Mai la Chiesa, negli ultimi vent’anni, era
stata così vicina alla politica, così influente, così ingombrante.
Affiancata dai partiti di destra, e con il centrosinistra scompaginato dal
conflitto interno, non dichiarato e non elaborato, sulla laicità. Se le cose
stanno così, se questa diagnosi è realistica, sabato scorso in Piazza San
Giovanni è avvenuto un disastro politico e civile. E allora vale la pena di
guardarlo in profondità, senza complessi.
La prima e fondamentale
conseguenza del Family Day è evidente: si è saldato un fronte tra ampi
settori del mondo cattolico e la destra italiana. e ciò è avvenuto in un
modo e con un?intensità tali da sorprendere gli stessi vertici
ecclesiastici, la segreteria di Stato vaticana, la Conferenza episcopale.
Alla Chiesa post-wojtyliana era ovviamente utile una dimostrazione di forza,
anche per esibire uno di quegli spettacoli di mobilitazione che senza il
carisma di Giovanni Paolo II risultano difficili da riprodurre oggi sulla
scena pubblica.
Ma è tutto da provare che per la gerarchia cattolica fosse
davvero conveniente quella spettacolare fusione di morale e politica, di
alto magistero e di bassi interessi di bottega, che se da un lato ha esibito
l’adesione popolare ai temi della famiglia, dall’altro ha permesso il
sequestro politico di piazza San Giovanni da parte dei leader del
centrodestra.
La presenza di Silvio Berlusconi, Gianfranco Fini e Pier
Ferdinando Casini rappresentava con chiarezza qual era una finalità
possibile del Family Day, almeno nelle intenzioni dei suoi sponsor politici
più spregiudicati: e cioè mettere in rilievo che l’appello per una «politica
per la famiglia» rappresentava invece l’opportunità per una polemica
caldissima contro il riconoscimento legale delle unioni civili. Ossia per
dividere in due, con volontà esplicita, l’opinione pubblica: in modo da
poter attestare che da una parte, a destra, ci sono i buoni cattolici, e
dall’altra, a sinistra, c’è una consorteria di avversari, di «laicisti», di
personalità insensibili alle grandi verità religiose.
In quella compagine
ostile alla Chiesa e ai suoi fondamenti, guidata dal Prodi «rovinafamiglie»
immortalato sulle magliette, i cattolici del centrosinistra si trovano in
difficoltà. Secondo l?intonazione psicologica della piazza anti-Dico, il
mondo cattolico non è rappresentato da Clemente Mastella o da Francesco
Rutelli, e meno che mai da Rosy Bindi; costoro non rappresentano nessuno e
non sono neppure la foglia di fico sulle vergogne laiciste del
centrosinistra: ne è una riprova a contrario l’accoglienza entusiastica
riservata a Silvio Berlusconi, a testimonianza che c’è stata una fusione
politica, di popolo, fra le posizioni cattoliche più intransigenti e la
scelta per il centrodestra.
Matrimonio d’interesse e d’amore. Sicché è
superfluo sottolineare che il raid di Silvio Berlusconi durante il Family
day è stato un gesto politicamente impegnativo, anche a prescindere dalla
violenza delle sue parole, quelle frasi provocatorie secondo cui non è
possibile essere contemporaneamente fedeli cattolici e di sinistra.
Berlusconi ha realizzato uno dei suoi blitzkrieg, e ha tentato di mettersi
in tasca in un colpo solo l’ideologia della famiglia, il movimento
ecclesiale, i sostenitori del matrimonio, gli oppositori del divorzio e
dell’aborto, i contestatori della procreazione assistita, dei Dico e delle
unioni omosessuali.
Ebbene, sarebbe il caso di capire come la pensa la
Chiesa, al suo vertice, dell’appropriazione indebita delle istanze
cattoliche e delle masse dei fedeli convenute a Roma per sostenerle. Riesce
incongruo infatti credere che la gerarchia giudichi utile, cioè
politicamente conveniente, e spiritualmente convincente, il cinismo
opportunista con cui Berlusconi e i suoi alleati hanno confiscato la
comunità ecclesiale (almeno quella parte che interpreta l’appartenenza al
cattolicesimo con uno spirito di rivalsa, di rivincita, di spagnolesca
«reconquista»). Vale a dire sulla base di un?idea di divisione, senza
nascondere una chiara inimicizia contro quella parte di società, di politica
e di cattolicesimo che la pensa diversamente.
Va da sé che la Chiesa non
possa accettare di essere sequestrata in vista dell?utilità politica di una
parte. E quindi non è del tutto irrealistico attendersi qualche presa di
distanza, fosse anche soltanto una sottigliezza per smarcarsi. Questo perché
monsignor Angelo Bagnasco deve ancora guadagnarsi la titolarità della sua
azione come presidente della Cei, uscendo dalla definizione ristretta di
successore di Ruini. E il segretario di Stato, Tarcisio Bertone, deve curare
anche le diplomazie con il governo attuale e con i ministri cattolici che ne
fanno parte. E va rilevato nel tfrattempo che Bagnasco ha taciuto
sostanzialmente sul Family Day: ciò è un sintomo di quanto sia arduo
rinnovare in modo originale la linea dell’episcopato, ma anche un indizio
della sua prudenza.
Tuttavia il punto cruciale è evidente di per sé: comunque
si sia verificata, non si è mai vista, in tempi di bipolarismo, una
collocazione così netta ed esclusiva della Chiesa a fianco di una parte
politica. Al di là dei riverberi più evidentemente confessionali, si
prospetterebbe una conseguenza politica di estremo rilievo, cioè un attrito
vistoso con l?intera evoluzione del sistema politico: la formula bipolare
infatti doveva consentire la libera collocazione politica dell’elettorato
cattolico.
Viceversa, una variante estremistica come quella prospettata
sabato da Berlusconi, i cattolici di qua e i miscredenti di là, assomiglia
più a un’eresia manichea che a un criterio di ragionevolezza politica. Altro
che suggestioni neoguelfe: qui è potenzialmente in gioco la «cattura» della
Chiesa da parte di uno dei giocatori politici. E dunque, se il mercante
sequestra il tempio, sarebbe interesse della comunità ecclesiastica che
emergessero voci e figure indisponibili a schiacciarsi su una soluzione
politica confessionale, con le ripercussioni politiche che si possono
immaginare. Di tutto infatti avrà bisogno la Chiesa, ma non di una guerra di
religione. E neppure di diffidenze e ostilità speculari sul piano del
governo e delle istituzioni.
Tanto più che sullo sfondo del Family day (e
delle contrapposizioni tra Vaticano e sinistra, dal referendum sulla
fecondazione assistita ai Dico), sono entrati in gioco principi basilari in
materia di laicità dello Stato, suscettibili di favorire contrasti pesanti
dentro il centrosinistra. Per ora nell’Unione il conflitto non è esploso, ma
non c’è dubbio che sulla piazza del Family Day si sono compiuti sacrifici
politici pesanti: si è sacrificata in primo luogo una parte della presenza e
credibilità pubblica dei Ds.
Il silenzio dei Ds è una scelta obbligata,
dettata dall?impossibilità di parlare, perché parlare equivarrebbe a
innescare la contrapposizione con il proprio alleato, la Margherita, proprio
mentre si sta avviando il processo che conduce alla nascita del Partito
democratico. Ma la rinuncia effettiva a qualificare la propria presenza nel
Pd, da parte diessina, è già di per sé un’abdicazione; e anzi l’effetto
della distorsione prodotta dalla politicizzazione della religione,
dall’abbandono di un criterio comune di laicità.
Il Family Day, insomma,
ha avuto conseguenze sui due lati della struttura politica italiano: ha reso
asimmetrici gli schieramenti, ha squilibrato il bipolarismo, dà
un’inflessione clericale al giudizio sull’azione di governo. Sarà il caso che
tutto il centrosinistra, da Romano Prodi in giù, valuti con attenzione
queste ripercussioni e le risposte possibili. Ma anche da parte
ecclesiastica dovrebbe esserci la percezione che il nuovo integralismo, la
comunanza indistricabile e «simoniaca» fra destra e Chiesa, è una
distorsione del meccanismo democratico, e potenzialmente una perdita grave
in termini di ricchezza e libertà della convivenza civile.