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16 Settembre 2005

Se la Cdl impone la tirannide di minoranza

Autore: Massimo Giannini
Fonte: la Repubblica
Cinquantasei governi in cinquant´anni. Questa, piaccia o no agli ex dei due
Poli, è l´eredità che ci ha lasciato il proporzionale all´italiana. E allora si
può discutere finché si vuole, sull´esegesi delle parole pronunciate ieri dal
presidente della Repubblica. «La politica non guardi al passato, e gli uomini
che hanno responsabilità delle istituzioni di governo non si perdano in piccole
dispute: guardino lontano senza paure, senza sterili nostalgie…». Pensava o no
alla sedicente «riforma elettorale» del Polo, Ciampi, mentre lanciava questo
appello Ognuno è libero di interpretare come vuole. O come gli torna più comodo.
Berlusconi, al solito, l´ha fatto: assicurando da New York che l´unica
perplessità del Quirinale sul pasticciato e indigeribile Calderolum riguarda i
tempi, e non i contenuti. Quello che è certo, è che il capo dello Stato ha non
una, ma mille ragioni quando dice che «il passato era molto peggiore del
presente». La bozza di nuova legge elettorale scritta dalla nuova, improbabile
squadra di «saggi» guidati dal ministro delle Riforme leghista potrà anche non
incorrere nella censura formale e preventiva del Colle. Ma resta il fatto che
questa proposta è quanto di peggio ci si poteva aspettare, da una maggioranza
agonizzante che non trova altri mezzi per mantenersi in vita.

È il tassello che mancava, al mosaico indecifrabile, sconnesso e
contraddittorio che la Casa delle Libertà ha tracciato intorno alle istituzioni
repubblicane in questi anni. I costituzionalismi, per garantire insieme
governabilità, stabilità e alternanza, esigono coerenza. Impongono una
correlazione rigorosa tra le forme di governo e le leggi elettorali. La Cdl fa
tutto e il suo contrario. Il sonno della ragione, nella quale sono sprofondati i
suoi leader, genera solo mostri. Prima una riforma costituzionale orribile, ma
di evidente impianto presidenzialista, finalizzata a rafforzare il premier e il
suo governo ai danni di tutti gli altri poteri. Un minimo di buon senso avrebbe
suggerito di accompagnarla con un definitivo passaggio al maggioritario, magari
col doppio turno. Un esito compiuto del Mattarellum, che dopo i parziali
fallimenti del ´94 e del ´96, alla sua terza prova (il voto del 2001) ha
cominciato a funzionare e a scavare come una talpa nella cultura ormai
tendenzialmente bipolare dell´elettorato. E invece, contro ogni logica,
Berlusconi riesuma la «salma» del proporzionale, che ridà fiato ai partiti ed
esalta la distinzione molto più che la coesione. Per far finta di compensare
l´inconveniente, ci mette dentro non solo la clausola di sbarramento, ma anche
il premio di maggioranza. Il risultato è il caos primigenio. L´entropia delle
regole.

C´è molta tattica, in questa mossa del Cavaliere. Ma il tentativo estremo
di incastrare l´Udc sta producendo una reazione a catena, che sembra non più
controllabile. Berlusconi rompe con Casini, Fini rompe con Follini, Bossi
minaccia di rompere con tutti. Quel che resta della maggioranza è un grumo di
ricatti e rancori, che difficilmente il premier riuscirà a sciogliere con
quest´ultimo colpo di teatro sul proporzionale. Ma è un leader disperato. E
dunque pronto a tutto. Per questo preoccupa, questo sconclusionato Calderolum.
Si porta dietro una paurosa regressione di metodo e rischiosa involuzione di
merito.
Anche a prescindere dalla clausola di sbarramento al 4. Il perché lo spiega
con chiarezza Roberto D´Alimonte, uno dei più autorevoli studiosi di sistemi
elettorali. Nel 2001 il centrodestra vinse le elezioni con il 45 dei voti
maggioritari e il 49 dei voti proporzionali. Il Mattarellum gli consentì di
ottenere in Parlamento una maggioranza schiacciante, il 58,4 dei seggi totali,
con un «premio di maggioranza implicito» del 9 circa sui voti proporzionali.
Oggi i sondaggi pre-elettorali descrivono una situazione inversa: il
centrosinistra è accreditato di un 49,5 nel voto proporzionale. Come cinque anni
fa, ma a parti capovolte, se l´Unione nella prossima primavera vincesse davvero
con questa percentuale otterrebbe lo stesso «premio di maggioranza implicito»
del 9. Governerebbe con il 59/60 dei seggi parlamentari. Una maggioranza
praticamente inattaccabile.

È proprio questo che Berlusconi vuole evitare. Non tanto con la trappola
dello sbarramento per i partiti che non raggiungono il 4 (calcolato sui seggi e
non sui voti) su cui alla fine potrebbe anche cedere. La vera truffa è il
«tetto» che il comma 2 dell´articolo 10 dell´emendamento del Polo fissa
all´attribuzione dei seggi per la coalizione che vince: 340 (più 6 per le
circoscrizioni estere). Questo si tradurrebbe in una maggioranza bloccata al 54.
Così, per chi vince, si dimezzerebbe il «premio di maggioranza», che dal 9
teorico assicurato dal Mattarellum si ridurrebbe al 4,5.
Un´operazione di vero e proprio «sabotaggio elettorale». Il centrosinistra
sarebbe costretto a governare con un margine più risicato, e dunque più
rischioso. Per questo la proposta del Polo è doppiamente irricevibile. E
giustifica la reazione durissima dell´Unione, che può a buon diritto invocare il
precedente di cinque anni fa, quando Franceschini e Villone, esponenti di un
centrosinistra già consapevole dell´imminente sconfitta, presentarono una
proposta di riforma proporzionale, che mirava a ridurre le perdite per la
coalizione battuta e limitare il vantaggio per quella vincitrice. Il
centrodestra rispose picche. Minacciando le stesse «barricate» che oggi contesta
all´Unione. Rivendicando il diritto incontrovertibile di portare all´incasso
proprio quel cospicuo «premio di maggioranza» che il sistema elettorale vigente
gli avrebbe assicurato. Non si vede perché quello stesso diritto, oggi, dovrebbe
essere negato al centrosinistra. Con una legge mono-partisan che, oltre tutto,
finirebbe per fissare un altro precedente grave e destabilizzante: ogni
coalizione uscente, condannata dai sondaggi, si sentirà titolata a imporre al
Paese una «sua» riforma elettorale. E con l´unico obiettivo di avvelenare i
pozzi per chi viene dopo.
Siamo all´inversione concettuale del principio contro il quale si batterono
i costituenti di Filadelfia del 1787. L´ultimo aculeo avvelenato del
berlusconismo, da piantare nel corpo esangue delle istituzioni: dopo cinque anni
improntati alla «tirannide della maggioranza», la nuova legislatura rischia di
nascere all´insegna della «tirannide della minoranza».