2 Agosto 2005
Se il Governatore è un’«anatra zoppa»
Autore: Stefano Passigli
Fonte: Corriere della Sera
Caro Direttore, quali che siano gli sviluppi delle indagini giudiziarie sulla scalata di Bpi ad Antonveneta quanto è già emerso sui rapporti tra Fazio e Fiorani ha assestato un colpo irreparabile alla autorevolezza dell’attuale Governatore. Ha dunque ragione Dario Di Vico (sul Corriere d i ieri) a chiedersi se la credibilità internazionale dell’Italia possa permettersi il permanere in carica di un Governatore dimezzato, e ancor più a sottolineare che l’attendere per la sua sostituzione sin a dopo le elezioni potrebbe far precipitare Banca d’Italia nell’inferno dello «spoil system».
Insomma, un Governatore «anatra zoppa» non solo non potrebbe più svolgere quel ruolo di moral suasion che ha sempre accompagnato l’esercizio delle prerogative di Banca d’Italia, ma rischierebbe di aprire un varco in sede legislativa ad un futuro eccessivo indebolimento della figura del Governatore nei confronti del potere politico.
Sin dai tempi della Bicamerale – ove presentai una proposta in tal senso, ripetuta con scarsa fortuna anche in occasione del recente disegno di riforma costituzionale – sono sempre stato un fautore dell’incarico a termine per il Governatore.
Ma – come è naturale per chi provenga dalla tradizione del Pri – sono anche sempre stato un tenace difensore dell’autonomia di Banca d’Italia nei confronti della pretesa del ministro dell’Economia di esercitare un ruolo attivo nella vigilanza del sistema bancario. Ho così difeso Fazio dagli attacchi di Tremonti nella vicenda Parmalat, frutto di un perverso mix di carenze legislative (cui avrebbe dovuto portare rimedio proprio Tremonti) e di comportamenti di altri organi ed istituzioni.
Difendere la funzione di vigilanza di Banca d’Italia non significa però difenderne le attuali prerogative in materia di concorrenza, specie dopo la lettura arbitraria che mi ha fatto il Governat ore nella vicenda della scalata ad Antonveneta. Le dimissioni di Fazio – o comunque una sua sostituzione – sono dunque necessarie anche per evitare un’eccessiva penalizzazione del ruolo futuro di Banca d’Italia.
Non sarà sfuggito al lettore che nel parlare delle attuali vicende ho fatto riferimento al caso Bpi-Antonveneta ben più che al caso Unipol-Bnl. Tra le due situazioni vi sono infatti alcune fondamentali differenze:
1. Nel caso Bnl, Unipol ha acquistato dal cosiddetto «contropatto» un pacchetto di azioni già esistente da molto tempo. Che tale acquisto sia stato decisivo nella contesa con gli spagnoli è irrilevante. L’importante è che il pacchetto degli immobiliaristi non sia stato il frutto di un precedente concerto con Unipol. Al contrario nel caso di Antonveneta gli acquisti di azioni da parte dei vari «cavalieri bianchi» sono stati organizzati e finanziati da Fiorani nell’ambito di un disegno concertato e attuato ben prima che Bpi ottemperasse agli obblighi di legge.
2. In secondo luogo, mentre Unipol è ricorsa per l’acquisto di Bnl a mezzi propri e ad un ingente aumento di capitale che ne modificherà sostanzialmente la compagine azionaria, diminuendo considerevolmente il peso del movimento cooperativo, la scalata di Bpi non solo non sembra avere rispettato adeguati ratios patrimoniali, ma pare essere stata attuata con prestiti a terzi attinti largamente dai depositi: e cioè con il denaro dei clienti della stessa Bpi.
I due casi sono insomma profondamente diversi. In entrambi si può avere dubbi sulla congruità del prezzo pagato o sulla validità del piano industriale sottostante e ancora ignoto; ma resta il fatto che mentre una decisione – giusta o sbagliata che sia – appare nel caso di Unipol legittima e rispettosa delle regole di mercato; nel caso di Bpi invece siamo davanti ad un’operazione che definire «corsara» è un benevolo «understatement». E chi protegge i «corsari» non deve poter contare su alcuna solidarietà.
Vi è un’ultima considerazione da fare: in settori delicatissimi del sistema Italia e regolati da legislazioni speciali, quali il sistema bancario e il sistema dell’informazione, è opportuno vietare agli intermediari finanziari la concessione di prestiti per l’acquisto di azioni contro pegno delle azioni stesse. Chi vuole scalare banche o giornali lo faccia con capitali propri, o dando in garanzia beni diversi dalle stesse azioni delle imprese che si intende scalare. Non si tratta di difendere gli attuali assetti proprietari, ma di evitare manovre oscure di riders spesso operanti per conto di terzi. La trasparenza è per l’informazione e il sistema finanziario un bene irrinunciabile.