Il dibattito aperto dal nostro amico Eugenio Scalfari mi tocca direttamente, nella misura in cui da alcuni anni seguo con costernazione le tappe che hanno portato a una fondamentale messa in discussione dell´Illuminismo. “C´est la faute à Voltaire, c´est la faute à Rousseau!” (Colpa di Voltaire, colpa di Rousseau! ndt: il ritornello cantato sotto le barricate dal monello Gavroche nei Miserabili di Victor Hugo). A volte ci si avventura fino ad accusarli di aver dato vita a un universalismo egualitario più pericoloso dell´assolutismo dei re, sostituendo alla monarchia di diritto divino l´autoritarismo del Bene pubblico. In entrambi i casi, di laicismo neppure l´ombra. È innanzitutto nella logica di quest´evoluzione che vorrei inserire il presente contributo.
1. La proclamazione di Lenin, che definiva la rivoluzione bolscevica del 1917 come il completamento di quella francese del 1789, ha suscitato non pochi conflitti storici e ideologici. La prima di queste polemiche riguardava il nesso tra la Rivoluzione del 1789 e l´Illuminismo. Al momento della Rivoluzione, rimanevano solo tre grandi intellettuali francesi che erano stati più o meno vicini agli enciclopedisti: Jean-Antoine-Nicolas de Caritat, marchese di Condorcet, Marie-Jean Hérault de Seychelles e Sébastien-Roch-Nicolas, detto Chamfort. Tutti e tre giustiziati, o morti in condizioni oscure. Anche senza richiamare il loro messaggio si è evidentemente indotti a ritenere che nessuno dei tre fosse d´accordo con il Terrore, nonostante le sedicenti ragioni “rivoluzionarie” addotte per motivarlo.
L´Illuminismo ha inaugurato un´impresa immensa di emancipazione dalle tutele della monarchia di diritto divino e della gerarchia cattolica. Ma i mezzi raccomandati erano diversi. Non sempre si ricorda che nel suo “Trattato sulla tolleranza”, Voltaire ha fustigato gli atei non meno dei fanatici. Voltaire è deista (come lo sarà Robespierre, con il culto dell´Essere Supremo).
E soprattutto, non si discosta molto dalle cautele di Montesquieu quanto alla necessità di legare il suffragio al censo, cioè di limitarlo, riservando il pieno diritto di cittadinanza a talune categorie di elettori, in attesa che le altre se ne dimostrino degne. Denis Diderot, per quanto audace, si mostra molto indulgente nei confronti delle “monarchie illuminate”. L´idea che i cittadini nel loro complesso possano essere intellettualmente liberati per effetto di una rivoluzione, senza alcuna transizione né fase formativa, è assente in quella che verrà chiamata, soprattutto in Germania, l´epoca dei Lumi. Solo Rousseau, il “divino Jean-Jacques” caro a Levy-Strauss, pensa a una democrazia fondata a un tempo sulla volontà generale e sulla sovranità di ciascuno, ammettendo però che il funzionamento della sua repubblica ideale, concepito a colpi di referendum reiterati, possa essere perfetto solo in un paese relativamente piccolo. Ma diciamo che Jean-Jacques Rousseau ha accettato più di qualunque altro tutte le conseguenze del principio di Eguaglianza.
Resta il fatto che esiste comunque un nesso solido e diretto tra i Lumi e la Rivoluzione del 1789. Ma ancora una volta, la disputa maggiore, nel XVIII secolo come alla fine del XX, verte sul Terrore. Marat pensa che non può esservi libertà per i nemici della libertà. Per Saint-Just, tutto è permesso quando si tratta di difendere i grandi principi. Robespierre è il primo a usare l´argomento del pericolo esterno: la Francia rivoluzionaria è accerchiata dagli eserciti delle monarchie straniere. Chiunque sia sospettato di aiutare i sostenitori dell´Ancien Régime in combutta con i nobili emigrati è passibile della ghigliottina (ma lo stesso Robespierre aveva proposto di abolire la pena di morte). Questo semplice problema del fine e dei mezzi resterà dominante per vari secoli, compreso il nostro. Leone Trotzki decreta: «Tutto ciò che serve la rivoluzione non ha bisogno di giustificazioni». Clémenceau, imbarazzato, decide: «La Rivoluzione è un blocco. Bisogna prenderla così com´è». Ora, questa rivoluzione comprende il Terrore.
2. Negli anni Sessanta, alcuni giovani storici comunisti hanno ritenuto che a conti fatti, la rivoluzione bolscevica e stalinista avesse prodotto molto terrore e poca rivoluzione. E ne hanno concluso che i “mezzi” avessero completamente alterato e trasformato i “fini”, tanto da confondere comunismo e fascismo nel concetto di totalitarismo. Si è trattato di un grande movimento di idee, alla cui testa si può vedere lo storico François Furet. La Rivoluzione del 1789 non è un “blocco”, ma ha in sé il meglio e il peggio. E il peggio non va mai scusato. Ora, è in nome dell´eredità del peggio che la rivoluzione del 1917 è stata dichiarata la migliore. Quest´impresa reazionale sfocia su una conclusione liberatoria: secondo François Furet, i Lumi non sono all´origine del totalitarismo, visto che nei loro principi escludono il Terrore. Per di più il concetto di Libertà è importante quanto quello di Eguaglianza, per cui non si può pretendere di realizzarne uno schiacciando l´altro.
Ma è a questo punto che emerge, sotto l´ombrello dell´anti-totalitarismo, un nuovo movimento di contestazione di questa concezione dei Lumi, giudicata troppo elogiativa. Innanzitutto c´è il fatto che in tutti i paesi occupati dall´Unione Sovietica, la propaganda catechista non ha mai cessato di associare il 1917 al 1789. Milioni di giovani sono stati formati in questa funesta convinzione, e quindi si credono vittime dei Lumi. Recentemente è emersa nella Chiesa cattolica (di certo nella curia romana, ma anche, e in maniera assai brillante, attorno all´arcivescovo di Parigi, cardinale Lustiger) una tesi secondo la quale gran parte del disagio ontologico delle nostre società deriverebbe dal culto, ereditato dai Lumi, dell´universalismo astratto, a discapito di un concreto rispetto degli individui. Grazie a un cristianesimo liberato dall´assolutismo rivoluzionario che si pretende laico, e grazie al pellegrinaggio alle fonti della libertà cristica, si disconosce il messaggio dei Lumi, che decisamente non hanno mai saputo evitare il Terrore.
3. In queste condizioni, non è più vietato mettere sotto processo i Lumi per associare il cristianesimo alla libertà. Durante un certo periodo si è arrivati al paradosso di sostenere che lungi dall´aver emancipato i popoli, l´Illuminismo li abbia condotti al servaggio con pretesti “universalisti”. Un paradosso, perché di fatto, cosa ci può essere di più universalista della nostra santa madre Chiesa, cattolica, apostolica e romana?
La storia dell´ingerenza delle Chiese negli Stati e della religione nella politica è antica. L´anglicanismo non traduce solo la volontà di contestare il potere papale, ma anche quella di esercitare un´autorità morale sui credenti. Anche se indubbiamente a volte è emersa la tolleranza. Nel 1598, con la firma dell´Editto di Nantes per porre fine alle guerre di religione, Enrico IV riconosce ai protestanti la libertà di coscienza, che è uno dei fondamenti del laicismo. Mentre al contrario, con la revoca dell´Editto di Nantes il 18 ottobre 1685, Luigi XIV ristabilisce l´assolutismo regio arrogandosi sia i poteri religiosi che quelli politici. Si può dire che i protestanti siano considerati come una fazione sovversiva, virtualmente ribelle alla sovranità di uno stato ultra-centralizzato. Resta comunque il fatto che Enrico IV, benché convertito al cattolicesimo («Parigi vale bene una messa») con la firma dell´Editto di Nantes ritorna su tutte le conclusioni dei vari concili dedicati alla condanna della Riforma. E anche la decisione di perseguitare nuovamente i protestanti nasce da un´ispirazione religiosa.
Nessun laicismo è possibile sotto un regime dispotico, anche se non credente. Quando in Turchia, il 3 marzo 1924, Mustafa Kemal Atatürk abolisce il califfato, cioè il diritto, per il capo di stato musulmano, di considerarsi erede dei califfi un tempo designati dal Profeta, compie un passo verso una forma di laicismo. Quando impone l´insegnamento della storia comparata delle religioni nelle università (iniziativa questa che trasforma l´islam in una religione come un´altra) fa un altro passo verso il laicismo. Ma nel momento in cui vieta di portare segni della propria appartenenza religiosa e punisce con il carcere chi contravviene al divieto, sottrae al concetto di laicismo la sua componente essenziale: la libertà.
Fortunatamente, tutte queste polemiche di fondo si sono svolte in società democratiche, dove non si mette in forse il predominio della ragione e si preconizza la tolleranza; dove le diverse costituzioni contengono riferimenti impliciti o espliciti alla Dichiarazione dei Diritti dell´Uomo e del Cittadino, ispirata alla guerra d´indipendenza americana del 1787 e alla Rivoluzione francese del 1789. Società nelle quali, più precisamente, la Chiesa non è teocratica, lo Stato non è totalitario ed esiste una separazione organica tra Chiesa e Stato. In un certo senso si può persino dire che molti dei contestatori cristiani dell´Illuminismo sono stati, senza saperlo, i più fedeli al suo spirito.
4. Il processo dominante rimane quello dell´universalismo e delle sue derive assolutiste. Se ne erano viste, dalla fine del XIX secolo fino alla metà del XX, manifestazioni edificanti: in particolare quelle di un messianismo colonialista che pretendeva di civilizzare popoli giudicati inferiori per le loro istituzioni o il loro sviluppo. Dopo tutto, i cristiani hanno avuto fin dall´inizio la missione di diffondere la Buona Novella, e più tardi quella di imporne il culto. La decolonizzazione, celebrata alla Conferenza di Bandung nel 1955, ha posto fine almeno temporaneamente a questo messianismo conquistatore e razzista. Ma si dà il caso che nei paesi un tempo colonizzati e oggi liberati, le insurrezioni e l´emancipazione abbiano avuto il loro cemento anche nella religione; nel caso dell´islam, in un monoteismo mai riformato o ripensato, da quando si era mostrato infedele all´età dell´oro dell´XI e del XII secolo. Un monoteismo per il quale il comportamento laico è totalmente inconcepibile, come lo è il concetto di laicismo, la separazione tra Chiesa e Stato e il carattere privato del culto. Oggi assistiamo alle convulsioni planetarie di una religione dotata di una prodigiosa capacità d´espansione, che funziona con tutti gli apparati dell´ideologia.
5. All´interno dell´islam esiste oggi una seria difficoltà a costruire un muro della ragione per contenere una “fede trasformata in elemento costitutivo della politica” (Eugenio Scalfari). Da questo punto di vista è vero che nella sua storia, il cristianesimo si è mostrato più duttile, più capace di adattamento, più in grado di accogliere ? tra le sue crisi di fanatismo e d´intolleranza ? gli insegnamenti del messaggio laico. Si è meglio disposti, quanto meno su questa sponda dell´Atlantico, “a dare a Cesare quel che è di Cesare”. A questo livello, il laicismo diventa la prima grande riabilitazione della Rivoluzione, sottraendole i mezzi del Terrore.
Ciò detto, se davvero il punto in discussione nell´eredità laica dei Lumi è la deriva universalista, e quindi la tentazione messianica, dobbiamo ammettere che il dibattito si fa più complesso. In effetti, dal momento dell´affermazione (salutata come un grado supremo di civiltà) del dovere d´assistenza a un popolo in pericolo e del diritto d´ingerenza contro chi lo minaccia, l´umanità si è arrogata il diritto di decidere dell´opportunità di un determinato atto di carità, e della natura di una data minaccia. Ciò equivale ad attribuirsi la possibilità di definire il Bene e il Male. Alcuni ideologi europei, sostenitori delle tesi e dei comportamenti di George W. Bush, arrivano anzi a sostenere che decidendo l´intervento in Iraq, il presidente degli Stati Uniti si sia limitato ad applicare la dottrina degli “umanitari”, dei “French doctors” come Bernard Kouchner e altri. Dimenticando però che il presidente americano ha preteso di intraprendere tutto questo in nome di Dio, della propria missione divina, e praticamente per conto di un Popolo Eletto. Riappare a questo punto il messaggio deformato dei Lumi, e di quel tradimento del laicismo che conduce all´assolutismo e all´intolleranza.
(Traduzione di Elisabetta Horvat)