Infatti, i sindacati sono, in larga misura, l’unica grande
organizzazione di massa rimasta in Italia senza il cui apporto nessuna politica
di liberalizzazione e di sviluppo appare praticabile, anche se, naturalmente, la
sintesi dovrà emergere dall’opera del governo e potrebbe anche essere
conflittuale.
Allora, tutti i contributi di idee e di impegno personale e
politico che vengono dai dirigenti di partito, a cominciare, comprensibilmente,
da Fassino e da Rutelli, possono essere importanti.
In alto, i dirigenti dei due partiti
contraenti debbono tenere conto delle loro identità. In basso, l’interazione fra
le culture, sperabilmente tutte riformiste, ma, comunque, da stimolare e da
sfidare, può essere più intensa, più produttiva, più efficace e potrebbe
consentire una migliore rappresentanza del Paese e di uno schieramento che ha
nella diversità un elemento importante di vivacità.
Soprattutto i Ds dovrebbero avere imparato dalle loro esperienze
passate che il rischio di una fusione, peraltro sempre imperfetta, fra
oligarchie di partiti consiste nella rassegnazione di quei settori associativi
che saprebbero svolgere proprio il compito del rinnovamento, e non
necessariamente del defenestramento delle leadership politiche esistenti – in
alcuni casi, peraltro, un obiettivo da non mettere in secondo piano…
Se non si risponde
con una certa sollecitudine alle richieste di urgenza che vengono dalla base si
rischia di disperdere un piccolo capitale iniziale.
Per metterlo a frutto, però,
non basta dettare i tempi, che sarebbe, comunque, utile lasciare alle
organizzazioni locali dei partiti di intesa con le varie associazioni ai
rispettivi livelli, appare altresì opportuno aprire un grande dibattito di idee,
sempre da cominciare a livello locale.
Il mio contributo iniziale riguarda il punto che, in
questa fase e per i prossimi cinque anni, ritengo essenziale.
Se il Partito
Democratico appare necessario agli occhi di quasi tutti coloro che ne auspicano
la nascita per semplificare lo schieramento politico e per accrescere la
coesione del centro-sinistra, allora è imperativo sentire la voce del primo
ministro Prodi.
Fin dall’inizio deve essere chiarissimo che la leadership del
Partito democratico deve essere la sua.
Il premierato di Prodi diventerà davvero
forte, non grazie a qualche riformetta costituzionale, ma perché il capo del
governo sarà, al tempo stesso, il capo del partito molto più grande della
coalizione.
È questa coincidenza che rende «forti», e quindi meno costretti ad
aumentare la cariche di governo e a contrattare in permanenza per mantenere un
precario consenso nella coalizione, i primi ministri e i cancellieri delle
democrazie parlamentari.
Fermo restando che il processo di costruzione del
Partito democratico deve assolutamente partire dai cento fiori delle province
italiane, vorrei che Prodi tenesse fede al suo invito: «osare e stupire».
Assuma, dunque, rapidamente, l’iniziativa chiamando a raccolta il cosiddetto
popolo delle primarie e tutti coloro che vogliono aggiungervisi affinché il
Partito democratico vada parecchio oltre i confini dei partiti e dei loro non
molto numerosi iscritti. Osi, il primo ministro, e ci stupisca.