11 Aprile 2005
Rutelli: pronti ad accogliere chi lascia il premier
Autore: Francesco Verderami
Fonte: Corriere della Sera
ROMA – Francesco Rutelli giudicherebbe «ragionevole» il voto anticipato, perché «si eviterebbe al Paese la disperazione elettorale di Silvio Berlusconi, che metterebbe a repentaglio i conti pubblici», e perché «così salterebbe la devolution». Ma proprio per questi motivi il leader della Margherita è convinto che «il voto non ci sa rà», che il Cavaliere «tenterà qualche invenzione a livello economico. E saranno guai».
Pur di evitarli, il rappresentante dell’Ulivo si rivolge ai moderati del Polo, si dice pronto – d’intesa con Romano Prodi e Piero Fassino – «a un confronto in Parlamento su una Finanziaria che rimetta sul binario giusto l’Italia, nei conti pubblici e sulla competitività».
Non teme le urne, sebbene l’Unione sia ancora senza programma, perché «i risultati delle Regionali ci mettono in condizioni di sicurezza: ha vinto l’alleanza, ha avuto successo l’Ulivo, si sono rafforzati la Margherita, i Ds, i partiti riformisti del centrosinistra. Insomma ci si può preparare con serenità. E se fosse necessario saremmo in grado di accelerare la stesura del progetto per il governo del Paese».
Accelerarne la stesura significherebbe anche sciogliere le contraddizioni cui accenna il professor Mario Monti, preoccupato che nell’Unione ci siano componenti contrarie al processo di maggiore concorrenza sul mercato.
«Sul mercato Monti ha detto cose giuste, e il fatto che Prodi gli ha abbia dato ragione testimonia l’intesa che hanno costruito negli anni di Commissione europea. L’Italia è parte di un’economia di mercato internazionale e non ha certo una prospettiva autarchica. Dovremo lavorare perché la cultura riformista della coalizione imposti un programma che renda più dinamica la crescita della nostra economia. Allo stesso tempo non dovremo imporre scelte verticistiche, ma aprirci al confronto con le parti sociali affinché il progetto sia condiviso. Così porteremo tutta la sinistra ad accettare un disegno comune, perché punteremo su più concorrenza. Ma sarebbe un guaio se non coinvolgessimo le classi più deboli con una rinnovata politica dei redditi».
Ma appena Prodi ha dato ragione a Monti, il leader del Prc ha commentato che «questo apre un problema».
«La vittoria di Nichi Vendola in Puglia è positiva, perché impone oggi anche a Rifondazione dirette responsabilità di governo. Sono certo che si arriverà a un accordo. Vorrei però si distinguesse un piano programmatico di governo da operazioni improvvisate. Penso sia giusto liberalizzare per avere maggior concorrenza. Altra cosa è invece mettere in modo affrettato delle aziende sul mercato. Ricordo quando Tommaso Padoa-Schioppa, sul Corriere , lanciò il tema del patriottismo economico, che a mio avviso non c’entra nulla con la difesa dalle opa lanciate da istituti di credito stranieri. È sul sistema industriale che servirebbe una strategia di governo, perché il Paese corre il rischio di perdere a breve altri pezzi importanti nella grande distribuzione, nel settore alimentare, e ora anche nel campo della telefonia mobile».
Si riferisce alla decisione dell’Enel di cedere Wind a una cordata egiziana?
«Capisco che l’Enel voglia far quadrare i conti. Ma il governo ha qualcosa da dire? Già compriamo i telefonini all’estero perché non abbiamo industrie italiane che li producono, ma ora stiamo per avere tre gestori di rete su quattro stranieri. Così anche i soldi delle bollette andranno fuori dall’Italia. Stiamo diventando un supermarket, dove imprese estere si impadroniscono di nuovi settori strategici. Ecco un tema serio del patriottismo economico: le priorità per la ricerca pubblica, gli incentivi, le aggregazioni, le alleanze industriali. E io credo che tra i rischi da scongiurare di “invenzioni” in un anno elettorale ci sia la vendita di quote pregiate di Enel ed Eni. Già in passato si sono fatti molti errori, anche i governi di centrosinistra privatizzarono società importanti senza però liberalizzare i settori interessati».
Con Bertinotti riuscirete a trovare un’intesa anche sulla flessibilità nel lavoro e sui tagli all’Irpef? Perché Fassino, proprio sul Corriere, si spese su questa linea.
«La flessibilità è una condizione dell’economia globale, e credo che un futuro governo di centrosinistra debba sviluppare la proposta formulata da Tiziano Treu e Giuliano Amato, che prevede una riforma degli ammortizzatori sociali, una migliore formazione, e una previdenza più equa per chi fa lavori discontinui. Se in Italia oggi non ci sono cinque milioni di disoccupati come in Germania lo si deve alla legge Treu».
Dimentica la legge Biagi.
«A mio avviso è stata per certi versi controproducente. Quanto alla riduzione dell’Irpef non è più all’ordine del giorno nemmeno nel governo, che si sta forse orientando verso il taglio sulle tasse del lavoro, per offrire un vantaggio alle imprese che investono e appesantire le buste paga dei lavoratori. Quando la Margherita propose il taglio del cuneo fiscale venne criticata anche dagli alleati. Oggi quella proposta è al centro del dibattito. Forse la Margherita è stata premiata nelle Regionali anche perché ha avuto questa tenacia nelle proposte».
Se ci fossero le elezioni anticipate e l’Unione dovesse vincere, erediterebbe la gestione della missione militare in Iraq. Vi comportereste come Zapatero?
«Tutti ormai parlano di una strategia d’uscita graduale dall’Iraq. Qualora andassimo al governo, ci prenderemmo le nostre responsabilità, partecipando al processo insieme al resto della comunità internazionale. Quanto alle missioni italiane all’estero, vorrei dare un riconoscimento al governo per aver inviato i nostri soldati in Sudan, accogliendo la richiesta del Consiglio di sicurezza dell’Onu. Perché nel Darfur – dove mi sono recato due mesi fa – è in atto la più spaventosa crisi umanitaria del mondo. Ma c’è una crisi della nostra “seconda patria” su cui è calato il silenzio: quella dell’Europa. Temo la sottovalutazione del referendum sulla costituzione europea in Francia. La vittoria del no a Parigi ucciderebbe il processo europeo senza attendere il “no” in Repubblica Ceca, in Polonia e nel Regno Unito. Può affondare l’integrazione europea».
Il processo d’integrazione nel centrosinistra invece pare molto avanti. Prodi premier, Fassino agli Esteri, Rutelli all’Interno, Monti all’Economia: avete il governo pronto.
«Non è bene e soprattutto non porta bene parlare di queste cose con tanto anticipo. Concentriamoci sul programma».
Ma i ministri li sceglierà Prodi?
«Decideremo insieme e Prodi svolgerà al meglio il coordinamento della coalizione».
Con la stessa armonia con cui avete scelto il candidato a sindaco di Venezia?
«E’ difficile, ma mi auguro che al ballottaggio vinca Massimo Cacciari. Quanto alla candidatura di Felice Casson, sono note le mie critiche su un magistrato che si presenta alle elezioni senza prima essersi distaccato dalla sua funzione. E non vorrei che quanto accaduto a Venezia si ripetesse a Milano: ho grande stima del prefetto Bruno Ferrante, ma l’idea che possa essere candidato a sindaco non mi convince affatto. Di più, mi parrebbe un’abdicazione della politica. Credo sia opportuno mettere un freno a queste commistioni».
Metterà un freno anche all’ipotesi della lista unica alle Politiche? Con l’Ulivone il simbolo della Margherita scomparirebbe.
«Il lungo dibattito sulla lista unitaria prima e sulle primarie dopo, ci ha fatto perdere molte energie. Non ricominceremo, decideremo al momento opportuno quale sarà l’opzione migliore. Quel che conta è il risultato, ben sapendo che la Federazione dell’Ulivo è fatta dai partiti, e che saranno i partiti a decidere».
Nel frattempo si avvicina il voto referendario sulla fecondazione assistita. La convince la scelta del governo di far votare il 12 giugno?
«Non credo ci sia differenza se si vota una settimana o un’altra. L’importante è assicurare una campagna alta e civile, un dibattito privo di barricate ideologiche».
Ha deciso se e come voterà?
«Al momento opportuno mi esprimerò. Sarà un’occasione per discutere su una questione che accompagnerà la nostra e le future generazioni. Cercherò di contribuirvi con alcune riflessioni, che non saranno di schieramento ma di merito. E di profilo laico, poiché il tema della bioetica non può essere scambiato per uno scontro tra l’etica religiosa e un’etica laica».
Se non fosse una vicenda superata, potrebbe essere di nuovo accusato da Prodi di manovre neocentriste.
«Erano timori totalmente infondati, mentre era fondata l’idea di dover lavorare da una parte per l’unità della coalizione, dall’altra per raccogliere l’elettorato in libera uscita che aveva votato per il Polo. Avevo visto giusto quando dicevo che il blocco berlusconiano si stava sgretolando. E lo rivendico. Se è avvenuto è perché eravamo credibili come alleanza anche verso quell’elettorato in crisi che in parte si è astenuto, in parte è venuto con noi».
Se fosse sottoposto a un test con la macchina della verità, giurerebbe che non farà mai parte di un governo con Marco Follini?
«In un governo di centrosinistra c’è sicuramente la disponibilità ad avere con noi e con il nostro programma forze democratiche che abbandonino la compagnia di Berlusconi. Ci sono già stati singoli passaggi, e altri ce ne saranno nelle prossime settimane. Non incoraggio adesioni, che hanno una loro motivazione, ma vorrei sottolineare che non si tratta di operazioni trasformistiche. Avvengono perché si è esaurito un ciclo».