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30 Aprile 2001

«Salviamo lo Stato di diritto da Berlusconi»

A Torino in 600 ad ascoltare gli inviti a «fermare il centrodestra». Il comico: votatelo, vi manda il libro a casa e pure un etto di tonno
Autore: Enrico Caiano
Fonte: Corriere della Sera

TORINO – Giuristi, storici, economisti, filosofi: tutti uniti per «salvare lo Stato di diritto» dalle insidie di un possibile successo della Casa della Libertà. Con uno sponsor travolgente che – e gli organizzatori dimostrano di saperlo – ha più presa di tante riflessioni professorali: Roberto Benigni. Scatenato in una esilarante dichiarazione di voto all’incontrario su videocassetta: scegliete Silvio Berlusconi, «dove la troviamo nel mondo un’altra persona così», «un uomo spettacolare, meraviglioso, un uomo che davvero mi fa innamorare anche fisicamente», uno «che ti manda il libro a casa e magari tra un po’ ci arriverà anche un etto di tonno», uno che «il boss mafioso lo teneva nella stalla, questo sì che è impegno civile contro la criminalità».
Ridono i 600 e più torinesi di centrosinistra che affollano di domenica mattina il cinema della manifestazione organizzata dall’associazione «Giustizia e Libertà» e da un gruppo di riviste culturali che spazia da MicroMega a Rinascita : un successo oltre le attese anche se mancano, per motivi di salute, molti dei prestigiosi ospiti annunciati.
Non c’è il filosofo Norberto Bobbio, colpito da qualche giorno dalla morte dell’amatissima moglie. Ma nonostante l’assenza è a lui che si rivolgono le critiche del capo dei senatori di Forza Italia, Enrico La Loggia: «E’ grottesco e inquietante il fatto che queste persone tra le quali si nota il senatore a vita Bobbio, che dovrebbe ricordarsi di essere un padre della patria, si siano riunite per produrre ignobili insulti e calunnie nei confronti di Berlusconi». E conclude con una sola parola di commento: «Vergogna!». E’ rimasta a casa anche il premio Nobel Rita Levi Montalcini, già costretta a rinunciare alla convention romana dell’Ulivo; mancano l’ex magistrato Antonino Caponnetto e l’astrofisica Margherita Hack. C’è, e in prima fila, il novantunenne Alessandro Galante Garrone, storico, esponente di primo piano dell’azionismo torinese. Parla dal palco sprizzando rabbia e ironia l’economista Paolo Sylos Labini: è stato lui a lanciare con Bobbio, Galante Garrone e il giurista Alessandro Pizzorusso, seduto al suo fianco, l’appello contro la Casa delle Libertà pubblicato dalla rivista Il Ponte e criticato per i suoi richiami ai rischi che corre la democrazia in caso di successo elettorale di Berlusconi.
«Questo è stato il Paese di Cavour, dei Rosselli, di Salvemini e può finire nelle mani di Berlusconi… Uno che la riforma della giustizia l’ha messa in mano al pregiudicato Dell’Utri e al filosofo Pera, quello che fa il giurista per hobby… No, non ci dormo la notte», anche se riconosco «che brutti errori sono stati commessi a sinistra» dice con sincero sconforto il professor Labini, abito scuro ed estrose scarpe da ginnastica nere ai piedi. Invita a combattere «con più energia l’astensionismo di sinistra» lo storico Claudio Pavone, paventa che sia «il Parlamento a individuare i criteri di priorità con cui perseguire i reati penali» il professor Pizzorusso. Gli applausi scrosciano, i cenni di assenso si moltiplicano nella platea piena di candidati al Parlamento, ma anche di gente comune con parecchi giovani nelle prime file.
Ma è appunto Benigni a scatenare le risate. Sebbene il comico non rinunci a qualche riferimento semiserio che richiama gli allarmi neppure troppo sottotraccia sulla «democrazia a rischio di morte» presenti nei discorsi dei relatori: dichiara che il suo contributo video è «a una cospirazione autentica» e ogni tanto nella sua dichiarazione di voto si volta di lato e a bassa voce fa cenno a «un paio di manganellate che sistemano tutto». Le risate più aperte arrivano quando Benigni spiega che Berlusconi cambierà anche la parola Costituzione, perché contiene un accenno al termine costi, e la chiamerà «Ricavituzione». O quando si ispira alla gaffe di Porta a Porta, quella volta che il Cavaliere disse che avrebbe volentieri stretto la mano al padre dei fratelli Cervi (morto da tempo): «So che presto chiamerà Ciro Menotti, ha in programma un meeting con i fratelli Bandiera e ha telefonato a Pietro Micca ma la linea era disturbata, cadeva sempre, come se stesse in una cava…».
Poi ci sono i «complimenti» agli alleati, «tutte personcine di garbo»: dagli «statisti Casoni e Buttiglini» al «moderato Rauti» e a Bossi e Fini che cambiano spesso idea. «Prima Fini non voleva offrirgli neppure più un caffè a Bossi, ora è sempre lì che lo invita a bersi insieme cappuccini, latte macchiato…». Perché, se un governo Rutelli porterebbe a «noia e banalità», Berlusconi che promette di aumentare le pensioni e diminuire le tasse ma poi non potrà farlo fa trionfare «l’originalità»: lui è «uno statista e una persona divertente, che ha fatto tutto con la sua intelligenza. Quindi è partito proprio da zero…». Appena si riaccendono le luci le risate liberatorie spariscono in fretta, in sala si rimaterializzano amarezza e disillusione. E solo quando qualcuno dal palco ricorda che «invece di due sinistre» sarebbe meglio «averne una che non costringa sempre a fare miracoli per vincere» gli applausi tornano a scrosciare.