ROMA – Le parole pronunciate dal ministro Castelli ieri a Pontida sono solo «l´ultima conferma di totale assenza del senso dello Stato». L´ex presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro boccia senza appello la posizione espressa dal Guardasigilli nella vicenda della grazia ad Adriano Sofri, giudicando inammissibile che il ministro abbia polemizzato anche con la Corte Costituzionale ancor prima che questa si sia espressa sul ricorso presentato da Carlo Azeglio Ciampi per dirimere la controversia sul potere di grazia. Un potere che a suo avviso può essere rivisitato ma non cancellato «per mantenere una luce di umanità» nell´ordinamento repubblicano.
Presidente Scalfaro, che cosa pensa del conflitto sollevato dal Quirinale davanti alla Consulta sul potere di grazia?
«Io non credo che ci sia da fare una tragedia o da gridare allo scandalo perchè il capo dello Stato si è appellato alla Corte costituzionale per affrontare una questione giuridica non risolta. Anzi: i chiarimenti fra istituzioni della Repubblica dovrebbero essere la norma. Non bisogna mai lasciare aperte delle ragioni di dissenso interpretativo, perchè questo provoca un danno al cittadino. Non vedo quello di Ciampi come un passo guerriero: tutt´altro, mi sembra un passo normale e positivo».
Come fa un conflitto di questa portata a covare per decenni senza esplodere? Dal ‘48 a oggi presidenti e guardasigilli ce ne sono stati tanti, e tante sono state anche le occasioni di potenziale scontro. Perchè proprio oggi i toni diventano così aspri?
«Presidenti della Repubblica e ministri della Giustizia hanno sempre dimostrato grande senso di responsabilità e, dovrei dire, di civiltà reciproca. A me stesso è capitato di discutere intorno a qualche caso, e sempre con assoluta serenità. Può capitare che un ministro dica: «Presidente, se tu insisti per questa grazia non ho motivi fondamentali che mi spingano a dire di no. Non sono persuaso ma firmo». O viceversa può accadere che un presidente che ha una visione favorevole su un particolare condannato spieghi al ministro dubbioso: «Riconosco che è meglio soprassedere, lasciamo stare, almeno per ora». E´ questo modo di discutere e argomentare ad aver consentito per tanti anni una armonia assoluta, almeno nelle conclusioni. Oggi c´è troppa rigidità».
La rigidità, stando alle parole del ministro Castelli, molto deriva dal fatto che il caso Bompressi solleva in lui una vera e propria questione di coscienza.
«Ma di fronte alla firma del capo dello Stato è fuori dubbio che la responsabilità morale sia soprattutto del Quirinale. Certo, l´articolo 89 della Costituzione dice che il ministro ha la responsabilità dell´atto, e questo vale per tutti i ministri che controfirmano. Ma si tratta di un tema giuridico. La responsabilità morale è quella che conta di più, e la responsabilità morale del presidente della Repubblica copre largamente anche il ministro».
Castelli non si è fermato all´etica. Ha definito istituzionalmente «devastante» una ipotetica decisione della Consulta favorevole a Ciampi.
«La prima reazione del ministro è stata agitata, eccessiva. Non so proprio quali conseguenze devastanti si possano ipotizzare: non credo che alcuno pensi che un capo dello Stato possa mettersi di punto in bianco a firmare decine di scarcerazioni senza un motivo. Sono ipotesi folli da non prendere in considerazione. Devo anche dare atto che il ministro ha poi corretto, superato e cancellato quella frase con osservazioni molto più rispettose nei confronti del capo dello Stato».
La tesi del Guardasigilli, sul fronte giuridico, in sostanza è questa: se non prevale la controfirma del ministro sugli atti del capo dello Stato, si lasciano al Quirinale poteri incalcolabili.
«Questo sarebbe vero se si volesse togliere il valore alla firma dei ministri in tutti i casi. Ma nessuno ha ipotizzato che la firma dei ministri non sia «mai» necessaria, e che il capo dello Stato possa firmare gli atti per conto suo. La discussione perciò mi sembra inutile, più provocatoria che seria. Aggiungo che un altro punto delle dichiarazioni del ministro non è accettabile: egli polemizza su quella che sarà la decisione della Corte come se la decisione fosse già avvenuta».
Un ministro non ha diritto alla critica?
«Il ministro della Giustizia, se ci fosse una sentenza che non condivide, ha il diritto di dirlo, e sempre con enorme rispetto nei confronti della sentenza e della Corte. Ma che nel momento in cui il Quirinale solleva la questione il Guardasigilli contesti quella che può essere o che lui prevede sarà la decisione, questo proprio non va. E´ una frattura da parte di un organo istituzionale verso la Corte costituzionale: quell´organo invece ha il dovere dell´assoluto rispetto, non deve polemizzare neanche di fronte alla sentenza, figuriamoci prima».
Lei come si spiega la veemenza, ribadita ieri anche a Pontida, di Castelli?
«Di fronte alla presunzione immediata che la Corte dia ragione al Quirinale, verrebbe da dire che probabilmente il ministro si è reso conto che il capo dello Stato ha ragione. D´altra parte, la Costituzione dice che il presidente della Repubblica può concedere grazia e commutare le pene: se il parere del ministro della Giustizia fosse comunque dominante, allora il potere di concedere grazia sarebbe del ministro, salterebbe tutta l´impostazione e bisognerebbe cambiare la Carta. Aggiungo che nell´atteggiamento del Guardasigilli vedo una malattia comune nell´attuale governo, un livore verso coloro che portano sulle spalle una toga. Come se si dicesse: «Non mi danno ragione, perciò mi sono politicamente contrari». D´altra parte le dichiarazioni del ministro della Giustizia a Pontida sono un´ultima conferma di una totale assenza di senso dello Stato».
Lei cosa pensa dell´istituto della grazia? Ha ancora senso o è un residuo del passato?
«Il potere di grazia risale a millenni. Quindi è un istituto che si può dire mille volte superato. Va probabilmente aggiornato, ma teniamo presente che l´atto di umanità verso un condannato deve essere consentito in ogni paese civile. I costituenti hanno seguito questa tradizione millenaria che fa dire: «Abbiamo una persona che è in galera da trent´anni, da quarant´anni: adesso ha settant´ anni; è un ergastolano che è in carcere da quasi 50 anni: lo mandiamo a casa dai figli diventati anziani e dai nipoti che non ha mai conosciuto?». Questa luce di umanità deve restare».