebbe dunque divisa in due società distinte, la prima «con obblighi di servizio pubblico generale finanziata esclusivamente dal canone», la seconda «a carattere commerciale» che si sostiene con la «raccolta pubblicitaria». E la privatizzazione «Va da sé – continua Prodi – che la prima società dovrebbe restare di proprietà pubblica, mentre la seconda potrebbe e dovrebbe essere messa in vendita ed offerta ad investitori privati».
Ora, Prodi sta cercando un programma «forte» affidato a una officina di brainstorming , di bufera di cervelli. Pertanto mi permetto di osservare che il suo esordio programmatico su un tema cruciale mi sembra debole. Debole in sé, e debolissimo nella sua appetitosità elettorale.
La privatizzazione di metà della Rai dovrebbe servire a creare un terzo polo atto a spezzare il duopolio. Ma questo rimedio non è convincente ed elude il vero problema: che tutta (quasi tutta) la tv commerciale italiana è di Berlusconi, e che Sua Emittenza controlla, con Publitalia, anche tutta la pubblicità del settore privato. Questo monopolio sarebbe stato impedito in qualsiasi democrazia funzionante da una efficace legislazione antitrust. Per citare i due Paesi a noi più vicini, in Spagna e in Francia la tv privata è suddivisa tra tre-quattro proprietari. E in Francia un servizio pubblico intelligentemente pluralizzato è sottratto alla pappatoia dei partiti da una autorità amministrativa indipendente, il Conseil Supérieur de l’Audiovisuel.
Dunque la divisione della Rai in due elude i problemi, non serve a nulla e semmai farà più danno che altro. Prodi è in cerca di proposte «forti» Eccone una: dichiari che il malcostume di confondere l’interesse generale con l’interesse dei partiti deve finire; e proponga una soluzione all’inglese (vedi la Bbc), oppure alla francese (vedi sopra).
Ne vuole un’altra, aggiuntiva Eccola: niente Auditel, niente pubblicità, niente canone (s’intende, per il servizio pubblico). La rendo stringatissima perché l’ho già illustrata più volte. E chi la paga La dovrebbe pagare, visto che si prende tutta la pubblicità, la televisione commerciale versando metà dei suoi profitti netti a titolo di pagamento dell’etere. Nessuno mi ha ancora dimostrato che questa proposta è intrinsecamente scema. E non si può dubitare del suo sex appeal elettorale. Berlusconi riduce le tasse, mentre a Prodi il compagno Fausto impone il ripristino dell’imposta patrimoniale. Se Prodi potesse dire: sì, ma in compenso vi libero dal canone e vi offro una tv migliore, sarebbe un buon colpo per lui e anche per tutti noi.