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6 Aprile 2004

Senza adeguati bilanciamenti si rischia una “Costituzione incostituzionale”

Autore: Giovanni Sartori
Fonte: Corriere della Sera

Se il premier è scelto dalla volontà popolare, ne consegue che l’elezione lo insedia in carica automaticamente; e ne consegue anche che non può essere cambiato: se lui cade, è di nuovo automatico che si deve rivotare. Queste sono, indubbiamente, le conseguenze logiche della elezione diretta del premier. Alle quali lo zelo dei berlusconiani aggiunge un sovrappiù che non sarebbe logicamente necessario: il potere del premier di chiedere e di ottenere lo scioglimento della Camera dei deputati «sotto la sua esclusiva responsabilità» e cioè quando vuole e per i motivi che vuole (tra i quali quello di intimidire e docilizzare un Parlamento che non gli obbedisce quanto vorrebbe). A queste conseguenze logiche corrispondono, peraltro, sconvolgenti conseguenze costituzionali. L’altra faccia della medaglia è, in primo luogo, che in questo contesto il capo dello Stato viene spossessato dei poteri che ne giustificano l’esistenza come potenziale «contropotere». Il capo dello Stato non può più intervenire nella designazione del capo del governo chiedendo alla maggioranza parlamentare espressa dalle elezioni quale sia il presidente del Consiglio che preferisce; e perde anche il potere di decidere quando una elezione anticipata sia utile o comunque necessaria. Al capo dello Stato restava, nella Costituzione vigente, un ulteriore importante potere (che il presidente Ciampi non ha mai esercitato, ma che la Costituzione gli dava): il potere di non firmare e, quindi, di non autorizzare l’inoltro al Parlamento dei disegni di legge di iniziativa governativa. Questo potere era conferito da un comma dell’articolo 87 della Costituzione: un comma che, vedi caso, sparisce nel nuovo progetto.

Qui abbiamo dunque un contropotere, quello del presidente della Repubblica, che viene radicalmente depotenziato. E gli altri poteri? Il quesito tocca l’essenza stessa del costituzionalismo. Le costituzioni che creano le democrazie liberali sono – pregiudizialmente – strutture che proteggono le libertà dei cittadini, limitando, vincolando e sottoponendo a controllo l’esercizio del potere politico. A questo fine il costituzionalismo disegna sistemi politici, nei quali ogni potere è fronteggiato e delimitato da altri poteri e, quindi, sistemi di checks and balances , di freni e contrappesi. E questo principio del «potere che limita il potere» vale per tutte le varianti (parlamentari, presidenziali e altre) delle democrazie. Ma vale anche per la cosiddetta Casa delle Libertà? I maldetti «saggi» di Lorenzago, incaricati di mettere su carta la riforma costituzionale fortemente voluta da Berlusconi e Bossi (il primo per il premierato, il secondo per il federalismo), lo conoscono?

Si direbbe proprio di no. Per evitare che l’appetito maggioritario si trasformi in una tirannide della maggioranza parlamentare sulla minoranza che la fronteggia in Aula, si deve stabilire che una serie di «decisioni decisive» richiedano una maggioranza qualificata. Invece no. Il programma è manifestamente quello di fare una scorpacciata di potere, cominciando dall’impadronirsi della Presidenza della Repubblica a maggioranza assoluta (e quindi insediando un presidente di sicura obbedienza) e, poi, di usare l’istituto come copertura per i poteri di nomina che ne andranno a costituire la funzione residua. Del pari, il programma è quello di conquistare una Corte costituzionale che, a fronte di un potere unicentrico, dovrebbe essere più che mai sottratta alla sua presa. Analogamente, il programma è quello di inserire un cuneo nella autonomia della magistratura, separandone le carriere e sottomettendo la magistratura inquirente al controllo del potere esecutivo. E così su tutta la linea.

Se questo «cattivo fine» andrà a buon fine, ci ritroveremo al cospetto di un sistema di premierato onnipotente, di premierato assoluto, non fermabile, che viola l’essenza del costituzionalismo. E così ci ritroveremmo a vivere con una «Costituzione incostituzionale». La dizione non è paradossale. Designa la trasformazione di una Costituzione vera e propria (nel significato garantista del termine) in una «forma di Stato» (che continueremo, impropriamente, a chiamare costituzionale) che è soltanto l’organigramma di come viene organizzato l’esercizio del potere. Scrivendo di costituzionalismo, ho scritto tanti anni fa che esistono Costituzioni che sono soltanto «nominali» nel senso che si impadroniscono del nome, ma che (e citavo un grande costituzionalista, Karl Loewenstein) si riducono a essere «la formalizzazione della localizzazione effettiva del potere politico a esclusivo beneficio dei suoi effettivi detentori». Appunto, la Costituzione che interessa a Berlusconi e che lui capisce – ritengo in perfetta buona fede – è come l’organigramma di Mediaset: stabilisce come lui comanda, mediante quali canali e strutture, nell’azienda di sua proprietà.

I pochi costituzionalisti organici della «squadra» governativa su questi problemi non fiatano (ammesso che nella loro dappochezza ne sappiano qualcosa). La loro offensiva, o la loro difesa, si dispiega invece sul fronte della democrazia. Il succo del loro argomento è che la nuova Costituzione realizza finalmente una democrazia autentica predeterminata da una volontà popolare che ha voluto Berlusconi, che perciò ha voluto il suo programma e che perciò ancora ha voluto la sua onnipotenza televisiva (il popolo sapeva del suo conflitto di interessi, eppure lo ha votato lo stesso) e così via. Ma questa è soltanto demagogia da quattro soldi.

La teoria della democrazia dei moderni esiste da più di due secoli e i tre autori contemporanei che se ne sono più occupati, con libri che fanno testo e tradotti in tutto il mondo, sono Norberto Bobbio, Robert Dahl e il sottoscritto. E tutti e tre abbiamo precisato, sul punto, che nella democrazia rappresentativa il demos non decide in proprio le questioni, le issues , ma si limita a decidere (scegliere) chi le deciderà. E’ troppo poco? Forse sì; ma per ottenere di più occorre che ogni incremento di demo-potere sia sostenuto da un incremento di demo-sapere , di informazione e di conoscenza dei problemi. Altrimenti la democrazia diventa un «direttismo» gestito da incompetenti, da chi-non-sa-nulla-di-nulla e, quindi, un sistema di governo suicida.

Un sottinteso di questo argomento confermato da tutte le ricerche è che l’elettore normale non sceglie per una ragione specifica che è la stessa per ognuno. C’è chi vota semplicemente per identificazione, perché si sente di destra o di sinistra; e chi vota soprattutto «contro», per punire o in odio, contro i comunisti, contro i fascisti. Quando poi arriviamo a motivi specifici, ognuno ha i suoi: le pensioni, la disoccupazione, l’inflazione, l’ordine pubblico, l’inquinamento, eccetera. E a questo proposito la sola cosa certa è che Berlusconi non è mai stato votato da nessuna maggioranza. Tutt’al più gli possiamo attribuire i voti di Forza Italia (nell’ordine di un 25-30 per cento). Ma certo non gli possiamo attribuire i voti che ottiene automaticamente e forzosamente per collegamento.

Dunque, la nuova democrazia prefigurata dalla nuova Costituzione non è nuova: i costituenti di Filadelfia la chiamavano «dispotismo elettivo».